I giardini giapponesi raccontati dal paesaggista Tomoki Kato

Trasformati dallo scorrere del tempo e anche dal mutato rapporto con la città, hanno comunque mantenuto lo spirito originario e il loro valore culturale.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Domus 1057, Maggio 2021. 

Il rapporto tra città e giardino giapponese risale alle origini stesse di questa tipologia. Nel centro di Nara, l’antica capitale, nell’VIII secolo si trovavano giardini che avevano utilizzato tecniche paesaggistiche cinesi per rinnovare i caratteri originari giapponesi. Documenti e scavi archeologici ci dicono che, dopo il trasferimento della capitale a Kyoto nel periodo Heian (794-1185), anche qui sorsero numerosi giardini. Oggi, nel centro di Kyoto ne esistono ancora molti che risalgono al periodo Kamakura (1185-1333). Va da sé che i giardini sono in rapporto di reciproca dipendenza con l’architettura. Si sono trasformati di pari passo agli stili architettonici e alle città. Molti giardini giapponesi sorgevano dentro il conglomerato urbano, ma alcuni erano stati costruiti all’interno dei templi Zen, ai piedi delle montagne. Tutti, comunque, condividevano uno stesso spirito.

Il giardino del tempio Nanzen-in in un disegno tratto da “Miyako rinsen meisho-zue”, una guida illustrata ai giardini di Kyoto del 1799.

Il Sakuteiki (“annotazioni sulla composizione dei giardini”) e il più antico manuale giapponese sulla progettazione dei giardini. Si ritiene sia stato scritto tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo. Vi si afferma che “nessuna pietra posata dall’uomo dovrà mai sovrapporsi al paesaggio naturale” e che “i giardini si devono creare inserendo saldamente le idee nel territorio naturale”. Questi sono i principi più importanti da applicare secondo il Sakuteiki, che contiene anche ampie descrizioni di tecniche specifiche su come sistemare le pietre o piantare gli alberi, molte delle quali sono seguite ancora oggi. I giardini giapponesi presentano molti stili differenti: dall’ampio e grandioso daimyo, un tempo appannaggio dei feudatari, all’intimo e delicato giardino del tè fino a quello secco (karesansui) dei templi Zen. Tutti, però, condividono uno stesso spirito: il rispetto della natura. L’essenza del giardino giapponese risiede poi nell’essere animato da una portentosa scenografia che non trova un corrispettivo in alcuna attività svolta dall’uomo e cui viene data espressione tramite forme differenti. Un esempio di giardino urbano giapponese è lo shichū no sankyo, definizione che indica il concetto di costruire, in una residenza urbana, uno spazio che dia la sensazione di trovarsi appartati tra i monti. Si fonda sull’amore dei giapponesi per la leggenda cinese che narra di un saggio che si ritira dal mondo per vivere tra le montagne bevendo liquori, suonando e vivendo una vita libera. 

Quando si realizza un giardino giapponese, non è concluso, è appena nato. Una volta costruito, la cosa più importante è nutrirlo pensando a quale aspetto avrà tra dieci o 100 anni.

Joao Rodrigues, missionario gesuita che visse in Giappone tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, parlo di questo concetto nella sua Historia da Igreja do Japao chiamandola xichu no sankio: “In questa [piccola casa del tè]”, scrive Rodrigues, “viene evocata, per quanto possibile in uno spazio limitato, un’abitazione che ha lo stile di un ritiro di campagna. E fatta cioè a modello della capanna di un eremita che abbia lasciato dietro di sè le mondanità umane per riflettere sulla natura e sulle sue cause primarie. Gli abitanti di questa città ritengono che ciò compensi la mancanza di spazi di ristoro urbani. O, piuttosto, secondo l’etichetta della cerimonia del tè, questo stile viene ritenuto superiore a un puro e semplice ritiro appartato”. Ciò dimostra che gli intenditori di tè che vivevano in città consideravano prezioso avere lo stesso genere di ambiente anche tra i monti. Un tempo, il giardino giapponese sorgeva in un luogo separato dalla città ma, con l’odierno sviluppo urbano, oggi ne è divenuto parte. Kyoto ha molti giardini di questo tipo, come per esempio il giardino del tempio di Nanzen-in, realizzato da un ex imperatore del XIII secolo come costruzione separata, ma attualmente circondato da un quartiere residenziale. 

Il sito dell’Imperial Villa Garden dell’antica capitale di Nara. Courtesy Ueyakato Landscape

Oggi i giardini storici giapponesi affrontano situazioni molto diverse da quelle dei tempi in cui vennero creati e si rendono quindi necessari grandi sforzi per restaurarli e riportarli al loro aspetto originale. Nel tempio di Nanzen-in, la nostra società Ueyakato Landscape coltiva il giardino in modo che esprima un profondo senso di isolamento tra i monti, un approccio in linea con il fatto che i giardini storici urbani non sono solo apprezzati per il loro valore culturale. Sono infatti valutati anche per la loro funzione di riequilibrio ambientale, come strumento per controllare l’incremento della temperatura estiva e l’immagazzinamento delle acque meteoriche, oltre che come strumento di conservazione ecologica. E stato provato, per esempio, che le moderne ville con giardino intorno al tempio di Nanzen-in di Kyoto hanno un diretto influsso sulla tutela dell’ambiente, compresa quello dei pesci il cui numero è diminuito nell’habitat originale. Di recente, in Giappone lo sforzo di introdurre vegetazione è diventato una necessità e sono state create molte aree verdi accanto a fabbriche e uffici. Uno degli ultimi interventi della Ueyakato Landscape è un giardino sul tetto di un edificio del centro di Osaka.

Sono comunque convinto che, come abbiamo visto nel Sakuteiki, lo spirito del giardino giapponese sia vivo ovunque si cerchi di ricreare l’aspetto della natura nel senso più ampio, anche se non prende la forma di un giardino giapponese. Oggi l’attività paesaggistica giapponese svolge parecchi compiti che hanno a che fare non solo con il giardino giapponese ma, in generale, con la creazione del paesaggio: che si tratti di alberi nelle strade o di parchi. In particolare, il focus della discussione è sulla gestione del paesaggio: “Quando si realizza un giardino giapponese”, dico sempre, “non è concluso, è appena nato. Una volta costruito, la cosa più importante è nutrirlo pensando a quale aspetto avrà tra dieci o 100 anni.” Credo che ciò di cui l’attività paesaggistica giapponese ha bisogno oggi sia “nutrire uno scenario” secondo questo spirito, non solo nel rispetto dei singoli giardini giapponesi, ma anche in quello delle città cui appartengono.

Tomoki Kato (Kyoto, 1966) si è laureato presso il dipartimento di Economia dei giardini della facoltà di Orticoltura dell’università Chiba. E presidente e amministratore delegato della Ueyakato Landscape e insegna all’Università d’arte di Kyoto. Ha assorbito l’essenza del giardino giapponese osservando il lavoro dei giardinieri del tempio di Nanzen-ji, i cui giardini l’azienda della sua famiglia cura dalla fondazione, nel 1848. Nel 2013 la sua tesi di dottorato e stata premiata dall’Associazione giapponese degli architetti paesaggisti. Nel 2018 ha vinto l’ICOMOS Japan Award.

Immagine di apertura: vista autunnale dei giardini del tempio di Nanzen-in a Kyoto. Courtesy Ueyakato Landscape

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