Chi è Francis Kéré, vincitore del Pritzker Prize 2022

L’architetto nato in Burkina Faso è stato nominato Pritzker Architecture Prize 2022. La sua architettura è pensata per emancipare le persone e produrre prosperità sul territorio, facendo leva sulla cultura locale.

Diébédo Francis Kéré, classe 1965, è stato ieri selezionato come il Laureato 2022 del Pritzker Architecture Prize, il più importante riconoscimento internazionale per l’architettura. Una giuria presieduta dal cileno Alejandro Aravena, a sua volta Pritzker Prize nel 2016, e in cui comparivano anche personalità come Deborah Berke, Kazuyo Sejima, Wang Shu e l’italiana Benedetta Tagliabue ha deciso così di premiare per la prima volta nella storia del premio un architetto africano. Nato a Gando, un paesino di 3.000 abitanti del Burkina Faso – paese dove il 45% della popolazione è al di sotto della soglia di povertà e con un tasso di analfabetismo di oltre l’80% – ha ribaltato il suo destino attraverso lo studio, diventando così uno degli esponenti più rappresentativi della diaspora africana.

  

“Qual è il ruolo dell’architettura in contesti di estrema scarsità? Qual è il giusto approccio alla pratica quando si lavora contro ogni previsione? Deve essere modesta e rischiare di soccombere alle circostanze avverse? O la modestia è l’unico modo per essere pertinenti e ottenere risultati? Deve essere ambizioso per ispirare il cambiamento? O l’ambizione corre il rischio di essere fuori luogo e di sfociare in un’architettura di mero wishful thinking?” spiega quindi la giuria. “La sua sensibilità culturale non solo offre giustizia sociale e ambientale, ma guida tutto il suo processo, nella consapevolezza che è il percorso verso la legittimità di un edificio in una comunità”.

Dal Burkina Faso, dove acquisisce una formazione da falegname, si trasferisce fin da giovane età a Berlino. Qui grazie ad una borsa di studio ottiene il diploma liceale prima, alle scuole serali, e la laurea di architettura dopo. Con la forza dell’ottimismo dalla sua consapevolezza che, in paesi come il Burkina Faso, solo l’educazione può fare la differenza, Kéré ha fondato Schulbausteine for Gando: un’associazione non profit con la quale raccoglie fondi e costruisce nel suo paese scuole e infrastrutture. Ancora prima di finire gli studi, Francis Kéré ha realizzato nel 2001 una scuola elementare a Gando, un edificio in mattoni di terra cruda, con un tetto doppio per proteggere dal caldo e dalle piogge e con un sistema strutturale di tralicci da montarsi senza gru – per il costo totale di appena 50 mila dollari. L’architettura ha subito colpito l’attenzione della critica internazionale e che è stato premiato con l’ago Khan Award for Architecture 2004.

Francis Kéré su Domus 1028, ottobre 2018

Lo stesso progetto è stato più tardi ripubblicato su Domus 1028, nell’ottobre 2018 su direzione di Michele De Lucchi: “Opera corale di una comunità, la costruzione della scuola primaria di Gando, Burkina Faso, ha segnato l’inizio di un work in progress” spiega il testo che accompagna le foto “che, grazie alla Kéré Foundation sta implementando la qualità di vita del villaggio africano”. Sullo stesso numero segue anche il progetto per la Biblioteca di Gando, un ulteriore elemento di arricchimento culturale per l’intero villaggio. Qui, per introdurre luce e ventilazione naturale negli interni, sono stati inseriti nel soffitto anelli di terracotta ottenuti dal taglio dei tipici recipienti prodotti in loco.

Sempre in Burkina Faso, Kéré ha progettato il nuovo Parlamento (Ouagadougou, in costruzione): un’architettura da 25mila mq posta sul sito del precedente edificio, pensata per essere un sistema di spazi pubblici ombreggiati per la collettività. Nel 2017, Kéré ha portato simbolicamente il suo Paese natio all’esterno della Serpentine Gallery di Londra, costruendo un padiglione temporaneo che si ispira alla vegetazione e agli alberi del Burkina Faso, caratterizzato da una tettoia in acciaio e legno da cui filtra la luce naturale di giorno e che diventa una torcia illuminata di notte (attualmente in Malesia).

  

Una delle sue ultime opere è invece lo Startup Lions Campus, un esempio di architettura sostenibile a tutto tondo, oltre che un landmark nel paesaggio brullo delle sponde del lago Turkana. Gli edifici del campus sono volumi di pietra locale rifiniti su tutte le superfici, anche le coperture non calpestabili, con lo stesso intonaco dalle tonalità calde e terrose. Il complesso si articola, non del tutto mimetico ma perlomeno ton-sur-ton, sul pendio che digrada verso lo specchio d’acqua e ne sfrutta la pendenza per definire sequenze di spazi all’aperto diversi per forma e quota. Profondamente integrato nel suo contesto – ossia nel suo paesaggio ma anche nelle dinamiche locali di produzione – lo Startup Lions Campus appare anche inspirato ad una sorta di “ragionevolezza universale”.

“Spero di cambiare il paradigma, spingere le persone a sognare e a sottoporsi al rischio. Non è perché sei ricco che dovresti sprecare materiale. Non è perché sei povero che non dovresti cercare di creare qualità” afferma l’architetto in merito del prestigioso premio ricevuto. “Tutti meritano la qualità, tutti meritano il lusso e tutti meritano il comfort. Siamo interconnessi e le preoccupazioni per il clima, la democrazia e la scarsità sono preoccupazioni per tutti noi”. Attraverso la pratica, ossia con la realizzazione di edifici costruiti dalle comunità locali in materiali reperiti in situ e di basse tecnologie, Kéré mostra il valore politico dell’architettura.

Diébédo Francis Kéré, ritratto. Foto @ Lars Borges

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