Palermo. Tra arte e natura, il giardino planetario nell’orto botanico

Gli artisti cui è stato affidato il compito di lavorare in uno dei luoghi-simbolo della città hanno optato per due registri: la ricerca scientifica e la strada dell’ironia.

Manifesta 12, Orto Botanico. Photo Giovanni Fontana

Entrare nell’Orto Botanico di Palermo è di per sé un’esperienza estetica e sinestetica indimenticabile. Si tratta indubbiamente di uno dei luoghi più simbolici di questa Manifesta costruita sull’idea del giardino planetario, della coltivazione e della coesistenza (tra specie, esseri umani ecc.). Nel momento in cui ci si addentra alla ricerca (in alcuni casi frustrante) delle opere d’arte seminascoste tra le 12.000 specie vegetali alloctone di questo luogo, è difficile non porsi il problema del dibattuto confronto tra bello naturale e bello artistico. 

Benché il tempo in cui le opere hanno ricercato la bellezza attraverso l’imitazione della natura sia ampiamente e notoriamente superato, quando ci si trova davanti a un ficus centenario non si può far altro che restare incantati e chiedersi quale sia il senso della ricerca dell’arte in un luogo come questo, che sembra essere sufficiente a se stesso. Scrive Adorno: “Come l’esperienza artistica, quella estetica della natura è un’esperienza d’immagini” (Teoria estetica, Einaudi, 2009, pag. 88). Ed è quindi un territorio insidioso quello su cui hanno deciso di lavorare i quattro creative mediators di Manifesta 12 (Ippolito Pestellini Laparelli, Mirjam Varadinis, Andrés Jaque e Bregtje van der Haak). Torna però in aiuto lo stesso filosofo tedesco che ci ricorda come il fascino della natura risieda in realtà nella storia e nel suo confronto con la società, una natura indomita (a differenza di quanto accade qui, dove è stata non solo addomesticata, ma addirittura classificata) avrebbe un effetto terrificante e ancora a proposito del confronto con l’arte scrive ancora Adorno: “Quello che la natura vorrebbe invano lo compiono le opere d’arte: esse aprono gli occhi” (Teoria estetica, Einaudi, 2009, pag. 89).

Gli artisti a cui è stato affidato il gravoso, ma estremamente stimolante compito di lavorare qui, hanno utilizzato un approccio per nulla presuntuoso e sono stati (nella maggior parte dei casi) capaci d’interventi in grado di produrre conoscenza. Si possono forse individuare due registri principali: quello legato alla ricerca scientifica e quello che imbocca la strada dell’ironia. 

Alla scienza si rifà l’opera di Malin Frazén (“Palermo Herbal”) che si occupa di come le piante vengano rappresentate visivamente dall’uomo a fini di studio: un video all’interno del Ginnasio mostra i diagrammi utilizzati per visualizzare la profumazione dei vegetali, piuttosto che le immagini di studi microcellulari. Fulcro principale del progetto sono però i disegni e le lunghe tele/stendardo in cui la raffigurazione delle piante trovate in città dall’artista è stata realizzata attraverso la tecnica messa a punto da Paolo Boccone, botanico siciliano che nell’intento di trovare un modo più oggettivo (e quindi scientifico) per raffigurare i vegetali usava colorarli, pressarli e imprimerli direttamente su carta.

Michael Wang invece con The Drowned World, dimostra cosa accade nei luoghi contaminati dall’industrializzazione, i cui processi alterano la composizione chimica degli ambienti (come nelle vasche di scarti) dando così vita ad esempio a microbi dai colori più disparati. L’artista inoltre costruisce una scala metallica che permette allo spettatore di arrampicarsi e osservare oltre il muro dell’Orto Botanico per vedere dal vivo come tale contaminazione sia in atto anche qui, dove si trova un gasometro abbandonato e inaccessibile. Sue anche le foto nella galleria dietro alla serra.

Il lavoro di Leone Contini (Foreign Farmers) va nella direzione della ricerca antropologica sul campo portando con sé l’idea della convivenza di colture/culture. Si tratta di uno studio sulle sementi che arrivano in Italia attraverso le migrazioni dei popoli che le portano con sé dalle proprie terre d’origine e le coltivano per cibarsene. A Palermo l’artista pianta un orto con pergolato nel quale la cucuzza siciliana si avviticchia naturalmente con altre specie di zucca coltivati da agricoltori migranti in altre zone d’Italia. Oltre all’orto poi, nelle teche del ginnasio sono esposti i semi collezionati dall’artista in questi anni di ricerca. 

Elegantemente appeso a mezz’aria tra le foglie degli alberi di una serra, l’ironico lavoro di Alberto Baraya (New Herbs from Palermo and Surroundings. A Sicilian Expedition) raccoglie la vegetazione artificiale che l’artista ha scovato durante le sue escursioni siciliane. Si tratta di fiori di plastica presi dagli altari votivi sui guardrail delle strade, di finte siepi per le decorazioni dei balconi, piuttosto che di frutti di marzapane. Questi oggetti vengono analizzati in dettaglio dentro a delle tavole botaniche dove vengono scomposti e descritti.

Sulla via dell’ironia si muove anche il divertente video di Zheng Bo (Pteridophilia), nel quale sette giovani, che potrebbero essere a tutti gli effetti degli attivisti ecosexual (movimento ambientalista che, da qualche anno, fa proseliti per il mondo), intrattengono rapporti sessuali molto intensi con delle felci nelle foreste di Taiwan.

Restano poi tre progetti più difficilmente riconducibili al concetto che sta alla base di questa sezione di Manifesta 12, dal titolo Garden of Flows e che tratta di tossicità, di vita delle piante e di cultura del giardinaggio in relazione alle risorse del pianeta e al bene comune. Si tratta delle opere di: Khalil Rabah dal titolo Relocation, Among Other Things, un accumulo di oggetti diversi raggruppati per tipologia dentro al Padiglione Tineo, che si può forse interpretare come una metafora oggettuale dell’Orto Botanico stesso; l’enigmatica installazione di Lungiswa Gqunta, Lituation, che vorrebbe proporre una lettura del giardino come luogo di oppressione, lavoro, memoria e rituali e come punto di partenza per il riscatto delle popolazioni africane; e le belle opere figurative di Toyin Ojih Odutola della serie Scenes of Exchange, che invece rimandano al tema degli scambi culturali e commerciali.

Titolo mostra:
Garden of Flows
Date di apertura:
16 giugno – 4 novembre 2018
Sede:
Orto Botanico di Palermo
Curatori:
Bregtje van der Haak, Andrés Jaque, Ippolito Pestellini Laparelli, Mirjam Varadinis
Fotografie:
Simona Cantavenera, Giovanni Fontana, Leandro Lembo, Rossana Rizza – Corso di Fotografia, Accademia delle Belle Arti di Palermo

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