di Bruno Pischedda
Buio, Paolo Mauri, Einaudil, Torino 2007 (pp. 118, € 10,00)
Sembrerebbero francesi le fonti a cui attinge Paolo Mauri, critico letterario e
prosatore, nella sua ultima indagine dal titolo Buio. Fra esse, certamente
annoverabili sono la storia delle mentalità, da Lucien Febvre in poi; quindi il
filosofo Gaston Bachelard, autore di una Poetica dello spazio e di una
Psicoanalisi del fuoco; ma anche, occulto tra le pagine, Roland Barthes per
l'opera Frammenti di un discorso amoroso. Tutte insieme contribuiscono a un agile
eppure inconsueto pamphlet, che ha per argomento non già uno stato fisicopercettivo,
il buio, l'assenza di corpi riflettenti, bensì una somma di riti e di
credenze che danno nel metafisico: la notte in quanto 'regno', la tenebra delle
origini, l'ignoranza intorno alle cause, il nero cosmico che ci accoglie. Perché
"il buio è immenso – ammonisce l'autore – e nella sua totalità indicibile".
Colpisce senz'altro il tono ultraromantico dell'asserto. Ma per quanto incline a
un frammentismo epigrafico, Mauri non intende affatto cedere alle seduzioni
dell'assoluto. Suo scopo, anzi, è declinare ciascun aspetto del tema, così da
lasciarne intendere vastità e ricchezza di connessioni. Il ragionamento svaria
perciò da un piano naturalistico a uno metaforico; dalla psicologia volge
volentieri all'antropologia e alla storia delle religioni. Proprio su questo
terreno, del buio in senso religioso, egli ci propone una vera contro-Genesi,
destinata a ribaltare le prospettive correnti: "Gli autori della Bibbia – scrive –
pongono a un certo punto la creazione della luce e dunque la sconfitta del buio. È
il giorno 'Uno' dell'universo. Non prendono neppure in considerazione l'ipotesi
opposta: un mondo eternamene illuminato da Dio, che viene 'salvato'
dall'invenzione-creazione del buio". La questione può venire impostata
diversamente, avvisa insomma l'autore. Ferma restando la dicotomia Luce/Tenebra, nient'affatto scontati sono gli esiti del loro
bilanciarsi incessante. Dal buio della
cecità provengono tanto la veggenza
dell'indovino come la maestria dell'aedo.
La notte stessa, ricettacolo di nequizie, da
un lato è sì favorevole all'orgia satanica,
agli incontri illeciti, ma d'altro lato è stata
per secoli ambito privilegiato di predicatori
e celebranti, perfettamente consapevoli
della specifica suggestione che da essa
promana. La sua è dunque una natura
ancipite: sollecita il rito, dà ricetto al Male,
ma insieme consente il sonno e il sogno
ristoratore. Per quanto pesanti siano i
pregiudizi tramandati, sta a noi distribuire i
valori. Se il tempo è una "trappola che ci
imprigiona", il buio, che ne rappresenta
una delle determinazioni, è "anzitutto un
pensiero", dipende dai nostri
atteggiamenti mentali. Difficile concepirlo
in quanto entità fissa, inalterata nel corso
degli evi; né si può pensare –
ingenuamente – a un suo progressivo
ritrarsi dalla scena del moderno. L'ignoto,
l'inesplorato, con cui tanto spesso viene a
coincidere, non è affatto una 'zona'
definita per sempre, anzi si muove con noi,
e per il tramite delle nuove acquisizioni
semplicemente "si sposta".
Tale la problematica di Mauri, e al lettore
piacerà seguirne le evoluzioni. Anche per
via di uno stile terso, elegantemente
conciso: ossia per una clarté illuminista di
cui senza tregua si denuncia
l'inadeguatezza, ma a cui in fondo non è
bene rinunciare. Posti il caos e l'indistinto,
occorre sfidarli, renderli discreti: "Nessuno
pensa mai per troppo tempo al buio
dell'universo – osserva l'autore con un
tipico movimento analitico –, sicché anche
nel buio va distinto un buio piccolo, a
misura d'uomo, e un buio immenso, quasi
inconcepibile".
Bruno Pischedda
Critico letterario
In umbra salus
Buio, Paolo Mauri, Einaudil, Torino 2007 (pp. 118, € 10,00) Sembrerebbero francesi le fonti a cui attinge Paolo Mauri, critico letterario e prosatore, nella sua ultima indagine dal titolo Buio.
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- 05 dicembre 2007