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Baku torna a essere la “Parigi del Caspio”

Con il nuovo sviluppo urbano del terzo boom petrolifero, gli urbanisti vedono l’eredità del passato come una risorsa, ispirandosi agli interventi urbani di Haussmann di fine Ottocento a Parigi.

Haussmann diventa popolare

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1036, giugno 2019

Baku, capitale dell’Azerbaigian, è la più antica città petrolifera: una cosmopoli costruita sul petrolio e dal petrolio. Fin dal primo boom, negli anni Settanta dell’Ottocento – quando i baroni del petrolio locali convogliavano i profitti in città investendo in edifici istituzionali, nonché nella vita pubblica dei cittadini – “oro nero” e urbanistica sono stati indissolubilmente legati al suo tessuto urbano.

Al volgere dell’ultimo decennio dell’Ottocento, però, il capitale straniero era penetrato in profondità nell’economia di Baku: l’industria petrolifera stessa era stata modernizzata da produttori e investitori europei, in particolare dal ramo russo della famiglia Nobel (produttori di armi russo-svedesi) e dai Rothschild francesi, seguiti da società a controllo britannico, francese, tedesco, belga e greco. Così nel 1901 Baku era diventata il più grande fornitore di petrolio al mondo ed era conosciuta come la “Parigi del Caspio”, una città cosmopolita di stampo europeo con un’élite imprenditoriale sicura di sé, una borghesia istruita e un ambiente urbano fatto di viali alberati, monumentali edifici pubblici e svariate istituzioni culturali – dai teatri ai musei, dalle accademie ai giornali e alle moderne reti di comunicazione.

Oggi – dopo 70 anni di dominio sovietico (nei quali è stata teatro di un esperimento, la creazione della “città petrolifera dell’uomo socialista”) e dopo la transizione post-socialista degli anni Novanta – Baku è, ancora una volta, uno degli ambienti urbani più dinamici e in rapido mutamento del mondo. Ciò è in gran parte dovuto al grande boom petrolifero (il terzo per la città) iniziato a metà degli anni 2000 con l’apertura del gasdotto BTC (Baku-Tbilisi-Ceyhan), che convoglia petrolio e gas (attraverso la Turchia) verso il mercato unico dell’UE e che, nel 2013, ha ricevuto un significativo impulso con l’avvio del Progetto Shah Deniz e del Trans Adriatic Pipeline (TAP).

Attualmente, il più grande intervento urbanistico è la Città Bianca: immaginata come un nuovo e vasto CBD (Central Business District, quartiere degli affari), comprende 10 distretti urbani con torri per uffici, alberghi, edifici commerciali, residenziali e culturali, oltre a nuove linee della metropolitana, una linea tramviaria costiera e nuove arterie di transito. L’area, inoltre, ingloba l’Heydar Aliyev Boulevard (ex Prospettiva Mosca) che, riportato a una funzione monumentale, collega la Città Bianca all’aeroporto internazionale Heydar Aliyev, anch’esso ampliato. Questa superstrada sta rapidamente diventando la spina dorsale di una serie di nuovi quartieri tra la Città Bianca e l’aeroporto.

Parte di un massiccio programma di costruzione e bonifica lanciato su decreto presidenziale nel 2006, la Città Bianca occupa 221 ha al centro della baia di Baku. Progettata dalla società d’ingegneria Atkins e Foster + Partners, sta sostituendo i vecchi distretti industriali – Black Town e White Town – dove una volta si trovavano le prime raffinerie di petrolio, le fabbriche dei fratelli Nobel e la loro villa Petrolea e dove ebbe origine l’insieme d’innovazioni tecnologiche che diedero alla città il vantaggio competitivo nella produzione mondiale di petrolio a cavallo del XX secolo.

Come questi primi distretti industriali, la nuova Città Bianca è concepita con enormi ambizioni e su una scala senza precedenti. Il suo programma, però, è decisamente post-industriale. Una volta completata, essa comprenderà 9.500.000 m2 di superficie lorda, di cui il 75% sarà a uso residenziale.
Secondo Matthew Tribe, direttore del piano generale e della progettazione per la Atkins, Dubai è stato un importante punto di riferimento formale per la Città Bianca di Baku, ma le forme e gli spazi del nuovo tessuto urbano suggeriscono un modello diverso: con i loro monumentali edifici rivestiti di pietra, le piazze, i parchi e i grandi viali, anziché Dubai essi evocano gli arrondissment della Parigi Secondo Impero, voluta da Luigi Napoleone a fine Ottocento.

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Edifici nella White City. Foto Ilkin Huseynov

In questo senso si rifanno chiaramente all’identità della Baku di fine Ottocento, battezzata la “Parigi del Caspio.” Ma l’analogia va oltre: così come le demolizioni su vasta scala portate avanti dal Barone Haussmann per far posto a nuove strade e palazzi nella Parigi di fine Ottocento, il massiccio dislocamento dei vecchi quartieri per far posto alle nuove costruzioni nella Città Bianca sta costringendo al trasloco migliaia di residenti. In altre parti della zona centrale, la scala si avvicina a quella de La Défense e dei Grands Projets parigini degli anni Ottanta. Aree che ospitano torri per uffici, hotel, centri commerciali e nuovi punti di riferimento culturali progettati da una panoplia di archistar internazionali, strutture posizionate strategicamente nelle piazze e nei parchi pubblici del centro della città per avere la massima visibilità.

Il fulcro di questo programma, lanciato nel 2007, è lo spettacolare Centro Culturale Heydar Aliyev di Zaha Hadid (completato nel 2012), seguito dal Museo del Tappeto – la cui forma richiama un tappeto arrotolato – progettato dall’architetto austriaco Franz Janz (completato nel 2014) e dalle iconiche Flame Towers, i grattacieli più alti della città, terminate nel 2013 su progetto di HOK. Il programma di edilizia pubblica di Baku ha un enorme significato simbolico a livello locale. Nelle parole del ministro degli Esteri, Elmar Mammodyarov, esso “segnala il riemergere del nostro Paese nella comunità internazionale e ci consente di mostrare ciò che abbiamo conseguito dopo l’indipendenza”.

Le vaste superfici vetrate e le geometrie prismatiche delle nuove torri situano anche saldamente il nuovo CBD di Baku in sincronia con l’ethos di Dubai e di altre città capitali degli Stati ricchi di petrolio. Per molti aspetti, il progetto urbano che risuona in modo più deciso con le attuali aspirazioni di Baku – ma sul quale si stende anche l’ombra del passato della città – è il rifacimento dei rivestimenti di pietra calcarea degli edifici dell’era sovietica, sponsorizzato dal Governo. Concentrato sui principali viali del centro, l’intervento mira a generare paesaggi coerenti e rappresentativi, nonché a consolidare il tessuto urbano.

Mentre può evocare la Parigi haussmanniana nelle sue forme, esso riprende in realtà la pratica staliniana della pianificazione d’insieme tridimensionale, in base alla quale conglomerati di edifici, infrastrutture urbane ed elementi del paesaggio sono composti come un’unità architettonica integrata per generare una sequenza geometricamente ordinata di tessuto urbano: un insieme. Come i primi insiemi sovietici, il rivestimento calcareo è allo stesso tempo scenografico e superficiale.

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Edifici in costruzione nella White City. Foto Ilkin Huseynov

È una variante dell’urbanistica della “città-Potemkin” che conferisce una forma coerente e monumentale al paesaggio urbano, nascondendo alla vista l’edilizia fatiscente e non regolamentata che si colloca alle sue spalle. Ma il programma di rifacimento dei rivestimenti aggiunge anche un nuovo elemento alla formula dell’insieme.

Le facciate di pietra calcarea, incise con ornamenti classicizzanti, non sono mere facciate: sono infatti involucri che racchiudono i vecchi edifici e allargano i loro spazi interni – un amalgama di spazio socialista e capitalista – trasformando entrambi nella creazione di un ibrido del tutto anomalo. Con il suo volgersi indietro tanto ai baroni del petrolio e ai periodi staliniani, quanto alla “fiorente città socialista” di Breznev degli anni Settanta, mentre preserva il patrimonio edilizio ancora solido del periodo di Kruscev – e combinando tutti questi “stili del periodo” con la muratura di pietra locale e le tradizioni artigianali della penisola di Absheron – la nuova architettura urbana della Baku contemporanea è una matrioska di contraddizioni.

Sembra chiaro che, mentre s’imbarcano in una nuova fase di sviluppo urbano associata al terzo boom petrolifero di Baku, i funzionari governativi, gli urbanisti e quanti hanno la responsabilità di plasmare il futuro economico della città vedono l’eredità del passato come una risorsa che sostiene nuove identità e aspirazioni.
Guardano alla prima storia capitalista di Baku e rielaborano le pratiche stabilite durante il primo boom petrolifero e l’inizio del processo di modernizzazione.

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La rete di condotti di diverse dimensioni, che trasporta petrolio, gas e acqua, attraversa ancora interi quartieri della cosiddetta Black Town, l’antico distretto industriale legato al petrolio, dove si concentravano più di 100 raffinerie e le fabbriche della famiglia Nobel, e che oggi è man mano sostiuita dalla White City. Foto Iwan Baan

Più in particolare, analizzano l’esempio dei baroni del petrolio azero di fine secolo, i primi ad avanzare rivendicazioni sulla città e sulle sue risorse e, successivamente, a incanalare i loro profitti nella creazione di un vivace ambiente urbano. Ma quell’eredità include anche le origini del boom espansionistico della realtà urbana di Baku quale più antico sito di estrazione petrolifera, una città costruita sul petrolio.

Oggi, proprio come 100 anni fa, il petrolio è sempre presente nel paesaggio urbano e permea la vita quotidiana della popolazione. Fuori dal centro, l’intricata rete di condotte che convoglia petrolio (oltre a gas e acqua) attraverso la città, le strade e gli edifici, è il monumento che più risuona nella Baku contemporanea. Mentre la città si avvia verso l’incerto futuro dell’economia post-petrolifera, le infrastrutture urbane e industriali densamente intrecciate di Baku danno forma alle fondamenta materiali e sociali su cui è stata costruita la città stessa.

Molto più potente degli spettacolari nuovi grattacieli, delle immacolate facciate di pietra calcarea, delle nuove sale da concerto e dei parchi costruiti nell’ultimo decennio, le laboriose infrastrutture petrolifere parlano delle pratiche industriali innovative e della filantropia dei baroni del petrolio, rendono tangibile anche l’iniziale aspirazione sovietica a formare un nuovo tipo di città industriale, “la città petrolifera dell’uomo socialista”, e fondano l’attuale ambizione della capitale petrolifera dell’Azerbaigian di diventare il fulcro metropolitano di una Via della Seta del XXI secolo che colleghi l’Asia e l’Europa – vincolando la città al suo passato industriale e ancorandola saldamente al fondale ricco di petrolio, che è la fonte della sua ricchezza.

Eve Blau, docente alla GSD Harvard University, è autrice (con Ivan Rupnik) del volume Baku. Oil and urbanism (Park Books, Zurigo 2018).

Immagine di apertura: veduta da Fizuli Street nel centro di Baku, sullo sfondo un edificio in stile parigino ottocentesco. Foto Ilkin Huseynov

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