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London Unreal Estate

Alla vigilia dei Giochi olimpici, Justin McGuirk riflette sulle conseguenze politiche e sociali dell'incandescente mercato immobiliare di Londra e si chiede: che ne è della città che aveva pioneristicamente promosso l'ideale moderno di social housing?

Siamo alla Haggerston West Estate di Hackney, nell'est di Londra. Dalle finestre di uno degli edifici superstiti in questo gruppo di case popolari, teste giganti osservano quello che accade all'esterno. Sono i ritratti dei pochi residenti rimasti. Le altre finestre sono quasi tutte sbarrate con pannelli di legno color arancio, la cui installazione è iniziata cinque anni fa, poco dopo che era stata decretata la condanna alla demolizione dell'edificio. L'iniziativa si deve a Fugitive Images, un collettivo di artisti residenti nel palazzo che hanno deciso di battersi contro questi simboli del disfacimento, opponendo loro dei segnali di vita. Il messaggio è compitato attraverso tre finestre del pianterreno: I Am Here — sono qui.

Il condominio accanto è già stato abbattuto, mentre in tutta Hackney — da Haggerston a Dalston e Homerton — la costruzione di appartamenti di lusso continua a pieno regime. C'è da chiedersi di quali criteri i palazzinari si servano per far ricorso al termine 'lusso': si tratta forse dell'uso di pannelli in plastica sulle facciate? Sia come sia, ciò che più preoccupa è quello che i nuovi palazzi stanno rimpiazzando, ossia, in alcuni casi, alloggi popolari come quelli contraddistinti dalla provocatoria serie di ritratti. Costruite negli anni Trenta — in un rione che, nella Poverty Map del 1889 di Charles Booth, era classificato come "dissoluto, semicriminale" — queste case neo-georgiane per appartamenti si trovano ora nel cuore di una delle aree londinesi segnate da un intensivo sviluppo. E verranno, a quanto pare, sostituite da una comunità 'vivace', 'vibrante' e 'varia'. "Come mai queste comunità non sono mai state descritte in questo modo prima che spuntassero gli operatori immobiliari?", chiede Andrea Luka Zimmerman di Fugitive Images, mentre infilza la brochure promozionale. "Queste parole sono solo aria fritta".

In tutta Londra, le case popolari sono 'out', mentre la costruzione di alloggi di lusso è 'in'. È la fase finale di un gioco iniziato trent'anni fa, quando la Thatcher ha tagliato i fondi all'edilizia popolare sovvenzionata dallo Stato per introdurre il "right to buy", misura che offriva ai residenti il diritto di acquistare i loro appartamenti. I londinesi conoscono perfettamente gli effetti di quelle due scelte politiche sulle loro vite: un'annosa penuria di alloggi, unita alla privatizzazione delle case popolari, ha reso quasi impossibile, non solo per i ceti meno abbienti ma anche per la classe media, acquistare un'abitazione in qualsiasi zona semicentrale. La crisi degli alloggi sta peggiorando fin dall'inizio della recessione, con società immobiliari che costruiscono meno e banche che non prestano denaro: l'anno scorso, gli affitti sono cresciuti del 12%, le liste d'attesa si stanno allungando e i senzatetto sono in aumento.
In apertura: Elephant and Castle. Lo Heygate Estate, con porte e finestre sigillate in attesa della demolizione decretata da un radicale progetto di rigenerazione dell’area. Sullo sfondo, a sinistra, la Strata Tower, realizzata nel 2010: il totem di un’operazione immobiliare privata, guidata da principi di “laissez-faire”. Qui sopra: Bow. Case a schiera, case comunali del dopoguerra e un edificio a torre ristrutturato degli anni Sessanta convivono a Bow
In apertura: Elephant and Castle. Lo Heygate Estate, con porte e finestre sigillate in attesa della demolizione decretata da un radicale progetto di rigenerazione dell’area. Sullo sfondo, a sinistra, la Strata Tower, realizzata nel 2010: il totem di un’operazione immobiliare privata, guidata da principi di “laissez-faire”. Qui sopra: Bow. Case a schiera, case comunali del dopoguerra e un edificio a torre ristrutturato degli anni Sessanta convivono a Bow
"Ti puoi perdere in questa giungla di cemento /nuove costruzioni continuano a spuntare dal nulla", canta il rapper Plan B nel suo recente singolo, Ill Manors, tagliente commento sulle condizioni sociali che hanno portato agli scontri dell'anno scorso. Il video del brano è stato girato nell'area di Forest Gate a Newham, nell'est di Londra, uno dei distretti più poveri del Paese. Qui, e in altre zone che fanno parte o che confinano con il sito delle Olimpiadi, uno dei progetti di rigenerazione più massicci a cui la città abbia mai assistito è sfociato nella costruzione di migliaia di unità residenziali, il che ironicamente rende pressoché impossibile immaginare l'esistenza di una crisi degli alloggi. Comunque, i londinesi sono abituati ai paradossi: in aprile è piovuto quasi ogni giorno e i giornali erano pieni di titoli sulla siccità. A quanto pare, il livello delle riserve idriche è basso, così come le scorte di appartamenti, prosciugate da decenni di scarsi approvvigionamenti. Negli anni del secondo dopoguerra, il periodo in cui lo stato sociale ha goduto dei maggiori consensi, in Inghilterra le amministrazioni locali costruivano centinaia di migliaia di abitazioni all'anno, con percentuali di produzione rimaste relativamente costanti fino alla fine degli anni Settanta, indipendentemente dalla coalizione di governo. Ma uno sguardo al grafico della produzione di edilizia popolare rivela un brusco calo a partire dal 1979, anno in cui la Thatcher diventò primo ministro. Nel corso dei governi successivi, la decrescita si è consolidata fino a toccare quasi lo zero, secondo una tendenza che la politica successiva dei New Labour — ossia obbligare gli operatori immobiliari a includere nei loro piani una certa quantità di abitazioni a prezzo calmierato — ha fatto pochissimo per contrastare. La Thatcher era convinta che il settore privato sarebbe dovuto subentrare, e sarebbe di certo subentrato, una volta che il Governo si fosse ritirato, dando vita a una nazione di piccoli proprietari, nonché elettori del partito Conservatore. Ma la sua fiducia nel mercato ha mancato di molto il bersaglio: a partire dalla metà degli anni Cinquanta, infatti, le società immobiliari costruiscono più o meno lo stesso numero di abitazioni all'anno. Non c'è stato alcun bisogno di affrettarsi per aprire una breccia, il che significa che le imprese stanno costruendo secondo quantità prossime al limite delle effettive possibilità, oppure che non sono incentivate a costruire di più. Dopotutto, perché mai dovrebbero svalutare i loro prodotti abbassando la richiesta?
Hackney. I ritratti degli ultimi residenti rimasti nelle loro abitazioni resistono all’imminente demolizione dell’Haggerston
West Estate, realizzato negli anni Trenta
Hackney. I ritratti degli ultimi residenti rimasti nelle loro abitazioni resistono all’imminente demolizione dell’Haggerston West Estate, realizzato negli anni Trenta
È un sabato a Bow, e dozzine di gruppi si avviano alla visita guidata del sito olimpico—"Andiamo tutti al safari urbano", attacca Ill Manors. Da qui a Three Mills Green, a sud del parco olimpico, in lontananza è già possibile scorgere un nuovo paesaggio che prende forma. La Spirit of Stratford, una torre residenziale di 43 piani, costruita al centro del quartiere da poco rigenerato, è diventata il nuovo punto di riferimento in questa parte della città. Con la sua facciata arcobaleno, simile a una scatola di pastelli Caran d'Ache piantata in verticale, rappresenta il sogno di ogni operatore immobiliare. Ma si tratta anche di una struttura high-rise: ossia del tipo di condomini a torre che si supponeva godessero di scarsa popolarità nel Paese, in quanto coperti dal discredito architettonico e politico, almeno quando rappresentavano uno dei simboli dell'edilizia popolare. Ma questa massiccia variante neoliberale è apparentemente accettabile, non ultimo perché sta aiutando Newham a raggiungere il suo obiettivo in quanto a numero di alloggi — un lascito di 655 unità solo qui. Il fatto che gli appartamenti di Spirit of Stratford siano venduti come ciambelle, acquistati da investitori cinesi che comprano per affittare, lascia intendere tuttavia che l'edificio difficilmente contribuirà a risolvere la crisi di alloggi nell'area.

Recentemente, inoltre, Newham ha fatto scoppiare uno scandalo politico, quando è emerso che l'amministrazione era stata costretta a spostare centinaia di famiglie a Stoke-on-Trent, a 160 miglia a nord di Londra. Con i nuovi limiti ai contributi sull'affitto decisi dalla coalizione di governo, il comune non poteva semplicemente permettersi di dare alloggio a questi residenti all'interno del distretto. I critici della politica governativa predicono da tempo che le sue misure di austerity daranno luogo a una massiccia emigrazione dei ceti più poveri dalla capitale. Persino il sindaco Tory di Londra, Boris Johnson, in questo caso ha preso le distanze dalle decisioni dell'esecutivo, affermando che non avrebbe consentito che in città avesse luogo "una pulizia sociale in stile Kosovo". E per quanto sia incline all'iperbole, in questa occasione Johnson è apparso forse un po' troppo sbilanciato rispetto ai suoi stessi interessi, permettendo che la più dura critica mossa alla situazione londinese dall'inizio di questo secolo uscisse proprio dalle sue labbra. E non è tutto. I media sono zeppi di notizie sul fatto che Newham sta coltivando un nuovo genere di baraccopoli invisibile. Nei vicoli tra le case a schiera, i proprietari hanno infatti preso ad aggiungere delle propaggini provvisorie alle loro abitazioni, costruendo, secondo i giornali, delle "super-capanne" affollate di immigranti che pagano centinaia di sterline la settimana. "Non ci vuole molto per guadagnare un sacco, sempre che uno sia disposto a fare commercio della miseria umana," ha detto al Guardian Robin Wales, sindaco di Newham. Quindi, ecco infine l'Euro-slum, il ritorno delle colonie dickensiane. Se non esistessero, Londra dovrebbe inventarle. Oggi, forze speciali sono incaricate di sradicare questi "super-shed", usando elicotteri e fotografie aeree. Nel frattempo, ad appena un miglio di distanza, la nuova e splendente Stratford City, con la sua mega zona commerciale di Westfield, promette di servire una nuova comunità in ascesa.
In tutta Londra, le case popolari sono 'out', mentre la costruzione di alloggi di lusso è 'in'. È la fase finale di un gioco iniziato trent'anni fa, quando la Thatcher ha tagliato i fondi all'edilizia popolare sovvenzionata dallo Stato.
Finsbury square. L’Occupy camp di Finsbury Square, luogo simbolico della resistenza contro il potere della City
Finsbury square. L’Occupy camp di Finsbury Square, luogo simbolico della resistenza contro il potere della City
Appena oltre il Lea River, ripulito di fresco, Bow è il terreno di altri fenomeni che suonano come leggende metropolitane, ma sono invece realtà. I residenti, per esempio, sono decisamente inquieti: è stato loro comunicato che è al vaglio un piano per installare batterie di missili antiaerei sui tetti di alcuni condomini per prevenire attacchi terroristici in stile 11 settembre durante le Olimpiadi. Fa meno sensazione la notizia—più interessante in prospettiva futura — che, poco lontano, l'Ikea stia costruendo un nuovo quartiere di 1.200 abitazioni: Strand East — questo il nome del nuovo insediamento che sorgerà su un'ex zona industriale — ha spinto gli esperti a coniare battute sulle "abitazioni in scatola di montaggio". Finora, a parte il terreno spianato dalle ruspe, qualche magazzino superstite e una gigantesca torre in legno modellata sulla fiaccola olimpica, c'è poco da vedere: tuttavia, per quanto la commissione di controllo sull'architettura (CABE) abbia criticato la quantità limitata di spazio pubblico nella proposta Ikea, i primi progetti fanno pensare che Strand East mostrerà più buon senso di quanto non abbia fatto l'intervento perpetrato a Stratford. Ciò indica la possibilità che anche questo inatteso spicchio del settore privato comprenda i meccanismi della buona urbanistica meglio di molti altri operatori immobiliari. Lo stesso probabilmente non si può dire del gigante dei supermercati Tesco, che ha in progetto di costruire una sua cittadina poco lontano, lungo il fiume. Il sito è attualmente occupato dal "Tesco superstore" di Bromley-by-Bow, un modello suburbano ormai al tramonto, stretto tra l'autostrada A12 e il suo stesso vasto parcheggio. Lì, il gruppo mira a costruire 300 abitazioni, suddivise tra un complesso di media altezza e una torre in vetro, che mostrano di non avere alcun rapporto reciproco. Di queste abitazioni, solo 76 sono definite 'accessibili'. Gli alloggi accessibili hanno quindi preso il posto dell'edilizia popolare, e il Governo ha decretato che gli affitti accessibili possono toccare l'80% del valore di mercato: una cifra fuori portata per le classi meno abbienti. Ma il vero interrogativo riguardo ai progetti Ikea e Tesco è se offrano alcunché di nuovo. Saranno conditi di marketing insidioso, posizionamento del prodotto, ambiguità pubblico-privato e di tutte le trappole di un Merzbau Ikea o Tesco? A Londra, permettere che colossi multinazionali della vendita al dettaglio costruiscano intere comunità appare come una forma di innovazione. Così, le porte della chiusa sono ora spalancate. E se McDonalds, sponsor ufficiale delle Olimpiadi, progettasse di entrare nel mercato immobiliare nell'est di Londra, il cammino sarebbe sgombro: fortunatamente, sembra abbia solo deciso di costruirci il ristorante più grande del mondo.
A sinistra:  Barking. Una delle torri di appartamenti del Gascoigne Estate, realizzate dal Comune negli anni Sessanta, in fase di progressiva demolizione. A destra: Southwark. l Neo Bankside, condominio di lusso progettato da Rogers Stirk Harbour + Partners nei pressi della Tate Modern
A sinistra: Barking. Una delle torri di appartamenti del Gascoigne Estate, realizzate dal Comune negli anni Sessanta, in fase di progressiva demolizione. A destra: Southwark. l Neo Bankside, condominio di lusso progettato da Rogers Stirk Harbour + Partners nei pressi della Tate Modern
Per quanto gran parte di tutto ciò che abbiamo descritto possa risultare sconsolante, sarebbe ingiusto non ricordare che negli ultimi anni l'est londinese ha assistito anche alla nascita di alcuni progetti residenziali illuminati. Rimanendo a Bow, c'è il Donnybrook Quarter di Peter Barber: un insieme di case a schiera e a corte simile a una casba nordafricana rivisitata. A pochi chilometri a est del parco olimpico sorge il centro di Barking, rinnovato da ahmm e muf, dove nuovi appartamenti e servizi sono disposti attorno a una piazza concepita con grande cura. A qualche centinaio di metri sorgono gli Anne Mews di AHMM e Maccreanor Lavington, due file di generose case a schiera in mattoni costruite dall'altra parte dei binari rispetto a un altro progetto di Peter Barber — Tanner Street Gateway. Ma si tratta di casi troppo rari di un'edilizia residenziale disposta a offrire più dello stretto necessario e dotata di una qualche ambizione civica. E Anne Mews, che non rappresenta solo un'offerta di abitazioni a prezzo accessibile ma ospita anche alloggi popolari, diventa un caso ancora più raro. Ma ora che il sindaco ha tagliato di oltre il 70% i fondi per le housing associations, le possibilità che progetti di questo tipo vengano realizzati di nuovo in futuro sono molto scarse. Da dove arriverà allora il resto dei soldi? Ma dai privati, naturalmente. Londra ridefinisce incessantemente i limiti di quello che il settore privato può offrire. Se produce baraccati di super-capanne, è capace anche di primeggiare nel mondo per pied-à-terre vergognosamente costosi. Prendete One Hyde Park a Knightsbridge, un complesso progettato da Rogers, Stirk, Harbour + Partners per i fratelli Candy. Il pianterreno ospita una filiale della Abu Dhabi Islamic Bank, mentre da qualche parte, ai piani superiori, l'anno scorso un appartamento è stato venduto a 135 milioni di sterline. E se è inutile dire che in questo caso non si parla di quoziente di "appartamenti accessibili" —all'80% degli affitti di mercato anche il magnate medio avrebbe i suoi problemi — è perché i costruttori di tali culle di lusso pagano l'amministrazione locale per costruire alloggi popolari da qualche altra parte.

Uno dei problemi del mercato immobiliare della capitale — per i residenti locali, s'intende—è che rappresenta un investimento estremamente sicuro. Negli ultimi tempi, l'ondata di crisi politiche ed economiche, che ha colpito vari Paesi stranieri, ha dirottato sul mercato immobiliare londinese un mare di soldi provenienti da Libia, Egitto, Italia e Grecia. Ma, al di là della sicurezza del mattone, Londra rappresenta, di fatto, la capitale di un paradiso fiscale per super ricchi. Il fatto che i cosiddetti non-domiciliati — o "non-doms"—fiocchino nella capitale rende la vita più difficile a tutti noi. Il Governo britannico li corteggia perché crede nell'"effetto cascata" della loro enorme ricchezza, nonostante oggi questa nozione sia screditata e non esista — come ci dice David Harvey — alcuna versione spaziale e tangibile di tale effetto. Vale a dire che un maggior numero di appartamenti costosi per i ricchi non porta a un maggior numero di appartamenti per i poveri. Casomai, è vero il contrario. "L'idea che una città possa prosperare (in termini di accumulo di capitali) mentre i suoi abitanti (a parte le classi privilegiate)… faticano a tirare avanti non è mai presa in considerazione", afferma Harvey. Alla Heygate Estate nella zona di Elephant and Castle, nel sud di Londra, 1.260 appartamenti sono sbarrati e in attesa di demolizione. Gigantesche fette di modernismo municipale sono vittime di un'agenda politica thatcheriana, che ha avuto successo nello svilire l'edilizia sovvenzionata sulla base dei problemi sociali che implicava, soprattutto se era realizzata su scala industriale e contraddistinta da un'utopia architettonica anni Cinquanta. La retorica degli "insediamenti fallimentari" — gli "ill manors" di Plan B — ha puntato il dito verso gli architetti, concentrando l'attenzione su incidenti come il crollo della Ronan Point Tower nel 1968, piuttosto che sulla mancanza di investimenti nella manutenzione.
Elephant and Castle. Lo Heygate Estate, con porte e finestre sigillate in attesa della demolizione decretata da un radicale progetto di rigenerazione dell’area.
Elephant and Castle. Lo Heygate Estate, con porte e finestre sigillate in attesa della demolizione decretata da un radicale progetto di rigenerazione dell’area.
A Heygate è ancora possibile passeggiare sui camminamenti sopraelevati che dominano generose aree a giardino. Com'è prevedibile, intorno alla palestra qualcuno sta girando un video pop. Qui e a Haggerston si materializza l'ultima beffa all'edilizia popolare sovvenzionata, ridotta al ruolo di set per un video musicale o a sfondo per espressioni artistiche. Ma se questo futuro estinto è pittorescamente deprimente, il nuovo futuro è semplicemente demoralizzante. Si presenta con facciate che somigliano a codici a barre e turbine a vento installate per pura ostentazione, come nella Strata Tower dietro l'angolo. Al posto di Heygate sorgerà un nuovo insediamento di 2.500 unità, quindi di densità doppia, di cui appena il 25% sarà 'accessibile'. Nei nuovi insediamenti, l'ex sindaco Ken Livingstone era riuscito a innalzare il tasso di "abitazioni accessibili" al 50%, ma Johnson ha stracciato il provvedimento, preferendo affidare a ogni distretto la possibilità di fissare la propria percentuale. Così ora solo circa metà dei residenti originali riuscirà a tornare, e solo a patto che se lo possa permettere. Gli abitanti di Haggerston sono più fortunati, dato che saranno tutti ricollocati nel nuovo complesso: "pepper-potted", come si dice in zona, ossia mescolati con i proprietari più ricchi. Quale che sia il vostro punto di vista sulle comunità a reddito misto — che le vediate come un forzato imborghesimento o una manifestazione di diversità sociale — quello che la distruzione di questi complessi indica è la fine dell'edilizia convenzionata come zona di eccezione, libera dalla logica di mercato. Politicamente, è ovvio, questa è storia vecchia, e in questo senso Heygate non rappresenta altro che la scomparsa delle prove. Provate a difendere un Heygate — o un complesso come Robin Hood Gardens — e verrete tacciati di feticismo. Il che può essere giustificato, se il feticcio è relativo al momento in cui gli architetti avevano ancora una funzione politica, ma non se rappresenta ciò che rimane di una politica progressista. Si calcola che la popolazione di Londra crescerà da 7,9 milioni a 9 milioni entro il 2030, il che significa che abbiamo bisogno di costruire 32.000 abitazioni all'anno per far fronte alla richiesta. Ne stiamo costruendo la metà. Il problema di affidarsi al settore privato per fornire questi alloggi non sta solo nel fatto che ai meno abbienti ne sia destinato un numero irrisorio. Esiste piuttosto un fondamentale disincentivo economico, dato che ci sono tanti soldi da fare rifinanziando e speculando sulla produzione esistente, almeno quanti ce ne sono nel produrre un maggior numero di abitazioni. Di nuovo Harvey: "Stimolare la richiesta tramite la detassazione, escamotages politici e altri incentivi (come aumentare il volume dei mutui sub-prime) non si traduce necessariamente in una fornitura maggiore: non fa altro che gonfiare i prezzi e stimolare la speculazione". Se dopo aver oliato per trent'anni un simile ingranaggio non è ancora chiaro che il mercato non può risolvere la crisi degli alloggi, allora non so proprio se mai lo sarà. Allo stesso modo, è evidente a chiunque viva in questa città che il mercato non opera nell'interesse dei bassi redditi. Allora perché continuiamo a guardare al mercato in modo così servile? Non è sicuramente il momento migliore per fare un'osservazione del genere, mentre in tutto il Paese il governo taglia i fondi agli affitti convenzionati, ma è tempo che il settore pubblico affronti le proprie responsabilità. Non è solo l'unica via di cui il Governo dispone per raggiungere i suoi beneamati obiettivi, ma è anche l'unico modo per ristabilire zone di eccezione che proteggano i cittadini ordinari da un mercato senza scrupoli. Justin mcGuirk (@justinmcguirk)

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