Dieci poesie e riflessioni sulla fantasia, care a Michele De Lucchi

Pensieri e parole raccolte dall'architetto e designer, che nel 2018 è stato Guest Editor di Domus, come messaggio positivo, per ricordarci che arte e fantasia da sempre sono la salvezza dei popoli.

In questo momento critico mi sono venuti in mente, non tanto dei progetti, ma dei pensieri e delle parole, delle poesie, delle filastrocche a me care, che possono essere un segnale di positività e spiegare come l’arte e la fantasia siano sempre state la salvezza dei popoli, anche durante e dopo i periodi bui, come le guerre e le pandemie. Questi “pensieri e parole”, come la canzone di Battisti, raccontano come l’architettura sia la disciplina che più sa tenere dentro il suo paniere tutte le discipline artistiche e artigianali, non solamente la pittura, la scultura e la decorazione in generale, come è naturale pensare, ma anche quelle più intangibili come la musica, la letteratura e la poesia. Infatti, non pochi sono i progettisti che si sono dedicati alla poesia o alle creazioni poetiche sul ruolo dell’architettura e del design, e altrettanti scrittori che invece hanno usato la poesia per trattare temi architettonici e di progetto.

Michele de Lucchi, logo usato durante la sua direzione di Domus, 2018

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Per ogni finestra, l’architetto deve immaginare una persona affacciata. Per ogni porta, una persona che l’attraversa.

Gio Ponti, Amate l’architettura, 1957

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ALBERO
L’esplosione lentissima
Di un seme

Bruno Munari, Versi, in Fenomeni bifronti, 1993

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Due personaggi che si sono divisi tra svariate discipline, come Bruno Munari e Gio Ponti, hanno guardato all’architettura come un mezzo per comunicare idee sulla vita e visioni sull’esistenza, e hanno sempre fatto della fantasia lo strumento privilegiato con cui guardare il mondo. L’architettura perde così la prosopopea tecnologica e tecnica e diventa una disciplina umanistica, come è giusto che sia, e come deve essere, perché nei tempi antichi l’architettura era una scienza umanistica, non certo solamente tecnica. Se è vero quello che diceva Loris Malaguzzi, che l’ambiente è il terzo educatore, ben più a ragione l’architettura deve saper trattare temi di sensibilità astratta come la poesia, la letteratura e le riflessioni evocative.

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L’architetto, oltreché un poeta e matematico, dev’essere anche un meccanico, ragioniere, avvocato, becero, maestro di belle maniere, ingoiatore di rospi e charmeur, danzatore con vecchia signora, incantatore di serpenti; pena la morte se rifiuta.

Carlo Mollino, in Vita di Oberon, 1993

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Io so gli odori dei mestieri:

di noce moscata sanno i droghieri;

sa d’olio la tuta dell’operaio;

di farina il fornaio;

sanno di terra i contadini;

di vernice gli imbianchini;

sul camice bianco del dottore

di medicine c’è un buon odore.
I fannulloni, strano però,

non sanno di nulla e puzzano un po’.

Gianni Rodari, L’odore dei mestieri, in Filastrocche in cielo e in terra, 1960

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Gianni Rodari, Filastrocche in cielo e in terra, 1960

Le parole di Carlo Mollino, che era un architetto vulcanico e un genio creatore, si accompagnano bene a quelle di Gianni Rodari, il maestro dell’arte di inventare storie, e raccontano il principio in cui credo fortemente, cioè che il mestiere degli architetti è proprio la somma di tutti i mestieri. L’architetto deve saper entrare e uscire da ogni professione, conoscerla, annusarla, interpretarla.

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Il teatro è molto simile all’architettura perché riguarda una vicenda; il suo inizio, il suo svolgimento e la sua conclusione. Senza vicenda non vi è teatro e non vi è architettura. È anche commovente che ognuno viva una sua piccola parte.

Aldo Rossi, in Autobiografia scientifica,  1990

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Un altro spunto di riflessione sono le parole di Aldo Rossi sul teatro. L’architettura ha sempre a che fare con il teatro, nel senso che noi tutti recitiamo la nostra esistenza all’interno delle architetture, degli ambienti, delle scenografie che creiamo per noi stessi, dove abbiamo l’impressione di impersonare la parte che ci è più adatta, che ci piace di più, nella quale ci riconosciamo meglio. Bisogna sempre pensare che la grande qualità dell’essere umano è sapersi guardare da fuori, che non è solo un incitamento etico e morale per contenere le nostre tendenze malandrine, ma è proprio una maniera di attivare la nostra immaginazione quando noi stessi siamo gli attori della scena, all’interno di un teatro dove recitiamo una parte, quella che prevediamo ci gratifichi e ci soddisfi di più.

Ettore Sottsass, Un po’ di attenzione, 2003

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Un po’ di calma
un po’ di silenzio
un po’ di dubbi
un po’ di debolezza
un po’ di curiosità
un po’ di domande
un po’ di ambiguità
un po’ di pensiero
un po’ di cura
un po’ di solitudine
un po’ di spavento
un po’ di forse
un po’ di chissà
un po’ di attenzione
un po’ di aiuto
un po’ di perplessità
un po’ di dolce
un po’ di amaro
ciao
vado… Ettore

Ettore Sottsass, in Un po’ di attenzione, 2003

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Lisa Ponti, Domus 1020, Rebellion, 2018

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Io sono un disegno
Disegno minimo
 
L’empireo dell’arte mi lascia pascolare
Dentro lo standard A4
 
Il minimo sa fingere l’immenso
Con la sola distanza fra i segni
 
Punti nel vuoto. Quale vuoto?
La mente è capace di tutto. Illimitata
Fa balzi cosmici e si ritrova al punto di partenza
 
Ringrazio la matita, è fulminea
Sorpassa soprattutto in curva
Non sbanda
 
Ringrazio l’acquarello
Anche se la mia carta lo respinge
 
Duello fra disegno e acquarello
(non so chi vince)
 
dopo ottant’anni
l’orologio mi dice che tutto avviene in meno di un minuto

Lisa Ponti, in Domus 1020, Rebellion, 2018

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Ettore Sottsass e Lisa Ponti avevano la capacità di mettere per iscritto immagini e pensieri con una grande forza evocativa, sapevano creare architetture di parole. Con la loro fantasia sapevano raccontare un progetto o un’idea mettendo insieme frasi semplici e bellissime, con una grande carica poetica.

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Non sono un architetto, sono un drago!

Alessandro Mendini

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AMA TUTTE LE BESTIE
GLI INSETTI E GLI ANIMALI
CON LE ZAMPE O CON LE ALI
LA SERIETA’ ASSOLUTA
E IL PROFONDO MISTERO
DEL LORO PENSIERO
CAMMINANDO NUDI
COME PROFERTI CRISTIANI
O BRAMINI INDIANI

CON I LORO DENTI
PROTEGGONO I VIVENTI
E FORSE SON RISORTI
DAL REGNO DEI MORTI

Andrea Branzi, in Nel Regno dei viventi, 2013

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Andrea Branzi, Nel Regno dei viventi, 2013

Quella di Andrea Branzi è una delle sue filastrocche pensate al rovescio, da leggere allo specchio, e racconta i grandi temi dell’uomo, l’universo e gli animali, mentre quelle di Alessandro è la sintesi della sua anima creatrice.  

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Zuccone
Ho detto di no

e non lo farò!

Che se per natura

la testa l’ho dura,

cambiar non si può,

ho detto di no.

Ho detto di sì,

e voglio così!

Ché sono capace,

se questo mi piace,

di star tutto il dì

a dire di sì.

Lina Schwarz, Zuccone, in Ancora... e poi basta!, 1920

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È una filastrocca che mi piace molto e può sembrare un po’ strana in mezzo alle altre, ma è adatta, perché racconta la dote dell’architetto, che non deve solo immaginare le architetture, gli ambienti e i progetti, ma deve anche saperli trasmettere in questo andirivieni tra lassismo e cocciutaggine, tra insistenze sul voler fare e insistenze sul voler negare.

Immagine di apertura: Michele De Lucchi nel suo studio, foto Max Rommel