Curiosamente simili a opere di optical art, vicine alle immagini create dal caleidoscopio, le composizioni fotografiche di Andrea Rovatti sono contemporaneamente rigorose registrazioni meccaniche e trasfigurazioni immaginarie di dettagli urbani. Fortemente grafiche, sono al tempo stesso profondamente fotografiche. La ripetizione di un dettaglio tratto dal paesaggio urbano dà luogo a false sequenze nelle quali il tempo è azzerato: nessuna variazione ha luogo, nessuno spostamento visivo è possibile, ogni movimento risulta bloccato. (...) Il ripetersi ordinato di questi frammenti è un vero e proprio processo di clonazione che genera la composizione rispondendo a una sorta di gioco ottico di natura illusionistica. Accade così che l'accuratezza e la "fedeltà" tipiche della procedura fotografica finiscano per provocare l'effetto opposto, cioè un netto scollamento dalla realtà. (...)

Se riflettiamo sull'idea di modulo, vediamo che il ripetersi uguale di uno stesso elemento è anche un segnale fondamentale dell'industrialesimo, della civiltà delle macchine che ha plasmato il mondo e le nostre vite attraverso il criterio della serialità. (...) Nell'arte, dalla Campbell's Soup di Andy Warhol alle stazioni di servizio di Ed Ruscha, dalle "sculture anonime" di Bernd e Hilla Becher alle sequenze di Jan Dibbets a ogni altro progetto artistico basato sulla ripetitività, l'idea di modularità è transitata, per esempio, nelle grandi immagini metropolitane e megalopolitane di Andreas Gursky o nelle raccolte infinite di immagini di Joachim Schmid. Le scacchiere di Rovatti, grandi texture (o, forse, ci piace immaginare, su un piano percettivo, ingrandimenti di texture più fini, fitte, microscopiche, non leggibili dall'occhio umano) così profondamente affidate alla grafica, rimandano però anche in qualche modo ai giochi ottici di Escher, a uno spaesamento nei riguardi della realtà che, seppur temperato dalla gradevolezza delle forme e dei colori che si alternano e si riconfermano, comunque ci confonde. Sono anche, queste composizioni, una sfida all'architettura, la proposta, quasi il progetto, di spazi e strutture pensate per un paesaggio artificializzato, per una società globalizzata che è costantemente costituita da fitte trame di cose, reti, rimandi, rispecchiamenti. Luoghi impossibili, ma invece possibili.
Roberta Valtorta

Andrea Rovatti, fotografo e graphic designer, insegna Design della comunicazione al Politecnico di Milano. Ha esposto, tra l'altro, a Parigi, Milano, Hiroshima, New York, Mumbai, Montreal, Varsavia.