Il cambiamento della città investe tutto il mondo con ragioni diverse. In Europa il processo di concentrazione e diffusione urbana dà luogo a quelle che Peter Hall chiama mega-city-regions: nel Sud e nel Nord della Gran Bretagna, nella regione compresa tra Bruxelles e Amsterdam, nella Ruhr e nella Pianura Padana, la mega-city-region di Milano che va da Torino a Venezia. Osservando Milano in due immagini dal satellite del 1972 e del 2001 ci possiamo rendere conto di quanto il cambiamento sia evidente. Nella immagine del 1972 (Fig. 1) è ancora riconoscibile una struttura urbana compatta che si è sviluppata lungo alcune radiali, in particolare verso Nord, con una serie di centri posti a corona, che fanno da centri di aggregazione di secondo ordine, seguendo uno schema tipicamente Christalleriano. Ben distinti sono i capoluoghi delle province confinanti. Molto diversa è la situazione che ci si presenta al 2001 (Fig. 2).
L’area centrale di Milano non ha più soluzione di continuità con molti dei Comuni della prima e seconda cintura. Ma allargando lo sguardo, è evidente che il principio insediativo che governa l’intera area di influenza di Milano è profondamente mutato: diverse altre formazioni urbane appaiono come nebulose che giungono a inglobare province confinanti: la conurbazione del Sempione, la città lineare del Saronnese che giunge fino a Varese, la ‘foglia’ della Brianza, cui si è affiancata una nuova ‘foglia’ sulla direttrice del Vimercatese, sviluppata fino ad includere Lecco. Verso Sud le aggregazioni appaiono meno dense, ma estese e riconoscibili. Due fenomeni si propongono alla nostra attenzione: da un lato l’emergere di una morfologia territoriale fatta di parti e di aggregazioni che la definizione di “area metropolitana” non riesce più a catturare, dall’altro la necessità per descrivere la regione urbana milanese di considerare un’area che comprende fino a 10 province appartenenti a tre Regioni diverse, con quasi 8 milioni di abitanti e 700.000 imprese. Se cerchiamo di capire le ragioni che hanno portato a questi cambiamenti dobbiamo in primo luogo riflettere sui movimenti che interessano la città e sulle loro accelerazioni. La Città di Milano ha perso, negli ultimi 30 anni, quasi un terzo della sua popolazione (480.000 abitanti), raggiungendo oggi una dimensione inferiore a quella che aveva nel 1951, all’indomani della guerra e prima dei grandi fenomeni migratori. Questa popolazione si è rilocalizzata nella Provincia di Milano e in altre province confinanti (in particolare in quelle della fascia pedemontana). Le ragioni che hanno spinto il decentramento sono ben note: da un lato un mercato abitativo urbano in forte tensione e dall’altra lo sviluppo continuo della motorizzazione privata che ha consentito di raggiungere con relativa facilità luoghi sempre più lontani. Questa perdita così rilevante è stata compensata da un aumento della popolazione che utilizza la città quotidianamente o temporaneamente. Ogni giorno entrano nella città di Milano 700.000 auto, per motivi diversi. 320.000 persone passano dalla Stazione Centrale. Negli aeroporti milanesi di Linate e Malpensa transitano complessivamente 26 milioni di passeggeri l’anno, ma con Orio al Serio sono 30 milioni. Erano meno di 15 milioni dieci anni fa. Gli studenti iscritti alle università milanesi sono 180.000, di questi solo 35.000 sono milanesi, gli altri 145.000 vengono da fuori.
Questi pochi indicatori sono sufficienti a capire quale è l’estensione ed allo stesso tempo l’intensità dei flussi che interessano una grande regione urbana come quella milanese, che sono anche, se non soprattutto, flussi di merci e di informazioni. Gli effetti dell’accelerazione del movimento sono stati responsabili di importanti processi di frammentazione dei quali l’immagine da satellite è uno specchio.
Nella sfera economica alla crisi della grande industria ha fatto riscontro una polverizzazione della struttura produttiva: oggi le imprese della Provincia di Milano sono 370.000, con un incremento del 65% rispetto al 1981. Una impresa ogni 10 abitanti. Nella sfera sociale il forte movimento di redistribuzione selettiva della popolazione ha frammentato reti familiari e territoriali tradizionali con una serie di conseguenze: dalla crisi del vicinato, all’espulsione delle giovani generazioni, al conseguente invecchiamento, alla polarizzazione sociale, all’aumento delle disuguaglianze tra gli abitanti della città centrale. Nella sfera politico-amministrativa vi è stata una proliferazione di soggetti pubblici e privati abilitati ad assumere decisioni su ambiti sempre più ristretti, venendo meno il ruolo di integrazione orizzontale dei partiti e degli organi di rappresentanza.
Ma parallelamente assistiamo al riannodarsi di legami tra componenti della città estesa, che in qualche modo ci propongono nuove forme di aggregazione e di socialità slegate dallo spazio. Lo sviluppo dei sistemi di comunicazione sia di tipo elettronico che fisico consente, assai più di quanto non fosse possibile in passato, la creazione di quelle che Amin e Thrift chiamano “comunità a distanza”. Si tratta di reti associative che non hanno una base territoriale costante o che non hanno affatto una base territoriale, come è il caso dei blog di Internet. Così mentre si indeboliscono le relazioni di vicinato, si sviluppano reti associative basate su interessi comuni, che producono una socialità leggera, per certi versi meno impegnativa ma non per questo meno importante. Gruppi giovanili accomunati da interessi per un certo tipo di musica, o da altre passioni come la giocoleria, o per uno specifico sport; reti che accomunano interessi e protesta come è il caso dei gruppi prevalentemente giovanili di “critical mass” che ogni settimana si ritrovano e attraversano la città occupandone le strade per chiedere più spazio alla bicicletta. Reti di popolazioni che anche provenendo da considerevoli distanze si ritrovano per animare un luogo – un centro sociale come il Leoncavallo o la Stecca degli artigiani – o un intero quartiere come il quartiere Isola. Reti di tipo professionale, culturale, di ascoltatori di una radio, reti legate a particolari interessi per il cibo, gli animali o le medicine alternative; reti familiari o di amicizia che mantengono in relazione popolazioni ormai disperse nella regione urbana; reti di popolazioni appartenenti a diverse etnie che si ritrovano in determinati giorni della settimana o sulla base di un passaparola. Tutti questi gruppi sono caratterizzati dal fatto di intrattenere relazioni stabili attraverso le reti informatiche o telefoniche e dal ritrovarsi, di tanto in tanto, in alcuni spazi diversi della città estesa. Questa è la Milano contemporanea. Fatta di movimento, di frammentazione, di costruzione di nuove reti. Non ci sono destini già scritti né dal punto di vista di una sua completa de-territorializzazione e disgregazione, né tantomeno è pensabile che senza prendersene cura questa città possa continuare ad essere motore dello sviluppo e ambiente di vita accogliente per la popolazione che la abita. Credo sia necessario interrogarsi su quali sfide essa presenta ad un sistema di attori, ciascuno dei quali ha poteri di intervento limitati e fortemente dipendenti dall’azione di altri, di fronte all’estendersi del suo spazio ed alla crescita tumultuosa dei suoi problemi e delle sue opportunità.
Riferimenti
AA.VV, Milano, nodo della rete globale, Mondadori, Milano 2005
Ash Amin, Nigel Thrift, Città. Ripensare la dimensione urbana, Il Mulino, Bologna 2005
Assolombarda, Le dinamiche del territorio. Milano nel confronto nazionale ed internazionale, Milano 2005
Zygmunt Bauman, Fiducia e paura nella città, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano 2005
Manuel Castells, La nascita della società in rete, Università Bocconi Editore, Milano 2002
Alessandro Balducci, Professore ordinario di Politiche Urbane e Territoriali, Direttore del Dipartimento di Architettura e Pianificazione (DiAP) del Politecnico di Milano.
