Alla riscoperta di Gegia Bronzini, diva del tessile

Designer e artigiana di fama internazionale già negli anni ’30 univa la tecnica antica degli arazzi alle forme del Bauhaus, i filati di granoturco alla seta e al lino.

“Non mi parli di telai meccanici perché non li posso proprio soffrire! Sono così fragorosi e duri che io non riesco neanche a mettere piede nella stanza dove ce ne sia uno. E poi fanno dei tessuti così scialbi, piatti, senza rilievo! Ah, no no, io non rinuncerei ai nostri cari telai a mano per tutto l’oro del mondo!”
(Gegia Bronzini, 1961)

Una cultura del saper fare tipicamente femminile caratterizza un periodo essenziale del design italiano tra gli anni Trenta e gli anni Settanta del Novecento: una linea silenziosa, di grande manualità, che ha accompagnato la ricerca e la sperimentazione tra le arti. Stiamo parlando del mondo tessile, tanto caro a Gio Ponti da dedicargli una rubrica su Domus e un numero intero della rivista Stile (n.11, 1941), e che ha visto la presenza di alcune donne che hanno avuto un ruolo di artigiane/artiste, la maggior parte ancora sconosciute ai più, come Renata Bonfanti, Anita Pittoni, Gegia Bronzini e Carla Badiali.

Arredi, Gegia Bronzini

Gegia Bronzini, milanese di nascita, si sposta nel Veneto agli inizi degli anni Trenta per seguire il marito, un agronomo chiamato a dirigere un’importante tenuta (Villa Papadopoli sul Terraglio, oggi Villa Fustemberg). Affascinata dal lavoro delle contadine locali acquista un telaio e ne apprende l’utilizzo. Fin da subito è affiancata dalle figlie Marisa – anche lei rinomata per le sue opere tessili – e Michela, e istituisce un corso gratuito per le donne della comunità rurale a Marocco nel Veneto, che trasforma, come naturale proseguimento, in un laboratorio di produzione fino ad assumere una propria identità creativa.  La ricerca di Gegia Bronzini affianca da sempre la tecnica antica dello spolinato primitivo, tipica degli arazzi, che consiste nel far passare a mano per alcuni tratti dell’ordito, i fili di trama, andando così a definire la decorazione. Il suo strumento per antonomasia è il telaio a mano a due licci, con il quale è possibile realizzare un solo tipo di tessuto: la tela. “Non mi parli di telai meccanici perché non li posso proprio soffrire!” raccontava Bronzini in un’intervista pubblicata su Casa Novità nel luglio del 1961.

Una cultura del saper fare tipicamente femminile caratterizza un periodo essenziale del design italiano tra gli anni Trenta e gli anni Settanta del Novecento: una linea silenziosa, di grande manualità, che ha accompagnato la ricerca e la sperimentazione tra le arti

L’utilizzo di materiali inusitati come la ginestra e i cartocci di granoturco, accanto ai filati naturali come lino, seta e lana rappresenta un secondo aspetto della sua ricerca. I tessuti prediligono un legame con figurazioni astratte e geometriche, in linea con la produzione del laboratorio tessile del Bauhaus. Ogni pannello tessuto è unico ed è frutto di una grande abilità esecutiva, passione e creatività. Le applicazioni riguardano ogni angolo della casa: dalle superfici agli arredi, dalla tavola al letto. Le tende rappresentano una parte sostanziale della produzione Bronzini perché uniscono la sperimentazione dei materiali, dal refe di canapa al filato di seta fino all’uso del rame, e il disegno, con delle vere e proprie aperture che permettono passaggi di luce differenti ma sempre modulati.

Nel 1946 il laboratorio si trasferisce a Cantù e questo spostamento consente a Gegia Bronzini di entrare nel vivo della ricerca artigiana nell’ambito dell’arredo che proprio in quegli anni stava caratterizzando l’area. Nascono collaborazioni con numerosi architetti che affianca nel progetto d’interni per la definizione dei tessuti come Carlo Lucci, Ico e Luisa Parisi e Osvaldo Borsani. Con quest’ultimo progetterà il rivestimento del divano P70 (1954, Produzione Tecno), un tessuto a righe diagonali di diversi colori in seta, viscosa e cotone, realizzato con lo spolinato primitivo, ormai marchio di fabbrica. Per Saporiti Italia studia diversi tessuti in esclusiva, fra cui Sapo 82, caratterizzato da un disegno rigato dove un nastrino multicolore si alterna a parti in ciniglia e parti in cotone. Tra le commissioni più originali spicca la richiesta da parte della carrozzeria Zagato per il rivestimento dei sedili e dei tappetini per le automobili Flavia Sport, Flaminia e Osca. I tessuti si distinguono per il linguaggio geometrico e l’accostamento di diversi colori; qualità che donano un vero e proprio movimento, eliminando l’aspetto bidimensionale dal pannello.

Como, 1964

Dal 1935 si susseguono una serie di mostre e premi che le fanno da cassa di risonanza: una mostra personale nella Loggetta del Sansovino a Venezia, la Mostra del Tessile di Roma dove consegue tre premi, una Mostra Internazionale dell’artigianato di Berlino, alla Biennale di Venezia e numerose altre partecipazioni alle Triennali di Milano, nonché la segnalazione d’onore a tre Compassi d’Oro. I riconoscimenti arrivano anche dal campo internazionale grazie alla partecipazione nella mostra “Italy at Work. Her Reinessance in Design Today” tenutasi nel 1950 al Brooklyn Museum di New York. Il successo della prima esposizione veneziana si conclude con l’apertura del negozio Antiqua Ars Nova in Piazza San Marco. Il nome richiama l’arte antica, proprio riferendosi alla tecnica dello spolinato primitivo che amava usare per le sue stoffe. Da Venezia il suo lavoro si diffonde dapprima a Milano con l’apertura di un negozio in Galleria del Toro nel 1939 e, subito dopo la guerra, un terzo punto vendita a Cortina.

Dopo la scomparsa di Gegia Bronzini a Venezia nel 1976 l’attività viene portata avanti dalla figlia Marisa nella sede di Carimate, reinventandosi senza sosta fino al 2007.  Oggi Gegia Bronzini rivive negli spazi dell’azienda che ospitava i laboratori di argenteria di Lino Sabattini, (Gegia Bronzini è un marchio registrato di Tessile Officina, Bregnano, Como). I telai in legno sono ancora la parte fondamentale della produzione esclusiva dei tessuti che raccontano di un patrimonio di saperi e abilità lontane e allo stesso tempo contemporanee.

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