In occasione della mia visita alla Son-O-House, ho compreso ben presto che cosa significhi non rassegnarsi all’esistenza dello spazio assoluto. Uno spazio che, da Isaac Newton in poi, costituisce le fondamenta della visione occidentale del mondo ed è stato esaltato in tutta la sua linearità dai costruttori modernisti del XX secolo.
Lo spazio attraversato e circoscritto dalla struttura di Lars Spuybroek e Edwin van der Heide non rimane mai uguale a se stesso, a prescindere dall’osservatore. Non può nemmeno essere definito ‘relativo’, nel senso einsteiniano del termine, in quanto la curvatura dei pavimenti, delle pareti e dei soffitti non è orientata secondo un campo gravitazionale indipendente dalla percezione umana.
L’interno della casa muta non appena ci si sposta; d’altronde si è quasi costretti a farlo - di rado infatti mi sono ritrovato in un ambiente in cui lo stimolo a muoversi e a guardarsi intorno si manifestasse con tale intensità. In realtà ‘guardare’ non è il termine più appropriato, giacché lo spazio non è organizzato in senso strettamente visivo (anche se naturalmente lo è, e in modo tale che la struttura appare diversa da diversi punti di osservazione). Lo definirei piuttosto uno spazio organizzato non tanto a livello visivo, quanto a livello sensitivo, poiché agisce appunto sul corpo nella sua globalità.
Si tratta di una sorta di “interattività plastica”, cioè di un’interazione tra l’installazione e le persone che la visitano, non mediata da un’interfaccia posta tra le persone e l’installazione stessa, come accade invece quasi sempre nell’interattività cibernetica. Nell’edificio di Nox, lo scambio viene vissuto fisicamente dal visitatore e avviene nell’ambito spaziale dell’edificio, la cui forma è pervasa di sensazioni virtuali che si concretizzano man mano che si procede al suo interno: sensazioni di scorrimento, strappo, apertura, irrigidimento, attenzione distratta o distrazione attenta.
La Son-O-House è una scultura che non nasce da un movimento fermato nella materia; il movimento è infatti rimasto virtualmente presente nel volume della struttura, ne circonda gli elementi materiali e allo stesso tempo li permea. Lo stesso vale per i suoni emessi dall’installazione che Van der Heide ha integrato nel progetto di Spuybroek. Dagli altoparlanti non proviene musica, bensì un ronzio, la cui tonalità varia a seconda dei movimenti delle persone presenti nei diversi ambienti.
Le frequenze emesse, per un fenomeno di interferenza, producono onde trasversali, differenti per volume e altezza da un luogo all’altro, con uno schema che varia anche a seconda degli spostamenti. La musica prodotta è pertanto dotata di una struttura, non di una partitura. Inoltre, mentre di solito la musica è un mezzo per animare il tempo, rendendo fisicamente percettibile il trascorrere del presente, qui, grazie alla musica, si avverte il trascorrere dello spazio.
La Son-O-House è stata progettata, in primo luogo, come opera d’arte all’aperto. Quando si chiede loro quale sia il concetto che li ha ispirati, Spuybroek e Van der Heide rispondono con considerazioni interessanti sul processo bottom-up che hanno seguito. Secondo loro, il concetto di base è la progettazione tecnica; ma da parte mia ritengo che in quest’opera non sia possibile distinguere tra forma e concetto, o tra segno e significato, semplicemente perché la casa è l’unico segno al mondo che rechi in sé il significato.
E non c’è altro modo di riflettere sulle sensazioni evocate da questo edificio, se non quello di entrarvi e affidare qualsiasi riflessione al proprio corpo. Si tratta insomma di qualcosa di veramente nuovo, non perché sia contrapposto al ‘vecchio’ conservato nell’archivio della nostra cultura, ma perché genera e stimola un nuovo campo di esperienza fisica.
Non sono in grado di affermare se la Son-O-House sia bella o brutta; credo però che solo se Spuybroek - autonomamente o in collaborazione con Van der Heide – creasse altre opere del genere, in futuro sarebbe possibile comprendere il significato di questo modo di fare architettura, alla base del quale vi è chiaramente un concetto spaziale - che per il momento si può soltanto avvertire a livello emotivo e razionale.
