Translated By, Tradotto da

Alla Architectural Association 11 scrittori e 11 luoghi letterari sono oggetto di una traduzione immateriale, attraverso la voce.

I muri dell'ultima mostra dell'Architectural Association Gallery di Londra sono dipinti di grigio sordo. Undici grandi numeri bianchi sono collocati in modo studiato intorno alla sala e, accanto ai numeri, ci sono piccole cartoline postali. Sedie e sgabelli di vario tipo sono sparsi dappertutto. Ma quando si afferra una cuffia audio professionale e quello che sembra un'audioguida si capisce chiaramente che la mostra in questa sala non c'è. Non è affatto un'esperienza visiva. La mostra è una specie di montaggio sonoro di luoghi reali e finti descritti da undici autori, tra cui Douglas Coupland, Rana Dasgupta, Hu Fang, Julien Gracq, Tom McCarthy, Guy Mannes Abbott, Sophia Al Maria, Hisham Matar e Neal Stephenson. I vivaci racconti sono recitati da attori e durano circa dieci minuti, attraversando in vario modo i paesaggi di Ramallah, della Sofia di inizio secolo, una Vancouver fredda come la morte, per arrivare a un posto di blocco tra la polvere della Palestina. Ogni autore ha inviato una piccola foto formato cartolina: un'immagine catalizzatrice che attira l'attenzione degli ascoltatori. La mostra non si sviluppa in sala a sulle sedie: sta tra i cuscinetti in spugna degli auricolari e l'orecchio del visitatore. Nell'atrio dell'Architectural Association i curatori dell'esposizione Shumon Basar e Charles Arsène-Henry illustrano i pensieri e i percorsi che hanno seguito nel realizzare una mostra senza mostra.
Nella galleria della AA undici scrittori hanno guidato i visitatori in altrettanti luoghi attraverso un viaggio letterario spazio-temporale: dal deserto di Doha alla Brooklyn d'inizio anni Settanta.
Nella galleria della AA undici scrittori hanno guidato i visitatori in altrettanti luoghi attraverso un viaggio letterario spazio-temporale: dal deserto di Doha alla Brooklyn d'inizio anni Settanta.
Beatrice Galilee: Come è nata questa mostra: perché avete deciso di realizzare un'esposizione narrativa, e in particolare sonora?
Shumon Basar: I motivi, per tutti e due, sono un po' venuti fuori insieme. Uno è il contenuto, l'altro è la forma. Il contenuto riguarda il rapporto tra scrittura e lettura, e poi tra scrittura e luogo e tra luogo e voce. La forma è l'audioguida. Credo che quest'ultima sia diventata uno degli aspetti più perniciosi dell'esperienza museale contemporanea. Allo stesso tempo rappresenta l'incarnazione di tutto ciò che riguarda la collettivizzazione e la cancellazione dell'interpretazione individuale nei confronti dell'arte. Quello che ci interessa è il modo in cui usiamo questo apparecchio, questa esperienza museale familiare a tutti noi, in un modo che illumini e renda più accessibile ciò che si vede, invece di renderlo meno leggibile.
Charles Arsène-Henry: La mostra è nata da due differenti livelli di desiderio che si incontrano nell'oggetto audioguida. L'altro aspetto nasce dall'atto concreto della lettura e da ciò che implica. Nasce da qualcosa che solo la narrazione è in grado di fare. La narrazione può istituire infiniti livelli di comunicazione tra due coscienze dall'interno.

Come si è sviluppato il processo? Come avete scelto gli autori? Avete posto loro dei vincoli?
SB: Una volta deciso che si sarebbe trattato di un'opera sonora è diventata un montaggio audio di 10-11 tracce. Il che ci ha permesso di individuare dei parametri immediati, quantitativi. Poi abbiamo iniziato a discutere di quali autori di nostra conoscenza avessero scritto di luoghi. Luoghi reali oppure di fantasia. Il titolo della mostra "Translated by" ("Tradotto da") è quello che gli scrittori di successo riescono a fare: essere tradotti in altre lingue, ma qualcuno potrebbe dire, con Walter Benjamin, che l'atto di leggere è analogo all'atto della traduzione. Un po' alla Tom McCarthy, ogni testo è simile a un codice, che va codificato e decodificato. Quello che ci interessa è il modo in cui degli scrittori traducono qualcosa che riguarda il luogo. Non c'era un solo testo, per cui in questo senso lavoriamo entrambi come redattori. La mostra presenta alcune somiglianze con il concetto di antologia, ma un'antologia in cui tentiamo di costruire una curiosa mappa fatta di questi testi. Quindi per noi non era incredibilmente importante che i testi fossero commissionati. Montati e collocati l'uno accanto all'altro, diventano testi nuovi. Quello che ci interessava era realizzare una mostra non esaustiva e che non traesse vita dal mondo dell'immagine. Voglio dire, che cosa sono le immagini? Impressioni neurali della mente. Quindi le immagini che mettiamo insieme nella mente quando sogniamo qualcuno che parla sono immagini reali come quelle che vediamo.

Ci sono parecchi pregiudizi di cui il pubblico non riesce a liberarsi quando entra in una galleria d'arte: si immagina che tutto ciò che si vede non si possa toccare, tutto è un pezzo da esposizione da rispettare. Secondo la mia esperienza è molto difficile chiedere ai visitatori di superare questa soglia, di spezzare la barriera. Qual è stata la risposta del pubblico dall'inaugurazione a oggi? È disposto a seguire le istruzioni? Si vergogna?
SB: Ecco perché i nostri cari addetti alla vigilanza, che stazionano al piano di sotto, costituiscono una parte fondamentale del processo. Devono far capire immediatamente al pubblico senza audio la mostra non esiste. Per tornare alla natura dell'audioguida: per convenzione in un museo si tratta di un supplemento all'arte. Si può scegliere se usufruirne o meno, qui la differenza è che la situazione è invertita. Non è secondaria, è l'elemento principale.
CAH: C'è un'altra cosa che trovo fantastica e che non si poteva pianificare, ed è il fatto la mostra si manifesta solo quando viene attivata. La mostra non esiste senza i visitatori. Tre giorni fa sono entrato nello spazio e c'erano dieci ragazzi in silenzio assoluto. Li vedevi solo con le cuffie in testa. L'immagine mentale: è allora che la mostra si realizza.

Dopo la chiusura della mostra, se ne farà un libro. State anche progettando dei dialoghi sulla narrazione e sulla lettura con alcuni ragazzi di diciotto diciannove anni: che cosa sperate ne venga fuori?
SB: Volevamo realizzare qualcosa che analizzasse come i modi della lettura siano cambiati, stiano cambiando e cambieranno, in parte attraverso il progresso tecnologico. Ci rendiamo conto che oggi se ne parla molto, ma in generale sono tutte cose scritte da persone che stanno al di qua di una certa soglia generazionale, per le quali la principale modalità di accostarsi al testo è la stampa. E, per quanto sia una bella cosa, è differente parlare, in termini di teoria, di come le cose stanno cambiando e quindi di come le vive una generazione per la quale la distinzione tra stampa e digitale, pagina e schermo non costituisce una divaricazione ontologica, etica e morale, ma è parte di un panorama senza soluzione di continuità. E perciò abbiamo pensato alle persone, al modo in cui siamo cresciuti restando nell'angolo di una stanza... tutte le generazioni sperimentano rivoluzioni di questo tipo. A un certo punto si è abbastanza adulti da scegliere se aderirvi. C'è una soglia che non si sceglie, ci si nasce e basta. E quindi abbiamo deciso di rivolgerci ai giovani per i quali Internet non era una cosa cui adattarsi, c'era e basta. Oggi che un bambino di 18 mesi è in grado di giocare con l'iPad, ci sembra molto importante sapere dai più giovani quale sia il loro rapporto con la scrittura e con la lettura. Ci sono questi schieramenti contrapposti. Abbiamo un atteggiamento aperto sull'argomento. Può anche darsi che l'esperimento ci dimostri il contrario.
CAH: Si, prendiamo per esempio il modo quasi ossessivo in cui i diciotto-diciannovenni collezionano i vinili. È una cosa che implica una reazione e una controreazione. Le scelte sono diverse, a seconda delle generazioni. Per esempio, io ho scritto per sei o sette mesi con una macchina per scrivere; la considero una cosa vecchia. Ma per le generazioni più giovani è una cosa del tutto estranea, un alieno. E puoi provare molta più attrattiva per qualcosa di alieno piuttosto che per qualcosa di vecchio.
Al termine della mostra, un volume, pubblicato da Bedford Press e progettato da Z.A.K., raccoglierà tutte le storie e i saggi dei curatori. Sarò presentato nel corso di un evento che farà il punto sul futuro della scrittura, lettura, ascolto e letteratura.
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Translated by
Architectural Association Gallery
36 Bedford Square
London WC1B 3ES
Curatori: Charles Arsène-Henry e Shumon Basar
Scrittori: Douglas Coupland, Rana Dasgupta, Hu Fang, Julien Gracq, Jonathan Letham, Tom McCarthy, Guy Mannes Abbott, Sophia Al Maria, Hisham Matar, Adania Shibli, and Neal Stephenson
Ogni scrittore ha "inviato" una piccola foto formato cartolina, che attira l'attenzione degli ascoltatori. Rana Dasgupta, per esempio, ci conduce alla scoperta del paesaggio attorno a Sofia, in Bulgaria.
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<a href=" http://sophiaalmaria.wordpress.com" target= "_blank">Sophia Al Maria</a>, scrittrice e blogger che vive in Qatar e si definisce Qatarican (contrazione di Qatariana e Americana), ci trasporta nel deserto di Doha dove lo Sheraton Hotel in costruzione sembra  un’astronave Azteca atterrata da poco.
Sophia Al Maria, scrittrice e blogger che vive in Qatar e si definisce Qatarican (contrazione di Qatariana e Americana), ci trasporta nel deserto di Doha dove lo Sheraton Hotel in costruzione sembra un’astronave Azteca atterrata da poco.
Tom McCarthy è uno scrittore e artista concettuale che vive a Londra. Il suo racconto è ambientato nel quartiere di Brixton.
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Scrittrice palestinese nata nel 1974, Adania Shibli è stata premiata per due volte dalla A.M. Qattan Foundation con il Young Writer Award-Palestine. È l’autrice di un saggio per il libro dell’artista palestinese Emily Jacir, autrice della foto di Qalandia, uno dei più grandi chekpoint del nord della Cisgiordania.
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Il racconto dello scrittore canadese Douglas Coupland, l'autore di Generazione X, è associato a una drammatica immagine di West Vancouver.
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