Manifesta 12. Coesistere nella diversità

Con la sua scelta di opere mai pretestuosa e di sedi non istituzionali, molte delle quali inaccessibili da lungo tempo, Manifesta ha provato che l’arte può dire cose importanti.

Manifesta 12

Con questa dodicesima edizione, dal titolo “Il Giardino Planetario”, Manifesta sta dando il meglio di sé. La mostra ha un carattere di necessità, di attualità. Esprime pienamente quella che dovrebbe sempre essere la sua peculiarità, ossia la capacità di coniugare dimensione locale e globale. Si compone di nuclei di opere coesi, in relazione stringente con la città che la ospita, Palermo, e con ciò che essa rappresenta. Palermo, a sua volta, vive un momento di slancio. Tra magnificenza e contraddizioni, negli ultimi anni si sta facendo strada un’evidente volontà di riscatto. Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018, con il suo logo multietnico, ne è una conferma.

Pur con queste premesse positive è ancora da capire fino a che punto i palermitani si riconosceranno nella manifestazione; mentre è certo che molti artisti hanno guardato con attenzione alla città, impegnandosi, in molti casi, a interagire con i suoi abitanti. Basti considerare che circa 35 progetti su 50 sono stati realizzati per l’occasione.

Mentre la guida alla mostra realizzata da Domus è importante per programmare la visita, la premessa concettuale di “Il Giardino Planetario” – titolo preso in prestito dal botanico, paesaggista e pensatore Gilles Clément – sta nel Palermo Atlas: una piattaforma di osservazione messa a punto da OMA (Office for Metropolitan Architecture) di Ippolito Pestellini Laparelli (ed. Humboldt, design Mousse), che ha analizzato la città e l’ha interpretata come nodo cruciale di una geografia espansa di flussi, persone, dati, merci, germi e specie che dal Mediterraneo si espande al mondo intero. Le opere si articolano intorno a tre sezioni: “Garden of Flows” che esplora il concetto di tossicità, la vita delle piante e la botanica in relazione alle risorse del pianeta e al bene comune globale; “Out of Control Room” che riguarda le reti invisibili nel regime dei flussi digitali; “City on Stage” che parte dal carattere interculturale e stratificato di Palermo nel passato e nel presente.

La mostra occupa sedi non istituzionali, molte delle quali inaccessibili da lungo tempo per i palermitani stessi. La maggior parte è nella Kalsa: un’area vitale e in piena ridefinizione, malgrado le contraddizioni tutt’ora presenti: con le tensioni sociali evidenti, la memoria di Paolo Borsellino che lì era cresciuto, e i segni dei bombardamenti del 1943 ancora visibili. Tra le principali c’è Palazzo Forcella De Seta, l’edificio fortificato in cui sono raccolte opere incentrate sui temi della crisi dei rifugiati, del diritto o meno alla mobilità delle persone e della militarizzazione del mondo intero e in particolare del Mediterraneo, divenuto ormai uno spazio controllato, e di controllo. Tra video e videoinstallazioni, artisti come Patricia Kaersenhout, Erkan Özgen, Laura Poitras riescono a catturare l’attenzione con opere che veicolano, senza compromessi, storie e significati. Kader Attia intervista discendenti degli schiavi per parlare del rapporto tra individuo, corpo sociale, istanze post-coloniali. John Gerrard propone video e installazioni di grande tenuta, legate ai temi della migrazione e dell’identità nell’epoca dei big data. Forensic Oceanography analizza, in video e grafici, la strategia di controllo e di chiusura del mare e le drammatiche conseguenze degli ostacoli posti al soccorso dei migranti. Nulla di più attuale.

Anche le opere presentate a Palazzo Butera sono pregnanti. Maria Thereza Alves presenta un pannello di piastrelle in ceramica con un motivo ornamentale di fiori, frutti e uccelli che esprime il sincretismo della Sicilia; ma allude anche alle forme di appropriazione violente che caratterizzano le relazioni culturali. Uriel Orlow, con Wishing Trees, si riferisce ad alcuni alberi legati a momenti storici italiani: veri e propri monumenti viventi alla memoria del paese. Ne intreccia l’evocazione con figure come quella di San Benedetto, patrono di Palermo, figlio di schiavi africani e umile cuoco in un monastero; e con altre, di giovani migranti africani di oggi, cuochi anch’essi nelle cucine di Palermo. Renato Leotta crea un’opera più rarefatta, in cui mette in relazione una porzione di giardino di agrumi con lo spazio interno di una sala di Palazzo Butera: un pavimento di argilla cruda ha registrato, sotto forma di piccoli solchi, la caduta dei limoni maturi dagli alberi. Contestualmente un film in 16 mm descrive, come una raccolta di appunti, i tratti del paesaggio agricolo. In questa mostra le opere rilevanti sono numerose. Ognuna trova il proprio senso e il proprio spazio. È senz’altro centrale, infine, la sezione dell’Orto Botanico. Qui la questione è che in questo mondo, evidentemente non omogeneo, né univoco, non si tratta più di come unificare, ma di come coesistere nella diversità. 

Marinella Senatore
Marinella Senatore

La città è anche stata percorsa trasversalmente da performance, come la lunga Palermo Procession di Marinella Senatore; con vie e piazze interpretate come teatri e un’energia pulsante dovuta al coinvolgimento di un grande numero di persone: bambini, danzatori musicisti, cantanti di ogni sorta e di ogni livello; e attori, che hanno letto brani di Pasolini; e partigiani, con cui l’evento si è chiuso.

Manifesta 12, con la sua scelta di opere mai pretestuosa, ha provato che l’arte può dire cose importanti. Ci può ricordare, per esempio, che occupare lo spazio pubblico, stare insieme dando il meglio di sé, camminare, ballare, cantare fianco a fianco, aderendo al terreno e sfiorando gli altri, è già di per sé un’asserzione potente.

Titolo mostra:
Manifesta 12
Date di apertura:
16 giugno – 4 novembre 2018
Sedi:
Varie sedi, Palermo

Speciale Manifesta

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