Riflettori puntati su sei decenni di produzione architettonica di Balkrishna Doshi

Il Vitra Design Museum presenta la prima retrospettiva europea dedicata al vincitore del Pritzker Prize 2018, a cura di sua nipote, Khushnu Panthaki Hoof.

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La mostra curata dall’architetta indiana Khushnu Panthaki Hoof ripercorre sei decenni della produzione architettonica di Balkrishna Doshi. Presentata per la prima volta nel 2014 presso la National Gallery of Modern Arts di New Delhi e successivamente nel 2017 alla Power Station of Art di Shanghai, forte del suo successo, la mostra arriva in Europa in una versione aggiornata che il Vitra Design Museum a Weil am Rhein, presenterà l’8 settembre 2019.

Intitolata “Balkrishna Doshi: Architecture for the People”, questa nuova mostra esaminerà i vari temi che definiscono la pratica progettuale dell’architetto indiano – dall’edilizia sociale all’architettura, alla pianificazione urbana – attraverso il filtro della sostenibilità, della cultura e del rapporto con il territorio.

Abbiamo chiesto a Khushnu Panthaki Hoof di raccontarci come è nata quest’esposizione che, secondo lei, in India è diventata “un mezzo per sollevare domande, discutere approcci diversi e aprire un dialogo”.

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Ritratto di Balkrishna Doshi. Courtesy Vitra Design Museum

Cosa dobbiamo aspettarci dalla mostra?
Spero riesca ad offrire uno scorcio sui diversi approcci alla progettazione architettonica nel contesto del subcontinente indiano, dove la comprensione dell'omogeneità eterogenea e dello spazio antropocentrico sono al contempo la chiave e la sfida di ogni progetto.

Quali linee narrative avete scelto di esplorare?
La mostra è concepita attorno a quattro tematiche: "Costruire un campus integrato", "Dare potere al popolo - casa e identità", "Progettare istituzioni accademiche", "Architettura e pianificazione urbana". Questi temi si riscontrano in tutti i progetti di Doshi dal 1955. Ogni argomento esprime la sua costante ricerca per un'architettura veramente esperienziale e celebrativa, e nel tempo il risultato di questo approccio è stato una varietà sbalorditiva di forme costruite. Ciò che unisce le sue opere è l’impegno per l'atemporalità e per la definizione di “sfondi” sui quali la vita può avere luogo.

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Housing for Life Insurance Corporation« (LIC), Ahmedabad, 1973 © Vastushilpa Foundation, Ahmedabad

La mostra presenterà disegni originali e modelli, oltre a fotografie e video. Come avete gestito un archivio che copre più di 50 anni di pratica architettonica?
È stato molto impegnativo e il processo è ancora in corso. I progetti di Doshi possiedono la caratteristica di essere adattabili e aperti a future implementazioni. Questo rende ogni progetto vivo e in progress... La documentazione continua quindi a darci nuovi spunti rispetto al suo lavoro. È stato affascinante guardare nuovamente allo stesso lavoro e scoprire ogni volta qualcosa di completamente diverso.

La scenografia, che avete progettato voi, includerà anche svariate installazioni in scala 1:1. Raccontaci di più.
Con così tanti progetti significativi tra cui scegliere - che per dimensione spaziano da intere città a campus accademici e singoli edifici - è stata una sfida selezionare cosa esporre e in quale scala, capendo anche quale messaggio sarebbe passato. Mentre cercavamo di rispondere a questi dubbi, ci è sembrato ovvio che i soli disegni e modelli non sarebbero stati sufficienti. Le installazioni in scala reale, accompagnate da musica composta appositamente, sono state progettate per ricreare l'essenza delle loro manifestazioni fisiche e incoraggiare l’esperienza spaziale dei visitatori che altrimenti si ritroverebbero a interagire solamente con elementi statici come fotografie e disegni. Doshi crede che l'architettura sia come una scenografia che fa da sfondo alla vita. Essa aumenta le nostre sensibilità dormienti e rievoca associazioni nostalgiche. Per trasmettere questo pensiero nella mostra abbiamo cercato di creare un paesaggio che includa alcuni dei suoi progetti più conosciuti. E così l'ingresso allo galleria avviene attraverso un'installazione che consiste in un frammento dell'entrata della casa di Doshi. È come visitare un tempio indiano. Inoltre, per aumentare l'impatto dello spazio e delle sue relazioni con il corpo, gli occhi e il movimento, e per manifestare il valore delle proporzioni, dei volumi e delle configurazioni che ha acquisito dai suoi mentori Le Corbusier e Louis Kahn, è stata creata l'installazione dello studio Sangath. La falsa prospettiva dell'installazione crea un'illusione di reale e surreale, un mito a cui Doshi fa costantemente riferimento.

Il lavoro di Doshi è profondamente radicato nel contesto locale eppure parla a un pubblico internazionale (il fatto che abbia ricevuto il Pritzker Prize sembra sottolineare questa tensione). Come avete tradotto quest’aspetto nella narrazione? Dobbiamo aspettarci dei ponti tra i primi progetti di Doshi e gli edifici di Le Corbusier e Louis Khan in India?
Sento che i ponti che collegano i primi lavori di Doshi con le opere di Le Corbusier e Louis Kahn in India si basano sulla comprensione dello stile di vita, del clima e della cultura indiana, che si riflette nella manifestazione delle opere di Doshi in vari modi. Quindi direi che se uno guarda da vicino trova questi ponti filosofici. Per esempio la famosa frase di Le Corbusier, "Ogni mattina nasco nella pelle di un asino". Questo spinge Doshi a sfidare se stesso ogni giorno e ad esplorare nuovi modi di costruire.

Qual è stato l’apporto di Doshi nella realizzazione della mostra?Mentre lavoravamo alla mostra nel 2013, abbiamo avuto diversi dialoghi con Doshi. In quel periodo mi disse che la mostra doveva parlare alle masse, ognuno doveva uscirne con qualcosa, un'esperienza o una domanda o un pensiero o un senso di meraviglia. In India non esiste la cultura di andare nei musei e l'architettura è sempre stata considerata una professione elitaria; per questo abbiamo voluto rompere quella barriera e rendere l’esposizione più inclusiva per studenti, professionisti provenienti da campi diversi, ma anche l'uomo comune.

In qualità di architetta, partner dello studio e nipote di Doshi, quali sono state le sfide e i punti di forza nello sviluppo della mostra? Come hai fatto, per esempio, a omettere (o includere) la soggettività del tuo punto di vista?
Curare questa mostra è stato un percorso di apprendimento profondamente emotivo e intellettuale, da ogni punto di vista. La sfida e la domanda che continuavo a pormi era: "ho fatto abbastanza?". È una grande responsabilità e lo è ancora di più per me, visto che sono la nipote di Doshi. Allo stesso tempo, poter osservare tuo nonno a casa e al lavoro e poi dover riflettere su quello che fa ti offre una prospettiva completamente diversa, e inizi a vedere dei parallelismi tra il suo modo di vivere e i suoi progetti. Ho l’impressione che ognuno di noi sia fatto così com’è a causa della propria educazione, delle esperienze che fa e delle preoccupazioni che ha. Le opere e la vita di Doshi sono interconnesse - sono una cosa sola. Vive e respira l’architettura. L'architettura per lui è vita. La sua connessione con le persone - compassione, riverenza, solidarietà, umiltà - è essenziale nel suo vocabolario architettonico, e ciò si vede nelle sue esperienze di vita e nelle relazioni che ha costruito. Non penso si sia mai posto il problema di evitare il mio punto di vista soggettivo poiché sin dall'inizio Doshi non ha mai imposto i suoi pensieri su di me. Anzi, come dico spesso, Doshi è un insegnante in compagnia del quale si impara senza venire istruiti. Il suo approccio è sempre stato quello di porre domande fondamentali e farti scoprire la tua risposta in modo intuitivo.

Titolo mostra:
Balkrishna Doshi: Architecture for the People
Date di apertura:
30 marzo - 8 settembre 2019
A cura di:
Khushnu Panthaki Hoof
Luogo:
Vitra Design Museum
Indirizzo:
Weil am Rhein, Germany

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