La guida di Domus ad Abu Dhabi

Un percorso nella capitale degli Emirati tra le vie congestionate di downtown e le strade polverose di Mina Zayed, nella spumeggiante Corniche, tra i palcoscenici culturali di Al Saadiyat e in mezzo al deserto, nella “città nuova” a zero emissioni di Masdar.

Ad Abu Dhabi la storia è recente e in veloce trasformazione. Negli ultimi cinquant’anni il paese si è trasformato da villaggio di pescatori di perle in una capitale protagonista della scena geopolitica mondiale; da centro beduino a melting pot in cui si intrecciano flussi di genti da tutto il mondo; da luogo di provincia insabbiato nel deserto (mentre Dubai già si faceva notare) a palcoscenico artistico-culturale di respiro internazionale. La struttura della città è stata plasmata dalla visione del “padre fondatore” Sheikh Zayed bin Sultan Al Nahyan che nel 1971 ha istituito la Federazione degli Emirati Arabi Uniti, presiedendola per primo e istituendone la capitale in Abu Dhabi. Affascinato da un’espansione rapida e massiva, lo sceicco presto rifugge dalle soluzioni “misurate”, sul modello delle città giardino europee, dei primi progettisti incaricati del masterplan di Abu Dhabi (Harris, Halcrow & Partners, 1961) e commissiona il progetto al giapponese Katsuhiko Takahashi. Rifacendosi al modello metabolista di città in perenne evoluzione, Takahashi stabilisce la rigorosa maglia viabilistica ortogonale della città a partire da due assi est-ovest e nord-sud (Sheikh Rashid Bin Saeed Street e Zayed The First Street), interpretando il volere dello sceicco di un’espansione illimitata e non gerarchica, e di ottimizzazione dei tempi di spostamento. Alla fine degli anni ’60, Takahashi è sostituito dall’architetto egiziano Abdelrahman Makhlouf che, nello schema viabilistico ortogonale del collega, impianta il modello insediativo ripetibile del “super block”: un comparto quadrato composto sui confini da una serrata cortina di edifici verticali multifunzionali e, all’interno, da un tessuto più fitto rarefatto con spazi pubblici, servizi e residenze separati da piccoli viottoli (sikkak), dove si ricompongono le relazioni di prossimità e le dinamiche di quartiere. Gli anni successivi alla morte dello sceicco (2004) hanno visto un periodo di lasseiz-faire con una stagione di edilizia estesa a macchia d’olio, che ha prodotto la cancellazione di alcune tracce particolarmente vivide nella memoria collettiva, come il vecchio mercato del pesce e lo “storico” souk. Oggi Abu Dhabi sta trovando una propria identità tra la chiassosa ed esibizionista Dubai e l’introversa e intellettuale Sharjah, al di là di quella apparente desertificazione di senso urbano che si coglie dietro i vetri oscurati delle auto in transito veloce, o dai riflessi della città sulle facciate continue in vetro delle torri per uffici, che conferiscono alla capitale degli Emirati l’aspetto di una metropoli replicabile ovunque. Un’identità che si coglie nel tessuto urbano denso e vibrante di downtown, nella scena socioculturale dinamica e pervasiva di Al Saadiyat e Mina Zayed, nella spumeggiante Corniche e tra le dune del deserto, dove Masdar City proietta una città nata sul petrolio in un futuro libero da combustibili fossili.

Farouk El Gohary, Al Ibrahimi Tower (Saeed Al Kalili Building), 1989 Su Electra Street, Al Ibrahimi Tower è un edificio di 16 piani che spicca per il suo volume cilindrico. In facciata, i moduli cubici in cemento armato, incastrati e ripetuti, determinano una potente dialettica chiaroscurale e suggeriscono l’idea di moltiplicazione evolutiva di matrice metabolista. 

Obeid Al-Mazru’i Building, fine anni ’80 Un po’ più avanti, sempre su Electra Street, Obeid Al-Mazru’i Buildin, incastonato tra anonimi edifici in vetro e pannelli di alluminio, è un volume cubico dalla dichiarata maglia strutturale di stampo brutalista. Gli schermi in cemento con ampi fori circolari incorniciano i balconi in una logica seriale ma giocosa, creando una zona di filtro tra l’intimità dell’abitazione e l’esterno con affaccio su strada, e reinterpretando in chiave moderna la tradizionale mashrabiyya.

Hamdam Centre, anni ’80 Deviando da Electra Street e percorrendo Hamdam Street, si trova Hamdan Centre: un monoblocco mastodontico degli anni ’80 di più torri con un tipico colore grigio-beige che evoca la sabbia del deserto, connesse da una piattaforma commerciale (tra le prime a downtown). Qui risiede l’iconico Burger King dove Sultan Al Ramahi ricorda di avere festeggiato i primi compleanni e che ancora oggi è un luogo fortemente vissuto dalla comunità. 

Georgi Kolarov, Abu Dhabi Central bus station, 1989 Situato su Sultan Bin Zayed The First Street, il complesso dal colore verde menta e dalla forma scultorea di ispirazione brutalista, con i suoi volumi massivi e l’imponente copertura è uno dei landmarks più riconosciuti della città, ancora oggi in piena attività.

Foto Pawel Pajor da Adobe Stock

Georgi Kolarov, Abu Dhabi Central bus station, 1989

Foto Pawel Pajor da Adobe Stock

Georgi Kolarov, Abu Dhabi Central bus station, 1989

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La ricerca di senso urbano ad Abu Dhabi non può che partire da downtown, la parte di città scaturita dal disegno di Takahashi e Makhlouf. Qui, come racconta a Domus l’architetto e designer Sultan Al Ramahi, la tipologia insediativa corrente è quella del superblock. Se l’edificato all’interno del comparto ha un tessuto minuto e rarefatto, lungo le arterie principali i fronti sono composti da una cortina serrata di edifici multipiano “a fungo” (base ristretta e arretrata rispetto al fronte stradale per agevolare il transito riducendo il volume su strada), con negozi al piano terra, un mezzanino e una sequenza di piani per uffici e abitazioni. Il linguaggio architettonico è variegato e spazia dalle asettiche facciate continue in alluminio e vetro degli anni ’90 agli edifici brutalisti degli anni ’60-’80, contaminati talvolta da suggestioni islamiche. Molti di questi edifici oggi sono protetti da un vincolo di tutela.

Qasr Al Hosn, 1790 Tutto parte da qui. È intorno a questo sito che nel XVIII secolo si sviluppa il primo insediamento stanziale della tribù dei Bani Yas, da cui ha avuto origine l’evoluzione urbana di Abu Dhabi. Il complesso, edificato nel 1790 come forte militare per difendere la popolazione e controllare i traffici marittimi, nel corso degli anni è stato residenza reale, sede del potere istituzionale e archivio. Ampliato nel 1945, ha subito una profonda ristrutturazione che l'ha trasformato, nel 2018, in un museo dove è possibile conoscere la storia della città, dalla fondazione all'epoca contemporanea.

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The Architects’ Collaborative, Hisham Al Ashkouri, The Cultural Foundation, 1981 Il complesso, costruito su volontà di Sheikh Zayed bin Sultan al Nahyan per valorizzare il substrato artistico-culturale della regione, è oggi un rinomato centro che ospita mostre, eventi, un auditorium e la prima biblioteca per bambini della città. L’edificio, su progetto di The Architects’ Collaborative (TAC), gruppo fondato da Walter Gropius, e successivamente perfezionato dall’iracheno Hisham Al Ashkouri, si caratterizza per un linguaggio modernista “contaminato” da suggestioni islamiche: dall’articolazione di corti interne come cuore dell’architettura, all’apparato decorativo dei rivestimenti in piastrelle colorate. 

Foto Mikkel Frost

The Architects’ Collaborative, Hisham Al Ashkouri, The Cultural Foundation, 1981 Di recente l’opera è stata rinnovata dallo studio danese Cebra, che ha conservato la materialità e l’atmosfera dell’edificio originario arricchendola di nuove funzioni, percorsi e servizi.

Foto Mikkel Frost

Foster + Partners, World Trade Centre, 2014 Il mercato centrale di Abu Dhabi è uno dei siti più storici e amati della città. Il progetto di Foster si trova nell’area del vecchio souk demolito, riproponendone lo spirito originario di spazio per il commercio e la socialità in alternativa alla tipologia “asettica” e globalizzata del centro commerciale. L’intervento, ispirato all’architettura tradizionale araba, si articola in una sequenza di piazze punteggiate da giochi d’acqua, cortili e vicoli interni dove filtra una luce mutevole a seconda delle ore del giorno attraverso lo schermo traforato di facciata. Sulla piattaforma commerciale, svettano due torri a superficie riflettente di diversa altezza e volume che ospitano uffici, appartamenti e un hotel.

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Cebra, Al Hosn Masterplan, 2019 L’area intorno a Qasr Al Hosn è stata recentemente riqualificata nell’ambito di un masterplan da parte dello studio danese CEBRA, che ha proposto un lessico figurativo per percorsi, spazi aperti, arredi urbani e piantumazioni ispirato ai caratteri del paesaggio desertico. Le superfici pedonali, punteggiate da essenze autoctone e realizzate in cemento che richiama il colore della sabbia, sembrano screpolate dal calore e decostruirsi tra piani orizzontali di calpestio e piani inclinati che gradualmente si trasformano in edifici di servizio, per la ristorazione, per il culto. Tra questi, la sala di preghiera “Al Musallah” è composta da volumi scultorei ed essenziali, impermeabili dall’esterno e irradiati di luce all’interno, che ricordano frammenti di roccia emergenti dall’acqua.

Foto Mikkel Frost

Il percorso a downtown prosegue alla ricerca delle prime tracce dell’insediamento urbano, fino ad esplorare opere che hanno ridisegnato il paesaggio e l’identità locale in epoca recente. La “fortezza” di Qasr Al Hosn: tutto parte da qui. La leggenda racconta che, durante una battuta di caccia, alcuni nomadi della tribù dei Bani Yas assetati dalla calura del deserto intravidero una gazzella e, lanciatisi al suo inseguimento, all’improvviso incapparono in una fonte d’acqua dolce. Fu qui che decisero di insediarsi, ponendo le basi del primo nucleo fortificato da cui, a partire dal XVIII secolo, si sarebbe sviluppata la città di Abu Dhabi, toponimo che in omaggio alla serendipity della sua origine significa appunto “Padre della Gazzella”. Ma Qasr al Hosn non è solo un monumento alla memoria del paese; è anche un epicentro propulsore di vivace energia urbana, a partire dal limitrofo complesso “The Cultural Foundation” (primo centro artistico-culturale della regione e oggi rinomato polo espositivo e di socialità), fino all’intervento di riqualificazione delle aree pubbliche del comparto (ad opera di Cebra) che riconnette con un linguaggio contemporaneo la trama dei monumenti più rappresentativi della città storica. Infine, uno sguardo alla reinterpretazione attualizzata dell’antico souk, oggi demolito, che rivive nello spirito denso e vibrante (tipico dei luoghi di scambio e relazione di cultura araba) del World Trade Centre, progettato da Norman Foster.

DBI – Architects, Etihad Towers, 2011 Le Etihad Towers sono un landmark chiaramente riconoscibile nel paesaggio urbano di Abu Dhabi. Il complesso è composto da cinque torri di altezze differenti connesse da una piattaforma: una torre ospita un hotel di lusso, un’altra comprende uffici e tre sono ad uso residenziale per un totale di 885 appartamenti. I volumi eterei in vetro riflettente si flettono delicatamente verso l’alto, come plasmati dalla forza del vento. L'Observation Deck a 300m, situato al livello 74 del grattacielo Conrad Abu Dhabi Etihad Towers, è il punto di osservazione più alto della città, da cui prendersi un cocktail e godersi una vista spettacolare sulla Corniche e sul Golfo Arabico. 

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Founder’s Memorial Dalla morte dello sceicco Zayed nel 2004, la sua figura di stratega lungimirante aleggia ancora nell’aria come suggerisce il Founder’s Memorial. Il monumento alla memoria del “padre fondatore” è costituito da un giardino piantumato con essenze tipiche del deserto e arricchito da giochi d’acqua (Heritage Garden), da un centro visitatori e da un monolitico padiglione cubico (Sanctuary Garden) che ospita “The Constellation”, l’istallazione di Ralph Helmick che rievoca il volto dello sceicco sagomato da oltre mille punti luminosi sospesi e ne suggerisce l’ineffabile presenza, soprattutto dopo il tramonto.

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Founder's Memorial

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Founder's Memorial

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Il lungomare è un luogo attivamente frequentato dagli abitanti della città che qui passano il tempo libero, facendo jogging nei curatissimi parchi o sostando negli innumerevoli bar e ristoranti. Qui si trovano anche alcune opere iconiche e radicate nella memoria collettiva della città e nell’immaginario comune che vede Abu Dhabi come una capitale internazionale con scintillanti architetture di rappresentanza. 

GCAM, Gluckman Tang Architects, Manarat Al Saadiyat, 2010 Aperto nel 2010 come primo centro per l'arte e la cultura nel distretto di Al Saadiyat, Manarat Al Saadiyat ospita spazi espositivi, atelier, laboratori, studi fotografici, un auditorium, una terrazza per eventi all'aperto, una caffetteria e un negozio. Oltre ad essere un rinomato centro culturale con un ricco calendario di esposizioni temporanee, il centro propone un programma di attività per incoraggiare la coesione sociale e il coinvolgimento attivo della comunità nella pratica culturale. La struttura dall’impianto ortogonale, semplice e funzionale, scandisce chiaramente gli spazi espositivi racchiusi da volumi essenziali, schermati da una quinta metallica traforata che ricorda una mashrabiyya.

Foto Davide Mauro via Wikipedia

Ateliers Jean Nouvel, Louvre Abu Dhabi 2017 “È un progetto fondato su uno dei simboli principali dell’architettura araba: la cupola. Ma qui, con evidente scostamento dalla tradizione, la cupola è una proposta moderna”. Con queste parole Jean Nouvel descrive il Louvre Abu Dhabi ad Al Saadiyat, una costola del museo parigino che traccia un ponte tra il mondo arabo e la cultura occidentale. 

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Ateliers Jean Nouvel, Louvre Abu Dhabi 2017 Il progetto ha una trama irregolare di 55 volumi ribassati distribuiti su un arcipelago artificiale tra cui si insinuano percorsi, piazze e corsi d’acqua. A riunire questi elementi disgiunti, che ricordano l’impianto di un’antica Medina, la mastodontica cupola composta da quattro strati esterni rivestiti in acciaio inossidabile e quattro strati interni rivestiti in alluminio, separati da una struttura in acciaio: gli otto strati sovrapposti, traforati da figure geometriche di varie dimensioni e angolazioni, filtrano il sole suggerendo l’immagine delle coperture in foglie di palma intrecciate delle capanne tradizionali e creano una “pioggia di luce” diffusa con effetti mutevoli, che evoca la poetica chiaroscurale dell’Institut du Monde Arabe di Parigi. 

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421 Art Campus, 2015 421 Art Campus è una piattaforma di ricerca, apprendimento e sperimentazione per artisti e creativi emergenti situata in due magazzini ristrutturati di Mina Zayed, che si occupa anche di sedimentare la coesione sociale nel quartiere coinvolgendo la comunità in percorsi di avvicinamento alla pratica artistica. Il progetto ha rispettato lo spirito industriale del comparto arricchendolo di suggestioni mutuate dalla cultura araba.

Courtesy  421

421 Art Campus, 2015 Il complesso ospita gallerie, studi, spazi di co-working, una biblioteca, un caffè, un negozio, uno spazio per installazioni permanenti e una piazza multifunzionale all'aperto. Spazi espositivi essenziali si alternano a corti con vegetazione autoctona. I fabbricati sono avvolti da un involucro in cor-tén traforato che riecheggia la texture arrugginita dei capannoni circostanti.

Courtesy  421

Il governo di Abu Dhabi da alcuni anni sta investendo consistentemente su Al Saadiyat, candidato a diventare uno dei più importanti distretti culturali del pianeta. É qui che convergono le più rinomate archistar internazionali (da Jean Nouvel con il Louvre Abu Dhabi, a Frank Gehry con il Guggenheim in costruzione, a Norman Foster e a Mecanoo con rispettivamente i futuri Zayed National Museum e Natural History Museum). Nel distretto di Mina Zayed, più lontano dai riflettori ma non meno brulicante di attività, un imponente processo di rigenerazione urbana sta trasformando l’area del vecchio porto commerciale, le cui attività principali sono state delocalizzate nel 2012, in un dinamico quartiere multifunzionale dove lo spirito del luogo rivive negli edifici industriali recuperati per ospitare spazi e servizi per la comunità. 

Zaha Hadid Architects, Ponte Sheikh Zayed, 2010 Il ponte lungo 842 metri che oltrepassa il canale Maqtah, collegando l’isola di Abu Dhabi con la terraferma, non è solo un’infrastruttura urbana strategica per l’ingresso carrabile alla capitale ma un landmark chiaramente riconoscibile nel territorio.

Foto manowar 1973 da Adobe Stock

Zaha Hadid Architects, Ponte Sheikh Zayed, 2010 I due piani stradali, ciascuno con quattro corsie, sono sostenuti da una struttura interamente in cemento armato precompresso dalla silhouette fluida e dinamica che ricorda le dune del deserto. La scenografica illuminazione notturna accentua il carattere scultoreo della costruzione. 

Foto Yogen da Adobe Stock

Foster + Partners, Masdar City, 2006-in corso Il progetto per un insediamento di circa 50.000 abitanti, situato nel deserto a 30 km dalla capitale, è stato promosso dal governo per incentivare sistemi di produzione energetica alternativi al petrolio e fare della regione un punto di riferimento internazionale nel campo della sostenibilità ambientale.

Foto solkafa da Adobe Stock

Foster + Partners, Masdar City, 2006-in corso L’impianto urbanistico a maglia geometrica regolare comprende residenze, servizi, spazi commerciali e culturali, centri di ricerca e sviluppo, tra cui il Masdar Institute of Science and Technology. Il sistema di piazze alberate, cortili e zone d’ombra rimanda ai principi insediativi della tradizionale città araba, integrati con le più raffinate tecnologie contemporanee: dall’approvvigionamento energetico esclusivamente da fonte solare ed eolica, al riciclo totale dei rifiuti, all’eliminazione di veicoli a combustibile fossile.

Foto Evaldas da Adobe Stock

Foster + Partners, Masdar City, 2006-in corso

Foto Evaldas da Adobe Stock

Esploriamo infine le infrastrutture urbane e territoriali che fanno dell’Emirato un luogo di incessante innovazione ingegneristica, tecnologica e scientifica. La città di Abu Dhabi è letteralmente un’isola, situata a meno di 250 metri dalla costa ed unita al continente tramite i ponti di Maqta, Mussafa e dal ponte Sheikh Zayed, progettato da Zaha Hadid: per chi arriva in auto, quest’ultimo ponte, scultoreo e drammaticamente illuminato nelle ore serali, fa da biglietto da visita della città dinamica e serpeggiante a cui conduce. A una trentina di chilometri da qui in mezzo al deserto, Masdar City, su masterplan di Norman Foster, è l’utopia concretizzata di una città a zero rifiuti e zero emissioni di carbonio, in un paese che da sempre ha costruito la sua fortuna sul petrolio e che guarda al futuro con una nuova prospettiva.