Cosa è il design? Un’atteggiamento

Oggi il ruolo sociale dei designer è in discussione: secondo la critica del design Alice Rawsthorn, questi ultimi devono ora sentire la necessità di reinventare la loro sfera di competenza e creare nuove relazioni.

Intrepido, generoso e sovversivo. László Moholy-Nagy è uno dei miei personaggi preferiti della storia del design. Chi potrebbe resistere all’artista e intellettuale ungherese che, quando negli anni Venti insegnava al Bauhaus, indossava una tuta da lavoro per esprimere il suo gusto per la tecnologia e permetteva alle donne di studiare qualunque cosa volessero, comprese materie prima riservate esclusivamente agli uomini? Dopo essersi trasferito negli Stati Uniti nel 1937, dimostrò altrettanto coraggio nell’accogliere nelle sue scuole di progetto a Chicago anche gli afroamericani, mentre il sistema dell’istruzione cittadino era in gran parte caratterizzato dal segregazionismo.

Moholy-Nagy era anche sostenitore di una concezione insolitamente composita e illuminata del design, libero dai lacci del ruolo commerciale che aveva rivestito a partire dalla Rivoluzione industriale e ridefinito come un metodo estemporaneo radicato nell’istinto, nell’acume, nell’intraprendenza e aperto a chiunque. Sintetizzò questa concezione nel libro Vision in Motion, pubblicato nel 1947 - un anno dopo la sua morte - con il sottotitolo: Progettare non è un mestiere, è un’attitudine.

Il mio ultimo libro s’intitola Design as an Attitude (“Il design come attitudine”), in parte in omaggio a Moholy-Nagy e poi perché queste parole sintetizzano il nuovo spirito del design in un momento rischioso, ma intensamente stimolante, in cui la disciplina sta cambiando radicalmente.

László Moholy-Nagy, Menschmechanik (Varieté), 1925

Il design ha assunto molti significati differenti in epoche differenti e in differenti contesti. Tuttavia ha sempre avuto un unico ruolo fondamentale come agente di cambiamento che contribuisce a interpretare trasformazioni di ogni genere - sociali, politiche, economiche, scientifiche, tecnologiche, culturali, ecologiche e via dicendo - per garantire che abbiano un effetto positivo, invece che negativo. Abbiamo urgente bisogno della sua forza di agente del cambiamento proprio ora, quando affrontiamo trasformazioni profonde su tanti fronti. L’emergenza climatica e la crisi dei rifugiati. L’aumento della disuguaglianza, dell'intolleranza e dell’ingiustizia.

La consapevolezza che molti dei sistemi e delle istituzioni che regolavano la nostra vita nel secolo scorso sono inadatti allo scopo. La paranoia sempre più profonda verso la computazione neuromorfica e quantistica, e verso altre potenti e potenzialmente minacciose nuove tecnologie che stanno controllando sempre più aspetti della vita quotidiana.

Il design non è una panacea per questi problemi, ma è uno strumento utile ad affrontarli, se applicato con intelligenza. I designer hanno spesso lamentato che fosse loro preclusa la possibilità di farlo per la riduzione a stereotipo della loro disciplina, considerata strumento stilistico o promozionale. Questa volta il risultato sarà diverso? Potrebbe.

Un motivo di ottimismo consiste nella pura e semplice scala e nella complessità della confusione in cui ci troviamo, e nella crescente preoccupazione che molte delle soluzioni tradizionali siano ridondanti. Hilary Cottam, la sociologa britannica che si è distinta come coraggiosa pioniera del design sociale, è convinta che questa crisi della fiducia abbia reso gli economisti, i politici e i loro colleghi sociologi più disponibili a sperimentare metodologie nuove, design compreso, nella ristrutturazione dei sistemi sanitari e nella pianificazione dei programmi di soccorso d’emergenza. Lo stesso vale per il crescente numero d’imprese che adottano il design per reagire più responsabilmente alle pressioni del pubblico e dei loro dipendenti.

Un altro fattore è costituito dalla trasformazione della professione e della portata del design grazie alla disponibilità di strumenti digitali a basso costo. I designer oggi possono raccogliere capitali attraverso il crowdfunding e gestire importanti quantità di dati complessi grazie a computer a basso costo. Possono usare i social media per individuare collaboratori, fornitori e produttori, per ottenere copertura mediatica e garantirsi maggiori finanziamenti. Individualmente, tutte queste tecnologie potevano influire sul design come su qualunque altro settore, ma collettivamente si sono dimostrate agenti di metamorfosi, permettendo ai designer di operare autonomamente e di perseguire i propri obiettivi sociali, politici e ambientali con la disposizione di spirito di Moholy-Nagy, invece che lavorare in base a istruzioni esterne.


Prendiamo uno dei progetti indipendenti più audaci degli anni recenti: la Ocean Cleanup, impresa olandese senza fini di lucro che si propone di ripulire gli oceani dai rifiuti di plastica. È stata fondata nel 2013 da uno studente di tecnologia della progettazione, Boyan Slat, che in cinque anni ha raccolto oltre 40 milioni di dollari per completare il progetto, la prototipazione e la sperimentazione di una gigantesca struttura galleggiante che, secondo lui, eliminerà il problema. Non tutti sono d’accordo: alcuni ecologisti hanno osservato che il progetto di Slat potrebbe danneggiare la vita marina, certi scienziati hanno dichiarato che non avrebbe funzionato e alcuni designer l’hanno emarginato, ritenendolo un opportunista buono per i media. L’impianto di Ocean Cleanup è stato messo in opera sulla Grande isola di spazzatura del Pacifico nell’autunno 2018, solo per essere riportato a San Francisco poche settimane dopo per riparazioni e ulteriori sperimentazioni. Un anno dopo è ritornato sulla Grande isola di spazzatura e ha funzionato bene. Grazie ai suoi 40 milioni di dollari di fondi, l’Ocean Cleanup ha avuto tempo e risorse sufficienti per ignorare i suoi critici, risolvendo nel frattempo importanti problemi tecnici.

Ocean Cleanup adotta la concezione di Moholy-Nagy del designer che lavora in stretta collaborazione con specialisti di altri settori. Moholy-Nagy si aspettava anche che accadesse l’inverso, e che gli esperti di quei settori si cimentassero con il design, come ha fatto Cottam.

Altrettanto notevoli sono i medici pakistani Sara Khurram e Iffat Zafar, che hanno usato la loro istintiva ingegnosità progettuale per costruire Sehat Kahani, una rete di telecliniche dove le donne di tutto il Pakistan possono ottenere diagnosi a distanza da donne medico che lavorano a casa loro, a centinaia di chilometri di distanza.

Il design non è stato tradizionalmente considerato una soluzione ovvia alle carenze di assistenza sanitaria e al malfunzionamento dei servizi sociali. E i designer indipendenti non si aspettavano neppure di raccogliere decine di milioni di dollari per realizzare imprese ecologiche di proporzioni epiche. Ancora oggi si è portati a considerare il design la causa per cui gli oceani sono intasati da rifiuti di plastica, piuttosto che uno strumento per liberarsene. Questi stereotipi saranno spazzati via se gli ambiziosi progetti di un design di nuovo genere si dimostreranno validi. In quale altro modo i politici e le ONG potrebbero considerare il design capace di realizzare sistemi mondiali di gestione dei rifiuti più efficienti? E perché medici e sociologi dovrebbero scegliere di metterlo alla prova?

Il design non conquisterà la loro fiducia se non sarà applicato con saggezza e attenzione, il che richiederà cambiamenti fondamentali nella prassi del progetto. Una priorità per i designer consiste nell’essere più pronti a costruire effettive collaborazioni con altri specialisti e considerarle occasioni di apprendimento, invece che d'incassare nuovi incarichi. Un’altra, per la comunità del design, è quella di diventare più diversificata e inclusiva.

Abbiamo bisogno di trovare i migliori progettisti possibili in ogni settore della società, non solo maschietti buoni a riempire le pagine dei libri di storia del design. Infine, i designer devono accettare che, se il loro lavoro diventa più ambizioso, le conseguenze di un fallimento si moltiplicheranno. Così come ogni progetto accuratamente elaborato e realizzato rappresenta un passo avanti, ogni fallimento raffazzonato renderà molto ma molto più difficile che il design realizzi le sue vere potenzialità.

Alice Rawsthorn è un’acclamata critica di design. Una nuova edizione del libro Design as an Attitude sarà pubblicata dalla casa editrice JRP|Ringier nel febbraio 2020.

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