Il Mali di Francis Kéré

Nel progetto delle strutture di servizio per il parco nazionale del Mali e del centro visitatori della Grande Moschea di Mopti, Diébédo Francis Kéré compie una mediazione tra tecnologia e vernacolare.

Nel Paese dei Dogon, gli enormi massi sembrano polverosi cubi giocattolo, disseminati in un paesaggio fuori scala. Nemmeno il baobab ci aiuta a capire dove siamo: è difficile inoltre immaginare come un albero di queste dimensioni abbia potuto testimoniare millenni di storia umana e sopravvivere. L'immensa falesia di Bandagara, che si estende in diagonale per circa 150 chilometri attraverso il sud del Mali, non contribuisce a rassicurare l'uomo sull'insondabile opera della natura. Una mano in questo senso arriva dall'alto: l'enorme precipizio in pietra arenaria, alto anche 500 metri, è punteggiato da strutture circolari in fango e pietra. Anche queste sembrerebbero fuori scala se non fosse per le finestre tagliate all'altezza della spalla che consentono alla luce di penetrare e di guardare all'esterno.

Lo scorso gennaio ho visitato con Diébédo Francis Kéré la terra dei Dogon, al confine con il Burkina Faso, suo paese d'origine. Abbiamo prima fatto tappa a Mopti, dove abbiamo parlato dei due recenti progetti che l'Aga Khan Trust for Culture gli ha commissionato in occasione del cinquantesimo anniversario dell'indipendenza del Mali: il centro visitatori di Mopti, che ospita il Centre for Earthen Architecture, e le infrastrutture di servizio per il parco nazionale del Mali, a Bamako. L'edificio di Mopti è stato completato in seguito al restauro avvenuto nel 2006 della grande moschea adiacente. L'espansione islamica in Mali nel XIV secolo è all'origine delle moschee costruite con mattoni cotti al sole e delle elaborate torri in fango. La struttura interna in legno delle torri serve da impalcatura per ricoprirla, come ogni anno, di fango. Il parco di Bamako, invece, è uno dei più importanti progetti civici dell'Africa Occidentale.

Ho incontrato Kéré per la prima volta al MoMA di New York, in occasione della mostra Small Scale, Big Change: New Architectures of Social Engagement curata da Andres Lepik, alla quale l'architetto burkinabé partecipava con il progetto della scuola elementare di Gando. Quel pomeriggio trascorso assieme a Mopti, invece, mi ha portato a riformulare l'atteggiamento di Kéré nei confronti dell'architettura da lui intesa come complessa mediazione tra tecnologia e vernacolare.

In alto: Il ristorante del parco si trova sopra un promontorio roccioso. Una grande copertura metallica, sorretta da un sistema strutturale metallico, protegge quattro blocchi diversi, ognuno con una funzione differente.
Sopra: Il centro sportivo si compone di tre costruzioni che si affacciano su un cortile a cielo aperto. Kéré progetta una grande copertura in aggetto in modo da proiettare la maggior quantità possibile di ombra verso la piazza interna.

Durante il viaggio nelle terre dei Dogon (popolo che arrivò qui all'inizio del XV secolo da un luogo incerto dell'attuale Burkina Faso), Kéré mi ha raccontato: "Questo paese è un luogo speciale. Il paesaggio non assomiglia a niente di conosciuto, di definito. Non è solo bello come in Europa: è spettacolare. E quando sei lì pensi all'architettura e, poi, a quello che è capace di fare la natura".

I tre padiglioni del parco sono rivestiti con lastre di pietra originaria della regione. Kéré contiene così i costi e rafforza i legami con la tradizione materica locale.

Le enormi radici dei baobab hanno bisogno di spazio e gli alberi crescono distanti gli uni dagli altri. La tradizione Dogon di prelevare strisce intere di corteccia di baobab per usi medici e rituali dà forma, attraverso la sequenza degli alberi, a vere e proprie trame decorative. E mentre camminavamo nella savana tra due falesie costellate di villaggi Dogon, Kéré diceva che anche le schiere di baobab sono architettura. "Questi alberi magnifici formano un singolo elemento", rifletteva Kéré. "Un baobab è solitario, come una nota. Molti baobab creano un ritmo. È necessaria la ripetizione, ma anche l'alternarsi delle note. Lo spazio tra un albero e l'altro è talmente grande. È architettura".

Kéré ha il delicato compito di fondere progetto con identità nazionale, visione e realtà.
L’ingresso al centro sportivo. Kéré articola le sue architetture in costruzioni dalla doppia anima: la base compatta è sormontata da un tetto metallico dall’apparenza leggera. L’aria penetra tra i due elementi, mettendo così in moto un sistema di ventilazione naturale.

Lo spazio 'intermedio' tra due baobab è un concetto usato da Kéré nella scuola elementare di Gando e che trova corrispondenza nell'ambizioso progetto del parco nazionale del Mali. L'Aga Khan ha commissionato a Kéré il padiglione d'ingresso, un ristorante e un centro sportivo. In partnership con il governo del Mali, l'Aga Khan ha convertito quel che restava di un giardino botanico d'epoca francese in un immenso parco in cui passeggiare, rilassarsi e fare esercizio. I muri razionalisti in pietra del complesso sportivo contribuiscono a dare forma allo spazio 'intermedio': un'enclave in cui il visitatore può interagire trovando rifugio dal caos di Bamako. "La cosa più importante per me è lo spazio esterno: il parco. E per quanto riguarda il centro sportivo, è un'area speciale aperta e chiusa, al tempo stesso. Le mura trasformano un luogo per lo sport in uno spazio intimo".

La struttura d'ingresso, il ristorante e il centro sportivo presentano caratteri simili. La base è rivestita con strisce verticali in pietra ed è coperta da un tetto con una trave reticolare metallica che, oltre a proteggere dal sole e dalla pioggia, offre una ventilazione naturale alle stanze con un'unica eccezione, il ristorante, per il quale il cliente ha voluto l'aria condizionata.

Francis Kéré indica una delle costruzioni del popolo Dogon, incassata nelle fenditure rocciose della falesia di Bandiagara.

Kéré non ambisce solo a riscrivere il vernacolare o a reinterpretare l'estetica moderna usando materiali locali. Il suo progetto indica una ricerca architettonica razionalista. Egli elabora l'architettura della leggerezza, moltiplicando in ogni singola trave reticolare una trama geometrica composta da sottili elementi così da creare sezioni più eleganti e delicate. Il tetto in lamiera, una grande copertura in aggetto che fluttua leggero nell'aria, rende omaggio alla Crown Hall dell'Illinois Institute of Technology disegnata da Mies van der Rohe. "Usavano pietra locale per il pavimento", spiega Kéré nell'introdurre la struttura della facciata. "Ne ho proposto l'applicazione anche nella costruzione del muro. Mi hanno detto che non era possibile. Erano abituati a tagliare la pietra in modo istintivo. Ho chiesto loro di farlo in modo razionale, non decorativo. Gli scalpellini, alla fine, hanno tagliato la pietra in dimensioni diverse e creato un modulo". Le strisce orizzontali di pietre costituiscono un motivo contrastante con le forze ascensionali del tetto.

Il centro visitatori di Mopti è stato costruito dopo il restauro, nel 2006, della moschea di Komoguel.

Kéké indica Mies van der Rohe e Louis Kahn tra gli architetti che hanno esercitato maggiore influenza sul suo lavoro, rivelando in questo modo il significato della sua mediazione tra tecnologia (innovazione) e tradizione (vernacolare). Questo approccio bilanciato non è frequente in Africa dove il progetto tende a presentare o una estetica primitiva o un'estetica high-tech che riproduce la nozione occidentale di progresso.

Il centro visitatori di Mopti.

In contrasto con il controllo assoluto esercitato da Kéré sul processo costruttivo nella scuola elementare di Gando, gli edifici del parco hanno seguito un'altra strada. La produzione delle travi del tetto è stata la parte più difficile. Mentre Kéré ne realizzava un prototipo in Burkina Faso nel tentativo di dimostrare che poteva essere costruito sul posto, l'Aga Khan, non trovando ingegneri locali, lo faceva produrre in Turchia. L'aspirazione del cliente di produrre un simbolo importante di progresso contrastava con il desiderio di Kéré di servirsi dell'abilità tecnica della popolazione locale.

I muri e le volte interne sono stati realizzati con mattoni di terra compressa.

In un mondo in cui l'architettura è a volte considerata un prodotto interscambiabile, Kéré rappresenta un'eccezione. Nell'affrontare il progetto di Mopti, Roberto Fabbro, dell'Aga Khan Trust of Culture, gli chiese un edificio simile alla scuola di Gando, ma Kéré rispose: "Non sono un supermercato". È piuttosto un architetto che basa il proprio lavoro sui processi, applicando soluzioni diverse in base alle condizioni. Come a Gando, ha usato mattoni stabilizzati con terra e con un 5% di cemento e una struttura reticolare per il tetto; ne ha rinnovato, però, l'interno utilizzando un sistema di volte ribassate.

Il centro visitatori di Mopti.

Francis Kéré vive tra mondi diversi: un giorno nella globalizzata Germania, il giorno successivo in Burkina Faso e poi in Mali al servizio di chi desidera progettare il futuro. Come architetto ha il delicato compito di fondere la progettazione con l'identità nazionale, la visione e la realtà.
Caroline James
Architetto

Il centro visitatori di Mopti.

Design Architects: Kéré Architecture

Project Team: Isabelle McKinnon, Claudia Buhmann, Olivier Gondouin, Emanuela Smiglak, Ines Bergdolt
Structural engineering: Birad Sarl, SAMKO
Construction supervision: Kéré Architecture, AKTC (Roberto Fabbro, Senda Ben Jaafar, Souleymane Diallo, Manuel Mora Sánchez)
Landscape design: Planning Partners, SA

Client: AKTC
Built area: 3,000 m2
Cost: €1.7 Million
Construction time: 11/2009–09/2010