Il Museo Sayamaike di Tadao Ando, all’estrema periferia di Osaka, è più una sorta di scavo archeologico che un museo in senso tradizionale. Il meticoloso perfezionismo del linguaggio architettonico di Ando e la sua intransigente ricerca della pura forma geometrica hanno dovuto misurarsi con la difficile realtà di un sito percorso da scavi, terrapieni e opere idrauliche, realizzate fin dall’antico periodo Edo per controllare i numerosi corsi d’acqua presenti nella zona. Ando non ha dunque creato un edificio singolo e distinto, bensì un paesaggio architettonico complesso. Se ci si avvicina dal lato più scosceso, il museo sembra quasi una scogliera da scalare. Se invece si arriva dall’altra parte, ci si trova improvvisamente a guardare giù dall’orlo della ‘scogliera’. È un paesaggio permeabile: vi si può girare attorno o si può attraversarlo, si può sparirvi dentro a un certo livello e riemergere da un altro. Il caffè, per esempio, si trova su quello che è al tempo stesso il tetto e un piano d’ingresso. Gli argini di fango, i legnami grezzi, le pietre macchiate dalle intemperie che formano il grosso dei contenuti del museo, sono evidentemente piuttosto invadenti e interferiscono nell’opera dell’architetto. Egli ha cercato di sistemarli nel migliore dei modi all’interno del complesso, ma ha concentrato le sue energie soprattutto in una direzione: fare dell’edificio un simbolo, a dimostrazione dell’abilità dell’uomo nel controllare le acque. Ed è riuscito a trasmettere il messaggio con grande forza ed efficacia.
Il cuore del progetto non è la sala espositiva interna, per quanto grandiosa, ma la corte d’acqua a cielo aperto parallela alla sala. Si sente la presenza di questo spazio molto prima di vederlo. Nel percorrere una intricata serie di cortili con pareti cieche di cemento, che sono il ‘marchio’ di Ando e danno carattere a questo sito suburbano altrimenti anonimo e insulso, a poco a poco ci si rende conto del suono dell’acqua che scorre in cascata. È il rumore che si sente quando l’acqua viene davvero agitata, più forte del gorgoglio di un bacino d’acqua che straripa o del frastuono della pioggia battente: eppure l’origine del suono si rivela solo gradualmente, via via che il visitatore scende una doppia scala entro una fenditura tagliata nel cemento. Finalmente appare una cortina d’acqua, che sembra scorrere senza interruzioni su due pareti che si fronteggiano nella corte, fino ad arrivare a un bacino. Si scendono i gradini, si gira l’ultimo angolo e solo allora ci si accorge che l’acqua viene giù lungo due pareti cieche di cemento, nella cui metà inferiore è stata praticata un’apertura per creare un ambulacro dietro la cortina liquida.
In quest’opera Ando amplia ancora il suo repertorio architettonico: riveste il cemento con fogli di metallo al livello superiore, e all’esterno ha portato controventature strutturali in diagonale. La soluzione addolcisce l’impatto del cemento, che l’architetto usa con tanta maestria. Stare in piedi al centro di quella che sembra una gigantesca macchina ad acqua è un’esperienza che ha un potere quasi ipnotico: e serve a ricordare con efficacia quanto grandi fossero le forze cui dovettero far fronte a suo tempo le fragili testimonianze esposte all’interno.
A questo spazio imponente fa da contrappunto un tamburo rotondo, anch’esso a cielo aperto, collegato a una estremità alla corte d’acqua. Quando i visitatori si spostano dallo spazio rettangolare a quello circolare, vengono garbatamente instradati e fatti salire, attraverso una rampa ellittica, alla porta principale del museo – come acqua che risalga un pendio.
Questa serie di passaggi e di esperienze architettoniche accompagna il visitatore fino alla zona iniziale del museo, dove il consueto repertorio di grafici e diagrammi interattivi consente di delineare la storia del sito e spiegare come dighe, pompe e canali venissero usati per controllare il livello delle acque. Solo alla fine si entra nel museo vero e proprio, che ha come clou la parete di una diga, che torreggia su una sala espositiva dai muri ciechi a tripla altezza. Impressionante, certamente: ma la vera meraviglia del museo è l’architettura.
