Spiega Giovanna Silva: “Ho sempre fotografato l’acqua per passione. Parlo di passione perché mi piace nuotare. Più che piacere parlerei di ossessione. Ho fotografato le coste marine durante lunghe nuotate in mare. Appaio dall’acqua e fotografo le persone che prendono il sole, qualche costa frastagliata come una scultura naturale, dei riflessi naturali. È un modo per passare il tempo, non sentire la fatica. Quando mi hanno chiesto di fotografare le piscine a Capri ho accettato perché per me poteva essere il paradosso che stavo cercando. Qualcosa di artificiale sull’isola paradiso naturale. Lasciandosi alle spalle l’immagine dei faraglioni ho iniziato i primi sopralluoghi sulla terra. Questa volta non si trattava d’immergersi in acqua, ma di vederla da fuori, di raccontare questi luoghi, come ho sempre fatto nel mio lavoro, ma trovare una chiave. Ho usato la Polaroid, non permettendomi di poter giocare con la tecnica, elementare in questo tipo di macchine, per provare a comporre dei quadri astratti. Dimenticandomi il contesto, mi sono concentrata sui particolari di queste piscine, sui colori, sulle forme, sui materiali. Ho collezionato circa un centinaio di polaroid. La sera in albergo le esponevo e le disponevo per terra, perché si asciugassero. In quei giorni mi sono chiesta cosa pensassero le cameriere quando entravano a rifare la camera, trasformata in una stanza fatta di mosaici di piscine. Le accostavo e trovavo le stesse forme, dimenticandomi dell’origine della piscina, ma creando quadri astratti per colori e tipologia. Il risultato, per ogni quadro, è un’unica piscina fatta di tante piscine diverse”.