“Di recente Carlos Martí Arís, meditando sulla crisi in cui versava l’architettura all’epoca della sua formazione, ha scritto: “en relación a aquel contexto, en que todo se mezclaba y se confundía, sigo pensando que la defensa de la autonomía disciplinar que encabezaban Aldo Rossi e Giorgio Grassi en Italia, no era una posición equivocada. Aunque ahora ya no haría de ella una bandera, entre otras cosas porque, a estas alturas, ya sólo me merecen respeto las banderas que ondean a media asta”. (In relazione a quel contesto, nel quale tutto si mescolava e confondeva, continuo a pensare che la difesa dell’autonomia disciplinare guidata da Aldo Rossi e Giorgio Grassi in Italia, non era una posizione sbagliata. Sebbene adesso non farei di essa una bandiera, tra le altre cose perché, a questo punto, riconosco come meritorie solo le bandiere che sventolano a mezz'asta.)
A venticinque anni dalla prima edizione (Milano 1990), questa lezione sul tipo – a metà tra la forma del manuale e quella del trattato – garantisce ancor oggi una vivida promessa d’architettura, in equilibrio tra la dimensione empirica del progetto e la sua trasposizione ideale.
Tuttavia, in quest’epoca sempre più sfuggente, figlia di quel relativismo che intanto è deflagrato in caos, Martí prende coscienza che la nozione di tipo – e la relativa autonomia disciplinare – sebbene basilare, non è da sola più sufficiente a decifrare la complessità del mondo dell’architettura. Per il nostro autore è d’obbligo dunque, all’alba del terzo millennio, in piena maturità intellettuale – “a estas alturas” – una strategia più articolata che presupponga più che la perentorietà della logica, la logica della confluenza. Più che l’autoreferenzialità di una bandiera che sventola in vetta isolata, la discrezione di una bandiera che sventoli sì autonoma però a mezz’asta, conciliante e includente. Nella consapevolezza che l’essenza delle cose non si consegue per negazione della complessità, bensì per distillazione di essa.
