“I paesaggi, le costruzioni, le strade, le aree di servizio, le stazioni, le ferrovie sono per me cose che occorre rispettare. Questi luoghi chiedono tanto rispetto quanto ne accordiamo agli attori. In generale il cinema se ne frega dei luoghi, ha rispetto soltanto per la storia, ancora maggiore di quello che nutre per i personaggi. Per me viene prima il territorio dei personaggi”.
Wim Wenders, intervista di D. Boissiére e D. Lyon, in "Cahier du cinéma", gennaio 1986
Miracolo a Milano
Italia 1951, Vittorio De Sica, Cesare Zavattini, b/n, 100’ Dopo essersi accertato alla finestra della partenza dei mezzi dei vigili urbani per sgomberare la baraccopoli, lo speculatore immobiliare Mobbi accoglie a braccia aperte nel suo studio la delegazione dei “clochard” venuti ad esporre le proprie ragioni.
L’episodio, ambientato da De Sica e Zavattini all’inizio del secondo tempo in uno degli spazi più classici e nitidi dell’architettura moderna, la palestra del Duce di Luigi Moretti, è costruito in un’atmosfera surreale, sottolineata dalla musica sincopata e dalla camminata sollecita di maggiordomi e cameriere in contrasto con l’atteggiamento impacciato della delegazione.
Curiosa l’ambientazione di alcuni fotogrammi, quelli dell’ingresso esterno dello studio e la ripresa fuori dalla finestra sui mezzi in partenza, girati nell’impluvium e nel portico del Palazzo della Triennale di Milano.
Il vedovo
Italia 1959, Dino Risi, b/n, 100’
Prima dei titoli di apertura il protagonista Alberto Nardi (Alberto Sordi) passeggia con un collaboratore sul piazzale ai piedi del grattacielo in cui abita, la Torre Velasca dello studio BBPR, progettando diabolicamente l’eliminazione della moglie.
La sequenza notturna che risale sino alla parte alta del grattacielo sembra accompagnare il rientro a casa, e fa da sfondo ai titoli di testa.
I fotogrammi successivi che aprono il film restituiscono una versione diurna della parte alta e una sequenza inversa che scende sino alla piazza e all’uscita del protagonista verso il lavoro.
“Mia cara Elvira, dove fai colazione, in villa o in grattacielo?” La domanda che Nardi rivolge alla moglie (Franca Valeri) è paradigmatica della scelta di questo edificio, allora appena terminato, nuova presenza nello skyline di Milano e nel novero dei luoghi scelti dalla borghesia imprenditoriale della città in questi anni.
La Notte
Italia 1960, Michelangelo Antonioni, b/n, 122’
La clinica dove lo scrittore Giovanni Pontano (Marcello Mastroianni) e la moglie Lidia (Jeanne Moreau) vanno a trovare un amico in fin di vita, è reinventata negli ambienti esterni e nell’atrio di una architettura milanese del dopoguerra, il Condominio XXI Aprile di Asnago/Vender.
La successione degli spazi è descritta in modo preciso dal percorso dei due protagonisti: arrivano in auto dal cancello, entrano sotto la tettoia, salgono la rampa dietro la vetrata, girano a destra, dove il custode li indirizza agli ascensori.
Tutta la sequenza si svolge senza commento sonoro, con i dialoghi ridotti all’essenziale, rendendo sensibile il disagio di una coppia in crisi.
Le camere di degenza sono ambientate nella Torre Pirelli. Sui vetri del grattacielo scorrono i titoli di testa, annunciando una forte presenza delle architetture milanesi nel film di Antonioni, come la casa albergo e il complesso di corso Italia di Luigi Moretti, e una villa in Brianza di Luigi Vietti.
Il disprezzo (Le Mépris)
Francia/Italia 1963, Jean-Luc Godard, colore, 84’
La parte finale del film è ambientata sul tetto terrazza e nel grande soggiorno della villa caprese di un produttore (Jack Palance), la Villa Malaparte di Adalberto Libera, che ospita le riprese di un film sull’Odissea del regista Fritz Lang (che interpreta se stesso). Lo sceneggiatore (Michel Piccoli) e la moglie (Brigitte Bardot) fanno parte della troupe. Gli attori compiono un percorso circolare di andata e ritorno lungo i lati dello spazio rettangolare, fermandosi ogni volta a guardare fuori, attratti magneticamente dal paesaggio inquadrato dalle grandi aperture e dal finestrino del camino.
Sembra che gli attori si mettano ogni volta in posa, voltando le spalle alla macchina da presa, che gira su se stessa al centro della stanza. In questo modo lo spazio del soggiorno non è mai completamente percepibile.
Il taglio orizzontale delle riprese, accentuato dalla tecnica cinemascope, sfiora i piedi e il capo delle figure umane, così come le finestre sono leggermente rialzate da terra e staccate dal soffitto.
Il conformista
Italia 1970, Bernardo Bertolucci, colore, 116’
Marcello Clerici (Jean Louis Tritignant) è un giovane borghese che si offre alla polizia politica fascista per avvicinare e assassinare il professor Quadri (Enzo Tarascio), intellettuale rifugiato a Parigi e suo vecchio insegnante.
Tutto il primo tempo del film è rivisto attraverso i ricordi di Clerici sull’auto in viaggio verso Parigi.
Per ambientare i colloqui con “il colonnello” (Fosco Giachetti) e l’introduzione all’Ufficio del Capo Gabinetto, Bertolucci ha scelto lo spazio centrale di un palazzo che, interrotto negli anni ‘40, ha avuto un completamento dopo la guerra, che ne ha prolungato così nel tempo le caratteristiche di monumentalità care alle atmosfere di regime, il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi di Adalberto Libera.
Lo spazio irreale nel quale Clerici e la madre (Milly) fanno visita al padre afflitto da pazzia di origine luetica, non è altro che la scalinata del teatro all’aperto sulla copertura dello stesso palazzo.
Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin)
Germania 1987, Wim Wenders, b/n e colore, 130’
Gli angeli Daniel (Bruno Ganz) e Cassiel (Otto Sander) hanno libero accesso alle celle delle prigioni, alle stanze degli ospedali e agli spazi di una biblioteca, la Staatsbibliotek di Hans Scharoun.
Non vedono i colori (da qui il bianco/nero), ma possono sintonizzarsi con i pensieri silenziosi degli uomini; non sono visibili se non dagli angeli custodi che accennano a un complice saluto.
La colonna sonora è un crescendo di voci bisbigliate e cori classici, simile all’ascolto di una radio cambiando continuamente stazione.
La sequenza nella prima parte del film è il migliore omaggio agli spazi di Scharoun.
“…il modo di tradurre quello che potrebbe essere lo sguardo degli angeli è stato ottenuto girando spesso da un punto di vista leggermente sopraelevato, con i piani che si incatenano con grande fluidità. Avevamo a disposizione una cinepresa da 35 millimetri e la tecnica sporca del cinema per rendere la leggerezza dello sguardo di un angelo.” W. W.
