David Chipperfield: “La tecnologia ci salverà?”

La disciplina dell’architettura e il mondo della tecnologia in perenne evoluzione continuano a intersecarsi in modo complesso, ridefinendo i confini della professione. Nell’editoriale di ottobre, Domus 1050, il guest editor David Chipperfield si interroga sul ruolo di architetti e designer nel coinvolgere le tecnologie verso responsabilità più ampie.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1050, ottobre 2020.

Dobbiamo espandere queste responsabilità oltre ciò che costruiamo fino a come e dove costruiamo. È un’opportunità per ridefinire i nostri processi di lavoro e il nostro contributo. Le nuove tecnologie di analisi dei dati e della modellazione delle prestazioni possono rendere il nostro lavoro essenziale per lo sviluppo dell’ambiente costruito, nonché per la protezione di quello naturale e delle sue risorse. L’impiego di queste tecnologie per qualcosa di più dei risultati formali potrebbe portare ad ambienti ed edifici in sintonia con i modi in cui siamo connessi, non solo tramite cavi o fibre, ma come comunità e cittadini. Per realizzare la nostra visione e riguadagnare una posizione professionale ricca di significato, dobbiamo ritrovare l’entusiasmo per il vero potenziale della tecnologia. Nel corso della storia, la progettazione di edifici e oggetti ha sempre saputo ispirare e dare forma a stati d’animo e idee. Forse ora tocca a noi dimostrare quale può essere un nuovo rapporto con la tecnologia attraverso il nostro desiderio di sfruttarla sviluppando una nuova relazione con l’ambiente condiviso.

Durante l’attuale pandemia, siamo stati testimoni in tempo reale della difficoltà di bilanciare problemi economici e pareri scientifici. I politici affermano che le loro decisioni sono guidate dalla scienza, ma osservando le conseguenze delle loro scelte appare chiaro che la scienza è sempre soggetta a forze e obiettivi esterni.

Quanti tra noi non sono stati colpiti più o meno direttamente dalla tragedia del Covid-19 si sono trovati a riflettere con maggiore intensità – mentre le procedure e le tempistiche normali erano sospese – su questioni di localismo e globalismo, sulla scala e sui sistemi infrastrutturali che li sostengono. Con l’accorciarsi della nostra prospettiva e il rafforzarsi delle nostre incertezze, abbiamo dovuto riconsiderare i nostri piani per il futuro. I nostri dubbi si sovrappongono alle attuali ansie su crisi climatica, industrializzazione della produzione alimentare, effetti dell’intelligenza artificiale e ruolo dei big data nelle nostre vite. Sottese a questi pensieri sono la preoccupazione per il ruolo della tecnologia e la crescente messa in discussione del concetto di progresso. Anche se potremmo pensare che sia stata la tecnologia (e l’autocompiacimento legato alla nostra capacità di farla evolvere) a portarci in questa situazione, c’è la speranza che sarà la tecnologia a tiracene fuori. Ma quest’ultima, come la scienza, non può agire da sola.

Il progresso tecnologico è sempre stato accompagnato da una miscela di ottimismo e scetticismo. Nei confronti del cambiamento c’è sempre resistenza, e il sospetto di fondo che le nuove tecnologie portino più danni che vantaggi. Non è diverso per architetti e designer. Entusiasti e ansiosi, le sosteniamo e ci opponiamo loro in ugual misura, poiché per quanto ci consideriamo veri innovatori e promotori del miglioramento sociale, ci vediamo anche come custodi della tradizione e dei suoi significati. Consideriamo l’architettura e il design come la risoluzione di considerazioni materiali, emotive, sociali, ambientali e tecniche.

Nell’Ottocento, figure come William Morris e John Ruskin si scagliarono contro gli effetti dell’industria e della standardizzazione su società e natura. All’inizio del Novecento, architetti e designer erano affascinati dalle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, ma anche dalla libertà espressiva che esse offrivano e dall’allineamento con un approccio più scientifico al progetto. Le Corbusier e Walter Gropius, per esempio, erano attratti dal rapporto tra forma e prestazioni ingegneristica. Piuttosto che fare affidamento su un approccio puramente stilistico, ambivano a sviluppare sistemi integrati per la vita quotidiana. L’architettura dell’era delle macchine ha allineato la costruzione e l’estetica con gli avanzamenti in corso in tutti gli altri settori industriali. Oggi siamo ancora alimentati da quelle idee, ma noi progettisti tendiamo a essere più interessati al concetto di tecnologia e alla sua forma o espressione stilistica che alla tecnologia stessa. Tuttavia, le nostre attuali sfide ambientali e sociali ci costringono a confrontarci con il nostro rapporto con la tecnologia quale strumento fondamentale. Dobbiamo essere realistici riguardo al suo ruolo in edilizia. Sebbene molto sia stato fatto per migliorare la costruzione e le prestazioni degli edifici, i progressi effettivi sono stati modesti e concentrati soprattutto su efficienza, standardizzazione e prefabbricazione. Eppure, per quanto possa ispirarci, un processo che inizia con lo scavare un buco nel fango e richiede impegno sociale nella sua realizzazione sarà sempre soggetto a questioni più complesse di quelle tecniche.

I veri progressi nella progettazione e nella costruzione si verifiacno nei processi di modellazione, sia formalmente sia tecnicamente. I software di progettazione consentono di sviluppare e fabbricare forme innovative in modi nuovi. Stiamo anche capendo l’importanza di questi strumenti nel modellare analisi e prestazioni, così da modificare i nostri progetti per rispondere alle crescenti preoccupazioni riguardo a energia e materiali. Le classificazioni di alta e bassa tecnologia sono più superflue quando è possibile applicare nuove tecnologie predittive che attingono a soluzioni tecniche meno sofisticate nel reale processo di costruzione.

Se gli ultimi mesi ci hanno insegnato qualcosa è che i nostri problemi e le nostre ansie non sono causati dalla scienza né dalla tecnologia, ma dalle nostre capacità di affrontarle ed esprimerle. In passato siamo stati colpevoli di aver semplicemente imitato il progresso, più interessati alla manifestazione visibile dell’espressione tecnologica che alle sue funzioni e al suo significato per gli utenti. Siamo colpevoli di aver adottato idee e scelte tecniche solo quando erano al servizio di ciò che volevamo raccontare. Come architetti e designer dobbiamo usare le nostre capacità interdisciplinari per coinvolgere le tecnologie verso le responsabilità più ampie legate alle nostre professioni.

Dobbiamo espandere queste responsabilità oltre ciò che costruiamo fino a come e dove costruiamo. È un’opportunità per ridefinire i nostri processi di lavoro e il nostro contributo. Le nuove tecnologie di analisi dei dati e della modellazione delle prestazioni possono rendere il nostro lavoro essenziale per lo sviluppo dell’ambiente costruito, nonché per la protezione di quello naturale e delle sue risorse. L’impiego di queste tecnologie per qualcosa di più dei risultati formali potrebbe portare ad ambienti ed edifici in sintonia con i modi in cui siamo connessi, non solo tramite cavi o fibre, ma come comunità e cittadini. Per realizzare la nostra visione e riguadagnare una posizione professionale ricca di significato, dobbiamo ritrovare l’entusiasmo per il vero potenziale della tecnologia. Nel corso della storia, la progettazione di edifici e oggetti ha sempre saputo ispirare e dare forma a stati d’animo e idee. Forse ora tocca a noi dimostrare quale può essere un nuovo rapporto con la tecnologia attraverso il nostro desiderio di sfruttarla sviluppando una nuova relazione con l’ambiente condiviso.

Immagine di apertura: Thomas Struth, Grazing Incidence Spectrometer, Max Planck IPP, Garching 2010. Stampa cromogenica, 109,1 x 138 cm

Speciale Guest Editor

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