Domus 1044. David Chipperfield: “L’ecologia della conservazione, della memoria, del riutilizzo”

Nel suo editoriale per il numero 1044 di Domus, David Chipperfield parla della protezionde del patrimonio e “dell’importanza della continuità come componente critica del nostro senso del luogo”.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1044, marzo 2020.

Provare affetto per oggetti, edifici e luoghi è nella nostra natura. Li apprezziamo per i ricordi e le idee a cui li associamo. La protezione e la cura del patrimonio storico fa parte integrante della nostra immagine della condizione umana. È il modo in cui celebriamo la continuità dello sforzo dell’uomo e il costante desiderio di migliorare il nostro grado di civiltà. Storia e contesto sono in qualche modo strettamente legati all’apprezzamento diretto di ciò che è realizzato attraverso lo sforzo e il talento umano. Questo impulso a proteggere, sanare e ripristinare non fa solo parte del nostro rispetto per le civiltà precedenti, ma anche del modo in cui ci definiamo nel nostro tempo.

Anche il modo in cui onoriamo il passato e ne interpretiamo l’eredità cambia nel tempo. Gli artisti del Rinascimento, pur tenendo in grande stima le conquiste del mondo classico, consideravano quei modelli storici non solo come una testimonianza delle conquiste di un’altra civiltà, ma anche come qualcosa da emulare o addirittura superare. Mentre noi oggi proteggiamo tali manufatti e rispettiamo la loro integrità storica e la loro autenticità, gli artisti del Rinascimento non erano estranei all’idea di un recupero e un restauro in chiave di miglioramento e perfezionamento. Nel XVII secolo, i francesi descrissero il fenomeno come la Querelle des Anciens et des Modernes : i grandi artisti del periodo erano convinti di essere migliori dei loro predecessori, traevano fiducia dall’imitazione e dalla rivalità nel tempo, mostravano un atteggiamento che univa rispetto, spirito competitivo e senso di superiorità.

Quando Eugène Viollet-le-Duc tentò di migliorare l’architettura gotica attraverso i suoi interventi, il suo lavoro suscitò sia ammirazione sia polemiche. Il dibattito che ne seguì stimolò una riconsiderazione dell’attività di restauro e protezione dei monumenti. John Ruskin, William Morris e altri hanno fatto appello a un approccio più rispettoso, che salvaguardasse il tessuto originale e vietasse l’interpretazione o l’intervento artistico. Il tono morale lievemente irritante di Ruskin divenne la base di tutti i futuri codici di restauro e riparazione, in particolare della Carta di Venezia del 1964, che definisce il quadro per la protezione e il ripristino degli edifici. Ed è inconcepibile che i restauratori o gli artisti contemporanei possano cogliere l’occasione per creare qualcosa di nuovo dal vecchio, approfittandone per dimostrare il proprio talento individuale.

Per quanto la posizione sia moralmente e intellettualmente corretta, il grande rispetto per l’originale, protetto dai concetti di autenticità e storia, mette in evidenza la difficile situazione relativa allo status non solo di ciò che è antico, ma anche di ciò che è nuovo. Avvicinarsi al “manufatto come documento storico”, secondo la definizione adottata anche dall’UNESCO, isola la storia e il tessuto storico come qualcosa di esotico e intoccabile e, di conseguenza, distoglie tale rispettosa considerazione dal contemporaneo, meno definito e meno unico. Nel contempo, il XX secolo è stato dominato da idee radicali sul futuro, il progresso e l’innovazione. L’architettura e la pianificazione di questo periodo hanno tradotto molte di queste visioni in una realtà deludente. L’evoluzione spesso traumatica del nostro ambiente costruito, attribuita a principi di progresso, ha trasformato le città da luoghi che ci ponevano al centro a luoghi che ci hanno emarginato in nome dei sistemi di trasporto, dell’efficienza nella pianificazione e, più recentemente, del potere degl’investimenti. Ciò ha comportato non solo la svalutazione del passato recente, ma ha anche alimentato una perdita di fiducia nel futuro come prospettiva.

Per quanto la posizione sia moralmente e intellettualmente corretta, il grande rispetto per l’originale, protetto dai concetti di autenticità e storia, mette in evidenza la difficile situazione relativa allo status non solo di ciò che è antico, ma anche di ciò che è nuovo.

Oggi il nostro scetticismo sulle ipotesi future è aggravato dalla realtà dei cambiamenti climatici e dalla crescente consapevolezza di quanto siano limitate le nostre risorse ed energie. L’urgenza della situazione c’impone di affrontare molte domande sul nostro passato e sul nostro futuro, poiché è oggi che determiniamo l’eredità – o meglio, l’esistenza stessa – della nostra civiltà. All’interno del dibattito sulla nostra ecologia e sul nostro ambiente naturale, la protezione è ben compresa. È chiaro che dobbiamo ridefinire i nostri rapporti con il mondo naturale e tra di noi attraverso il modo in cui costruiamo. Ciò che proteggiamo, come ci sviluppiamo e ci miglioriamo, come viviamo insieme e come utilizziamo le nostre risorse sono tutte scelte determinate dalla nostra comprensione di questo ordine e della nostra posizione.

Ora dobbiamo anche rivedere i maldestri principi di pianificazione e riqualificazione, nonché gl’interessi commerciali e gl’istinti egoistici che li sostengono. Le idee di protezione e conservazione dovrebbero essere estese oltre il mondo naturale e i più evidenti esempi di buona architettura. Ciò che abbiamo ereditato dev’essere compreso e curato non solo come testimonianza storica, ma anche come una fragile ecologia del nostro mondo costruito e naturale. Dobbiamo trovare strumenti e strutture di governance per garantire che l’ambiente costruito del nostro futuro possa essere pianificato considerando le pressioni apparentemente contrastanti di sviluppo e protezione, innovazione e continuità.

All’interno del dibattito sulla nostra ecologia e sul nostro ambiente naturale, la protezione è ben compresa. È chiaro che dobbiamo ridefinire i nostri rapporti con il mondo naturale e tra di noi attraverso il modo in cui costruiamo.

Poiché mettiamo sempre più in discussione gli effetti della crescita indiscriminata in relazione alla crisi ambientale, le conseguenze dannose dell’edilizia e le crescenti considerazioni sul riutilizzo e la modifica degli edifici esistenti, dobbiamo riconoscere l’allineamento con le preoccupazioni, culturali ed emotive, riguardo alla protezione del patrimonio e all’importanza della continuità come componente critica del nostro senso del luogo. La nostra identità è formata dall’articolata complessità del modo in cui scegliamo d’interagire con ciò che abbiamo ereditato e il mondo che ci sforziamo di creare in futuro. Attraverso una comprensione più attenta del nostro capitale naturale e del nostro patrimonio culturale, possiamo garantire la qualità della vita e il senso di comunità per le generazioni future.

Immagine di apertura: Thomas Struth, Dallas Parking Lot, Dallas 2001. Stampa cromogenica, 138,6 x 211 cm. © Thomas Struth

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