La Palermo di Vincenzo Melluso

L’architetto siciliano parla della città in cui insegna e che osserva costantemente. Il capoluogo siculo è una città bella e irrisolta.

[…] Ci sono voluti oltre 3.000 anni per fare Palermo. A compierla sono stati in molti: un’umanità di costruttori sospinta in avanti da valori e ragioni mutevoli, differenti, e che lì, approdata a un certo punto lì, in un anfiteatro immaginato dalla natura, ha iniziato a costruire.
Questo sovrapporsi arriva a chi ci vive oggi, in forma esplosiva. Non serve disporre di uno sguardo attrezzato, quello che sa indagare la condizione insediativa, la varietà dei caratteri, la funzionalità strutturale degli incroci tra spazi urbani e privati: camminate un quarto d’ora a Palermo e ve ne accorgerete. […]

Le sue architetture pigiano una sull’altra e ancora parlano. Esprimono un senso di esplosione, di dirompenza, che consente a noi che siamo tra quelli chiamati a costruire, o meglio ad aggiungere, un residuo spazio per rintracciare l’energia con la quale provare ancora a dialogare: cercare un dialogo d’emergenza, che va rivolto oggi alle incoerenze: cercare un dialogo d’emergenza, che va rivolto oggi alle incoerenze, alle disfunzionalità, soprattutto ristabilire quel dialogo interrotto tra spazi pubblici e spazi privati. Bellezza e condizioni irrisolte, qui si incontra tanto di tutto.

Distinguere, selezionare, togliere, per poi scegliere con chiarezza con quale priorità proporre le sfide è il primo tassello, il primo tratto di matita. Per il lavoro che faccio mi trovo costantemente a “osservare”, nell’insegnare e nel fare architettura, passioni profondissime entrambe. Mi accorgo però che Palermo la osservo con il lieve e naturale distacco di chi ama profondamente questa città, di chi l’ha vissuta e studiata, ma non vi è nato: in momenti d’emergenza, quando c’è da agire sul limite del reversibile come a molti oltre che a me pare ci si trovi oggi, un filo di vantaggio. È da questo piano di osservazione che diventa più praticabile la prima la prima, indispensabile presa di posizione: rendersi disponibili a non assegnare valore a cose che ne hanno avuto in passato, ma che ora non ne hanno più. E assumersi la responsabilità d’indicarle, per aggregare le forze e gli interlocutori chiamati a operare per attivare, li prima che altrove, la trasformazione. Per operare questa trasformazione di città e di linguaggi, lo strumento è quello di sempre: il progetto. In una città con una storia importante e che raccoglie quasi un milione di abitanti scegliere vuole dire escludere, ma anche togliersi dagli alibi e dall’immobilità. […]

Speciale Manifesta

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