La città è il soggetto dominante dell'attuale discorso architettonico. Nello scorso decennio il suo ritorno in auge si è consumato in ondate d'attualità: urbanistica del paesaggio, urbanistica infrastrutturale, network, centri urbani in contrazione e metropoli su larga scala in costruzione in Cina e in Medio oriente. E la crisi del 2008, con la repentina evaporazione delle commesse edilizie, ha consolidato la città come soggetto di singolari progetti di indagine. La griglia urbana di New York, il degrado di Detroit, lo sviluppo eterogeneo e incontrollato di Los Angeles sono diventati intriganti argomenti di ricerca e di speculazione.
Ma che ne è stato di Boston? Le sue dimensioni non invitano a un'analisi approfondita? O dipende dal fatto che, in veste di giardino di casa di Cambridge, è troppo vicina perché le istituzioni didattiche investano in progetti sulla città?
Chris Grimley, Michael Kubo e Mark Pasnik non la pensano allo stesso modo. In veste di curatori di IN FORM – esposizione attualmente in corso nella galleria pubblica BSA Space recentemente inaugurata all'interno del nuovo quartiere generale della Boston Society of Architects progettato da Howeler + Yoon – hanno progettato una rassegna che è una lettera d'amore a Boston. Il trio fa parte di over,under, uno studio multidisciplinare del South End che è anche sede della galleria del gruppo pinkcomma. L'attività dello studio ha consentito in anni recenti a Boston di diventare un importante luogo di produzione di architettura e design e di rilevante attività culturale. La loro prima iniziativa è stata Rethinking Boston City Hall nel 2007, seguita nel 2009 da Public Works: Unsolicited Small Projects for the Big Dig and EROIC, uno studio sulle locali strutture brutaliste.
In Form: raccontare la città
Chris Grimley, Michael Kubo e Mark Pasnik hanno progettato una rassegna che è una lettera d'amore a Boston e contribuisce ad accrescere nel pubblico la comprensione della città.

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- Mimi Zeiger
- 22 marzo 2012
- Boston

IN FORM non è esattamente un approdo finale delle prime ricerche bostoniane, ma raccoglie una serie di tematiche sul tessuto urbano, sulle infrastrutture esistenti e sui talenti locali emergenti. La mostra, sottotitolata "Communicating Boston", copre una tradizione poco conosciuta di invenzioni nel campo dell'architettura, del design e della grafica lunga cinquant'anni contribuendo ad accrescere nel pubblico la comprensione della città. IN FORM proietta infatti la futura immagine di Boston in modo informale, ma non arbitrario – meditato ma non sovrastimato. I temi espositivi, "Legible City", "New/Public" e "Futures" forniscono risposte con una varietà di medium: fotografie, diapositive, grafiche, brevi video, modelli, applicazioni iPad e un opuscolo.
"Un modo per parlare di una città è lasciare che la città parli di sé stessa", dice una delle numerose citazioni di un pieghevole distribuito gratuitamente in galleria. La citazione è di Peter Chermayeff, architetto e principale finanziatore della Cambridge Seven Associate. Due di questi progetti, la modernizzazione di metà-fine anni sessanta del sistema del Massachusetts Bay Transport Authority (MBTA) e "Where's Boston?" un decennio dopo, sono presentati sotto il titolo "Legible City". Il successivo progetto, un invitante padiglione gonfiabile a strisce bianco, rosso e blu, eretto nel Prudential Center nel 1975, celebrava gli abitanti della città. Dentro la struttura, uno spettacolo di suoni e di luci attraverso 3.100 immagini di vita contemporanea nell'area urbana con le voci dei residenti a fare da colonna sonora. All'interno di IN FORM, "Where's Boston?" è presentata attraverso enormi fotografie e visori per diapositive retrò. Il progetto è disposto come una sorta di discorso urbano. In quanto tale, la città rappresentata dà voce a una narrazione in cerca di un pubblico. Al BSA lo spettatore guarda la proiezioni di diapositive indossando auricolari, muovendosi tra eventi passati e esigenze recenti e mettendosi in ascolto di una città alla vigilia del suo bicentenario. Allo stesso modo i curatori hanno riportato in superficie l'Experimental Information Center di Ashley, Myer e Smith del 1969.
Al BSA lo spettatore guarda la proiezioni di diapositive indossando auricolari, muovendosi tra eventi passati e esigenze recenti e mettendosi in ascolto di una città alla vigilia del suo bicentenario
Il centro informazioni, il cui immaginario è ispirato dall'estetica di Archigram, costituito da tubi sono tube, con volte simili a palloni aerostatici, era un punto d'incontro costituito da molteplici tecnologie di comunicazione dell'epoca: proiettori di diapositive, nastri scorrevoli su cui erano riportate le notizie di borsa, telefoni (a un modello meticolosamente ricostruito di questo genere è dedicato uno spazio espositivo). E ancora una volta i curatori scelgono di riesaminare gli archivi di Boston in cui architettura e cittadinanza si incontrano dialogando. Ma non crediate sia un'operazione nostalgica. La conferma è la presentazione del Landing Studio's Chelsea Salt Thermal, uno studio di ricerca avviato nel 2004 sui cumuli di sale per disgelo che ogni inverno si accumulano nei dintorni di Chelsea, nei pressi di Boston. Considerata alla stregua di degrado urbano dai residenti, l'opera è nata dalla collaborazione degli architetti con il designer della luce David Rudolph e ha trasformato il sale in un luogo di comunicazione pubblica grazie a messaggi proiettati su larga scala e ha costruito, grazie al contributo pubblico, un paesaggio astratto di partecipazione. Un muro di disegni e fotografie documenta il processo Landing Studio, ma a dominare la scena nel BSA Space è la pila di sale alla disperata ricerca di un impiego.
Tre progetti contemporanei sono raggruppati sotto il tema espositivo "New/Publics": il Community Rowing Boathouse dell'Anmahian Winton Architects e Utile del Boston Harbor Island Pavillon. Queste strutture rappresentano il meglio delle opere civili intraprese a Boston negli ultimi tempi. Un breve filmato è dedicato a ciascuno degli edifici. Come nella proiezione di diapositive di "Where's Boston?" il materiale cattura l'ordinario. Solo che in questo caso il protagonista è un edificio e non la popolazione. I fruitori sono in questo modo sollecitati a prendere in considerazione la necessità di spazi culturali e di attrattive in città. È tuttavia la grafica informativa di IN FORM a offrire ricchezza al processo. Cartine e diagrammi documentano l'uso quotidiano nel corso del tempo, la gestione e i dati istituzionali come la ripartizione degli spazi, il numero di libri e computer, o, nel caso della casa galleggiante, le conchiglie (160). Ma è una semplice tabella a illuminare al meglio l'allineamento tra architettura e società civile. Nell'elencare tutti gli organismi coinvolti nella realizzazione di questo progetto – dal Boston Conservation Committe all'US Army Corps of Engineers – i curatori rendono leggibile la burocrazia sottostante la vita urbana dimostrando come questa infrastruttura sia altrettanto importante per l'architettura di qualunque altra scelta progettuale o dei materiali. IN FORM rende visibile la complessità, ma non è interessata a proporre una ottimizzazione o un'efficienza qualunque. Un elemento questo ben riassunto nella citazione di Kevin Lynch all'entrata dell'esposizione: "Una città che invita all'ordine è senz'altro meglio di una città ordinata". Mimi Zeiger