Il Memoriale della Shoah rappresenta la coscienza civile di Milano

Interamente dedicato alla città di Milano, Domus 1041 si apre con un articolo che parla di un’architettura speciale.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1041, dicembre 2019

Prende avvio da un vuoto questo numero di Domus dedicato alla nuova Milano. Un vuoto speciale, celato dentro la montagna di pietra della Stazione Centrale: il ventre di una balena dalle costole di cemento che si stende, nascosto alla vista, sotto i binari, tra via Pergolesi e viale Brianza. Dal 1931, quando fu inaugurata la fastosa stazione di Ulisse Stacchini, ospitava l’area di manovra postale che serviva per lo smistamento della corrispondenza, in connessione con l’ex Palazzo delle Poste.

Dall’ingresso si accede agli uffici della Fondazione tramite una scala di cemento a vista. Foto Andrea Martiradonna

Uno spazio enorme – circa 35.000 m2 – dentro il quale si allinevano 24 binari, collegati alle estremità mediante traslatori per carri-merci posizionati su due ampie fosse di traslazione che consentivano la rotazione di vagoni-merci: tre montavagoni rendevano inoltre possibile lo spostamento verticale dei carri-merci assicurando un perfetto interscambio funzionale tra i normali binari al livello superiore e quelli sottostanti alla quota di via Ferrante Aporti.

Era una macchina perfetta che, tra il dicembre 1943 e il gennaio 1945, si trasformò in strumento di sterminio scientifico, usando la sua segretezza per nascondere la vergogna di questa non prevista funzione.

Da qui, in poco più di un anno, partì una ventina di convogli stipati di ebrei e di oppositori politici (in ogni vagone stavano dalle 50 alle 80 persone) diretti nei campi di concentramento e di sterminio.

Il padiglione d’ingresso del Memoriale, sotto il livello dei binari della ferrovia. Foto Filippo Romano

Nel 2008, una parte di quest’area (7.000 m2) venne affidata da Rete Ferroviaria Italiana alla Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, seguendo il suggerimento degli architetti Guido Morpurgo e Annalisa de Curtis che, entrati in questa grotta del martirio e colpiti dalla gravità del luogo, ebbero l’intuizione che proprio qui, in questa cupa vastità ancora intrisa di una storia che reclamava di essere raccontata, sarebbe dovuto sorgere il Memoriale.

Pensarono così di realizzare non un museo, ma un luogo della civiltà che affermava le sue ragioni; uno spazio aperto alla memoria attiva, allo studio, alla riflessione, all’azione collettiva. Un progetto potente e ardito che all’ingegneria della follia oppone lo spazio del dialogo, richiamando l’architettura alle sue responsabilità di coscienza della città.

Immagine di apertura: entrando, il visitatore è accolto in una grande sala spoglia che porta verso i binari e al percorso espositivo. Foto Andrea Martiradonna.

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