Il ritorno dell’ambiente

La storica Sara Marini, attraverso esempi di alcune installazioni all’aperto, affronta l’urgenza dell’architettura a riaprisi, di costruire nuove alleanze con l’esterno inteso non solo come un orizzonte da inquadrare, ma anche come materia viva e mutevole con cui convivere.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1052, dicembre 2020. Il decreto del 3 novembre 2020 torna a imporre, su tutto il territorio nazionale, la chiusura (temporanea) degli spazi della cultura. Si tratta dell’ennesimo atto, durante l’emergenza Covid-19, che ribadisce una distinzione tra spazio interno ed esterno: problematico il primo, salvifico (o almeno più sicuro) il secondo.

Nulla di nuovo all’orizzonte rispetto a quanto avvenne nelle epidemie raccontate dalla storia, durante le quali l’isolamento in campagna era l’alternativa alla condivisione dello spazio in città. Così, il grande interno dei musei – come quello delle case, delle metropolitane, dei treni o degli aerei – vissuto ‘naturalmente’ fino a un anno fa, ora è minato dalla sua stessa condizione spaziale: da luogo di conservazione e fruizione ottimale, il ‘dentro’ è diventato inaccessibile e dunque sistema di reclusione e di esclusione. Segnali di un ritorno all’ambiente in ambito artistico c’erano già stati prima che la pandemia fosse una realtà condizionante: basta pensare ai monumentali interventi di William Kentridge a Roma e di Christo sul Lago d’Iseo. Nel 2016 l’artista sudafricano disegna, sottraendo parti del nero smog ancorato alle mura del Tevere, un’imponente processione intitolata Triumphs and Laments (Domus 1005 settembre 2016); nello stesso anno, una folla di visitatori – grazie a The Floating Piers di Christo – “cammina sulle acque”. I due lavori ambientali, certo unici e definiti da un singolo autore, mettevano in luce geografie e architetture esistenti.

“Senza interno”, anche in questa strana estate 2020 hanno preso corpo due progetti, una mostra e un cinema galleggiante, nei quali installazioni e film solitamente relegati in spazi funzionalmente deputati a ospitarli sono stati esposti in campo aperto, cambiandone la percezione. Entrambe queste due esperienze hanno risposto ai limiti imposti dall’emergenza traducendoli in caratteristiche già proprie di precisi luoghi, una grande residenza estiva e un frammento di laguna, che per propria conformazione impongono di disporsi nell’architettura dell’ambiente.

Christo, Floating Piers (Project for Lake Iseo, Italy). Collage 2015. 55,9 x 43,2 cm. Matita, pastello a cera, smalto, fotografia di Wolfgang Volz, dati tecnici e campione di tessuto. Photo André Grossmann © Christo 2015

L’imponente Villa Imperiale di Pesaro, il suo parco e alcuni ambienti lasciati aperti, è stata ‘occupata’ dalla mostra “Against Sun and Dust” curata da Cornelia Mattiacci e Alessandra Castelbarco Albani (20.8-3.10.2020). Il luogo dell’esposizione è stato parte attiva della scena: le opere raccolte sono state pensate per leggere e interpretare la fitta stratigrafia spaziale e temporale della villa. Il nucleo originario, commissionato da Alessandro Sforza, è terminato nel 1469; nel secolo successivo, Francesco Maria Della Rovere e Leonora Gonzaga chiedono all’architetto urbinate Girolamo Genga di restaurare e ampliare la struttura. L’ala cinquecentesca, adagiata sul colle grazie a un sistema di terrazzamenti, è definita da logge, giardini, cortili e spazi aperti (con echi del cortile del Belvedere di Bramante e della Villa Madama di Raffaello), e culmina in un’articolata terrazza, dalla quale s’impone un nuovo e diverso paesaggio: architettura e alberi gareggiano a distanza. Il titolo dell’esposizione riprende e interpreta un’iscrizione collocata sulla parete del cortile dell’ala roveresca che recita: “pro sole, pro pulvere”; le modalità della visita vogliono riattivare le stesse ragioni che hanno portato alla realizzazione di questo teatro estivo di ozio en plein air, eretto proprio “in compensazione del sole e della polvere” e di quella vita militare programmaticamente lasciata fuori le mura. Le opere site specific cadenzano il percorso interpretando e occupando spazi e tempi della villa attraverso i linguaggi contemporanei delle arti visive, della letteratura, dall’architettura, del design e della musica. L’esperienza del luogo coincide così con la scoperta delle riflessioni in esso sovrascritte, l’attraversamento è una caccia al tesoro durante la quale, però, meta e percorso sono entrambi parti del discorso, le opere sono esposte al mutare della luce, al cadere delle foglie, i visitatori sono immersi in un groviglio di storie.  

“Acque sconosciute” è il titolo dell’iniziativa di Edoardo Aruta e Paolo Rosso (Microclima) che ha dato corpo la scorsa estate (27.8-05.9.2020) a un cinema galleggiate a Venezia, per ripensare la città a partire dalla laguna. Il progetto ha raccolto la partecipazione di alcune tra le più importanti realtà culturali che operano nel centro storico come occasione per agire di concerto e accendere un nuovo luogo esposto alle maree e ai venti. Nella secca retrostante l’Isola della Giudecca, all’altezza del Rio di Sant’Eufemia, sono state realizzate due piattaforme galleggianti: una per ospitare le strutture per la proiezione e l’altra per il pubblico. Gli spettatori potevano assistere anche dalle proprie imbarcazioni private, ancorate in un’area deputata. Le proiezioni hanno visto l’avvicendarsi di racconti di registi e artisti locali e internazionali, sia storicizzati che contemporanei, come per esempio: Tango di Zbigniew Rybczynski (1981), Making A Splash di Peter Greenaway (1984), A History About Silence di Caterina Erica Shanta (2018), In girum revisited... di Antoni Muntadas (2016). Chiaramente, il tempo che è stato occupato è quello della notte, del buio, per poter dar corpo alle proiezioni. Il progetto si è quindi adoperato per abitare la laguna, per renderla accessibile anche a chi non possiede una barca, trasformando così un campo aperto in un cinema.

Pagina dall’articolo di Manfredo Tafuri sul Teatro del Mondo di Rossi a Venezia sullo stesso numero di Domus 602 (gennaio 1980)

L’architettura natante o anfibia è un archetipo veneziano. Restano scolpiti nella memoria il Teatro del mondo di Aldo Rossi, apparso nel 1979, ma anche il concerto dei Pink Floyd del 1989 così come il bellissimo padiglione della Croazia pensato per la 12. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, ma mai arrivato a destinazione, crollato attraversando l’Adriatico nel 2010. Costruire in laguna implica confrontarsi con lo strato di regole che ne definiscono i modi d’uso, con i problemi tecnici dettati dall’instabilità e dal moto, con un orizzonte esteso a contrasto con la massa dell’architettura compatta del centro storico. Acque, appunto, sconosciute che sono state attrezzate come laboratorio nello spazio di alcune notti, un laboratorio posto fuori dalla città nella quale è stata inventata la quarantena, un laboratorio immerso nella laguna punteggiata da lazzaretti dove ripensare il rapporto tra costruzione e ambiente, tra concreto e immaginario.

La mostra e il cinema galleggiante si sono confrontati direttamente con le ombre degli alberi, il vento e l’acqua. A volte, le scene della realtà hanno superato quelle della finzione: una notte veneziana ha visto la competizione tra un film di Werner Herzog e il sorgere di una grande luna rossa moltiplicata dallo specchio d’acqua lagunare. Molti si sono distratti. Per l’architettura resta un appunto: l’urgenza di riaprirsi, di costruire nuove alleanze con l’esterno inteso non solo come un orizzonte da inquadrare, ma anche come materia viva e mutevole con cui convivere: sostanzialmente, di affrontare il ritorno dell’ambiente.

Sara Marini (Urbania, 1974), architetto e dottore di ricerca, è professore ordinario di Composizione architettonica e urbana presso l’Università IUAV di Venezia. Dal 2020 è responsabile dell’unità di ricerca IUAV per la ricerca nazionale PRIN Sylva.

Immagine di apertura: proiezioni di un film della rassegna “Acque sconosciute” nella laguna veneziana, 27.8-5.9.2020. L’iniziativa di Edoardo Aruta e Paolo Rosso è stata realizzata in collaborazione con Ocean Space/TBA21− Academy, Pentagram Stiftung e Palazzo Grassi - Punta della Dogana, Pinault Collection. Foto Chiara Becattini