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Space Shuttle in the Garden
La mostra dell’artista kosovaro Petrit Halihaj all’HangarBicocca è un viaggio attraverso esperienze private, che diventano veicolo per la conoscenza di sé e del mondo.
La mostra presenta una selezione di opere realizzate nel corso degli ultimi anni, la maggior parte inedita in Italia, oltre a nuove produzioni concepite appositamente per l’occasione, che riflettono sul tema dell’archeologia individuale e collettiva.
Partendo dal vissuto e dalla storia personale dell’artista, della sua famiglia e del suo paese d’origine, il progetto espositivo approfondisce riflessioni universali sulla memoria, sulla ricerca dell’identità, sul concetto di “casa” come luogo di condivisione e spazio individuale, fino a toccare aspetti legati alla collettività e alla creazione e conservazione di un patrimonio culturale condiviso.
In apertura: Petrit Halilaj, Cleopatra, 2011–2013. Courtesy of the artist and Chert, Berlin. Photo: Chert gallery. Qui sopra: Petrit Halilaj, Untitled (celebration), 2013. Courtesy of the artist and Chert, Berlin
“Space Shuttle in the Garden” è soprattutto un viaggio nell’universo e nella mitologia dell’artista. Attraverso sculture, disegni, performance, video e grandi installazioni, Petrit Halilaj indaga i cambiamenti della storia e il contesto che lo circonda. Il conflitto del Kosovo con la Serbia (1998–1999) e il disfacimento dell’allora Yugoslavia, diventano parte della sua esperienza e sovente motivo di riflessione per una pratica artistica che continua a coniugare memoria e attualità, reale e surreale, relativo e assoluto. Le opere di Petrit Halilaj raccontano anche una condizione di appartenenza a paesi diversi oltre a quello d’origine: come ad esempio l’Italia, luogo dei suoi studi e ormai parte della sua geografia culturale.
Petrit Halilaj, It is the first time dear that you have a human shape, 2012. Courtesy the artist and Chert, Berlin. Photo: Kunst Halle Sankt Gallen, Gunnar Meier
Collocata all’esterno dello spazio espositivo, l’opera They are Lucky to be Bourgeois Hens II (2009) rappresenta l’ingresso ideale alla mostra: un razzo spaziale elegantemente dipinto al suo interno di blu Klein e abitato da galline – soggetto ricorrente nel lavoro dell’artista e rimando alla sua infanzia – invita alla scoperta di un mondo nuovo, tutto da inventare.
It is the first time dear that you have a human shape (2012 e 2015), Halilaj ricostruisce invece, in metallo piegato e ingranditi di cento volte, i gioelli che la madre aveva sotterrato assieme ai disegni del figlio per proteggerli durante i mesi di guerra. Insolite presenze che attraversano lo spazio espositivo, i monili fuori scala rimandano ad alcuni dei principali temi della poetica dell’artista. Essi testimoniano una storia del tutto personale e intima, eppure riportano a una dimensione ampia e collettiva legata alla guerra e alle sue distruzioni: incastonati nei gioielli, al posto delle pietre e delle gemme, trovano posto infatti i detriti polverizzati della prima casa di famiglia a Kostërrc, andata distrutta.
A sinistra: Petrit Halilaj, They are Lucky to be Bourgeois Hens II, 2009. Courtesy of the artist and Chert, Berlin. A destra: Petrit Halilaj, They are Lucky to be Bourgeois Hens, 2008. Courtesy of the artist and Chert, Berlin
Ed è proprio la nuova casa di famiglia vicino a Prishtina, la cui struttura portante era stata ricostruita in scala reale in occasione della Biennale di Berlino nel 2010, a tornare in una veste del tutto inedita in questa mostra. Nella sua immagine essenziale e spettrale, l’opera evoca un senso di perdita che però, come suggerisce anche il titolo The places I’m looking for, my dear, are utopian places, they are boring and I don’t know how to make them real (2010–2015), rifugge da ogni sentimentalismo o senso di nostalgia.
Come un grande affresco di famiglia, l’opera narra di un luogo utopico e ideale in continua trasformazione: sospesa nello spazio dello di Pirelli HangarBicocca, la casa si frammenta, rispecchiando i cambiamenti vissuti dai suoi abitanti. Tutte le stanze dell’abitazione considerate individuali si staccano da quelle che assolvono a funzioni collettive e condivise, per navigare liberamente nello spazio e dialogare con gli elementi circostanti.
Petrit Halilaj, Celebration, 2013 (detail). Courtesy of the artist; Chert, Berlin and kamel mennour, Paris
Si Okarina e Runikut (2014), infine, è una serie di sculture modellate a mano dall’artista che si ispira ad antichi strumenti musicali a fiato di epoca neolitica rinvenuti in Kosovo e in particolare a Runik, cittadina in cui Halilaj ha trascorso parte dell’infanzia. Nelle loro forme elegantemente sospese su supporti in rame o lasciate cadere a terra in modo del tutto spontaneo, esse ricreano lo spazio di una foresta magica il cui terreno custodisce memorie del passato.
Anche il suono ancestrale prodotto dalle sculture rimanda a un tempo atavico, ma l’opera vive soprattutto nel presente e nel momento pubblico in cui gli strumenti vengono suonati. In questo senso Si Okarina e Runikut diventa metafora dell’intera mostra: un viaggio attraverso esperienze private e personali che nella condivisione diventano veicolo per la conoscenza di sé e del mondo circostante.
Petrit Halilaj, The places I’m looking for, my dear, are utopian places, they are boring and I don’t know how to make them real, 2010. Courtesy the artist and Chert, Berlin. Photo: Uwe Walter
fino al 13 marzo 2016 Petrit Halilaj
“Space Shuttle in the Garden”
a cura di Roberta Tenconi Pirelli HangarBicocca
via Chiese, 2 Milano