Daan Roosegaarde

“Dovremmo smettere di pensare per opinioni e iniziare a lavorare con le proposte.”

Il ruolo dell’architetto nella società, detriti spaziali e organismi del futuro. L’intervista a Daan Roosegaarde è una chiamata all’azione per tutti i creativi.

Continua la chiacchierata con Daan Roosegaarde, iniziata con il racconto del suo ultimo progetto, Icoon Afsluitdijk. L’artista e inventore olandese ci parla del suo approccio al mondo progettuale e fa un appello a tutti gli architetti e designer, esortandoli a essere più presenti nel discorso su innovazione e sostenibilità. Tra i suoi numerosi progetti ricordiamo la pista ciclabile fluorescente Van Gogh, la Smog Free Tower che ‘raccoglie’ lo smog e lo trasforma in gioielli, la Smog Free Bike che filtra l’aria inquinata e la purifica, la Smart Highway che sfrutta l’energia cinetica delle auto per ‘accendersi’, e il Sustainable Dance Floor, una discoteca interamente alimentata dall’energia generata dai passi sulla pista da ballo.

Com’è iniziato tutto quanto?
Quando hai un’idea, in molti ti dicono che non è possibile, ma tu la realizzi lo stesso. Penso che tutto sia iniziato nel momento in cui ho capito che non erano la mancanza di denaro o tecnologia a fermare le persone, ma la mancanza di curiosità e immaginazione. Ho pensato che dovevamo iniziare a fare cose che stimolassero questo aspetto, per migliorare il mondo. Così avrei potuto far parte di un cambiamento, una persona che fa aprire gli occhi...

Schonheid è il tuo mantra.
È una parola olandese che ha due significati, creatività e bellezza. Sta per chiarezza... la purezza dell’aria, dell’energia. In studio siamo guidati dallo schonheid. Di fatto ci sono molti architetti nello studio, i miei capo-progetto sono architetti, e ogni volta che vado in una città visito gli edifici. Ho un master in architettura, amiamo il mondo dell’architettura e lavoriamo molto con BIG e altri studi. È una disciplina incredibile, e loro (gli architetti) lavorano così duramente, è una sofferenza, ma continuano imperterriti. In ufficio siamo 38/39 persone, poi abbiamo uno studio pop-up a Shanghai. Cerco di tenerlo il più piccolo possibile, ma sto fallendo in questo (ride). 

Il tuo studio è conosciuto anche come la Dream Factory. Studio Roosegaarde è un sistema che mette insieme di tutto.
Beh, avevo molte idee ma nessuno sapeva come realizzarle, quindi abbiamo deciso di farlo noi. Ho iniziato nove anni fa, forse dieci. Abbiamo assunto persone da discipline diverse, è una combinazione tra un atelier d’arte e uno studio di architettura, e mi piace. Ci offre spazio per sperimentare e per esprimere concetti. A volte si tratta di commissioni, come per l’Afsluitdijk, altre volte sono auto-commissioni, come lo Smog Free Project: l’abbiamo avviato, speso soldi, tempo ed energia, poi Kickstarter ha dato una mano e ora lo vogliono tutti. Riceviamo chiamate da tutto il mondo, ma fino a tre anni fa ci veniva detto no, non è possibile, non è permesso. Le sfide architettoniche sono sfide globali, e fa strano che gli architetti o l’architettura in generale siano così poco presenti in questo dibattito, o che non facciano proposte. Nel discorso architettonico attuale c’è una mancanza di curiosità rispetto a queste tematiche davvero sorprendente, perché è proprio lì che si trova l’energia, i finanziamenti e dove c’è spazio per la sperimentazione. Quindi spero che i progetti che realizziamo stimolino un maggiore coinvolgimento.

È incredibilmente curioso il modo in cui stiamo regalando le nostre speranze, desideri, frustrazioni e denaro al ‘cloud’, al mondo virtuale, ai robot, a Facebook, Wechat o Twitter. In un certo senso, il nostro mondo fisico sta collassando.

Esiste una piattaforma per innovatori come te per collaborare tutti insieme, o siete tutte stelle solitarie?
Hai ragione, non c’è molta interazione, il che è strano visto che esiste un sapere collettivo che non viene usato a sufficienza. Ci sono le conferenze, ovviamente, ma per quanto ne so non esiste un gruppo segreto, o almeno, io non ne faccio parte (ridendo). Forse qualcuno dovrebbe prendere l’iniziativa: come trasformare le idee in realtà? Come creare impatto? Come realizzare esperimenti per il gioco, per la ricerca?

Quali sono i requisiti per essere ammessi nel tuo studio?
Le ossessioni. Chiunque può usare Photoshop o Autocad. Può sembrare basico, ma devi essere curioso e voler capire. È molto semplice. Quando fai un progetto, come la diga, noi, me per primo, iniziamo sempre come dilettanti, perché è un mondo nuovo che non conosciamo. Quindi ti ci devi buttare... si tratta di un processo dove alla fine diventi un esperto. Devi voler sentirti come un principiante. Fa paura, ma è anche divertente e penso che sia l’abilità più importante. E poi devi sapere chi è Buckminster Fuller altrimenti sei fuori in cinque minuti. Sai che ci sono studenti di architettura che non sanno chi sia Buckminster Fuller?! Mi sento vecchio... (ridendo).

Lo Smog Free Project sta smuovendo davvero qualcosa nelle città e nei loro sistemi politici?
Abbiamo iniziato tre anni fa a Rotterdam e, grazie ai media, alla CNN, alla BBC, a Domus e altre riviste, il governo cinese si è svegliato e ha iniziato a investire e partecipare. Nel 2018 lo lanceremo in India, Messico, Polonia e al momento sto lavorando in alcuni mini-van che sono simili alla Smog Free Bicycle e che verranno completati alla fine dell’anno. È moltissimo lavoro.

Tu usi luce e acqua in tutti i tuoi lavori. È un modo per riconciliarci alle origini? È vero che abbiamo perso questo legame?
Sì, e penso anche al rapporto con il design. Per me non si tratta di progettare un’altra sedia, o un’altra lampada, o un altro tavolo, ma fare davvero qualcosa che crei buoni legami tra storia e futuro, tra qualcosa di molto pratico e allo stesso tempo poetico. L’obiettivo è di creare luoghi dove le persone possano sentirsi in qualche modo riconciliate con sé stesse, con il paesaggio... Tutto questo lo puoi interpretare in molti modi.

Non è strano come le città siano diventate macchine che ci uccidono? Domenica vado a Pechino, sono 17 sigarette al giorno che inalerò, è pazzesco! Perché le città sono diventate macchine per danneggiarmi? Per me il lusso non è questa dose di diossido, ma aria pulita, energia pulita, acqua pulita...

Parlando di paesaggio, come lo definiresti considerando la popolazione sempre più in crescita e la continua colonizzazione da parte dell’uomo?
Si tratta di trovare una nuova armonia. Molte delle sfide che stiamo affrontando ora, come l’inquinamento dell’aria, sono in un certo senso un design sbagliato, errori architettonici. Possiamo fare due cose: accusare i governi, lamentarci o aspettare, metterci in un angolo e piangere, oppure inventare un modo per uscirne. È interessante perché se consideri il Metablismo o la Nuova Babilonia di Constant o Yona Friedman, erano tutte persone interessate proprio a queste tematiche, e ora abbiamo un’occasione per metterle in pratica.

Sai benissimo che le informazioni sono così frammentarie e guidate dalle opinioni. Pensi che noi, come esseri umani, stiamo guardando nella direzione giusta? A cosa dovremmo guardare?
Prima di tutto dobbiamo smettere di pensare per opinioni e iniziare a lavorare con proposte. Non credo più nelle opinioni. Tutti hanno un’opinione, chi se ne frega. Questo è il primo cambio di mentalità che si può fare. Diventare un attivatore, non un osservatore. Secondo, trovare una visione, un obiettivo. Non è strano come le città stiano diventando macchine che ci stanno uccidendo? Vado a Pechino domenica, sono 17 sigarette al giorno che inalerò, è pazzesco! Perché le città sono diventante macchine che mi stanno facendo del male? È il nuovo lusso, il nuovo lifestyle? Per me il lusso non è questa dose di diossido, ma aria pulita, energia pulita, acqua pulita. Penso che il design e il mondo dell’architettura dovrebbero mostrare la bellezza di questo nuovo mondo, che dovrebbe far parte di un nuovo standard. Quando progetti una città, non si tratta solo del tipo di materiale, ma di energia e aria pulita, se no la gente come me sarebbe solo una nicchia esclusiva, e questo è sbagliato. Ho risposto alla tua domanda? È una bella domanda.

Pensiamo che l’inquinamento sia il nostro più grande problema, ma forse ci sbagliamo. Qual’è il più grande problema oggi?
La mancanza di curiosità. La mancanza di immaginazione. Siamo molto bravi a biasimare gli altri e pessimi nel capire cosa fare. Questo ci rende molto statici. È incredibilmente curioso il modo in cui stiamo regalando le nostre speranze, sogni, desideri, frustrazioni e denaro al ‘cloud’, al mondo virtuale, ai robot, a Facebook, Wechat o Twitter. In qualche modo il nostro mondo fisico sta collassando: l’aria, l’energia. Ci vien da dire semplicemente che “se ne dovrebbe occupare il governo.” C’è un divario tra il virtuale e il fisico. Stiamo nutrendo i robot con la nostra energia. Dove sono gli architetti in questa storia? E dove sono i designer in tutto questo? Come possiamo creare situazioni dove la tecnologia salti fuori dai nostri schermi per migliorare il mondo intorno a noi?

Una volta hai detto che architettura e design sono discipline del passato, che il futuro sta nella biologia, nella scienza.
Se guardi a Glowing Nature, in questo vecchio bunker, eravamo lì la notte scorsa, fino a tardi. È così magico perché osservi organismi che hanno più di 400 milioni di anni, sono l’inizio della vita, sono i nostri antenati, in un certo senso. Ma è interessante perché sono anche il futuro, un modo per riportare la natura nella città, realizzare cose che si illuminano. Devono crescere e mantenersi ma non hanno bisogno di fili o cavi. Prendi l’ala di una farfalla. Ha sempre dei colori così brillanti perché in un certo senso assorbe e manipola la luce a livello nano. Ma allora perché usiamo ancora i pigmenti o perché abbiamo le facciate così sporche? C’è qualcosa di magico in questo. Penso che parte della nuova armonia stia proprio qui. Ciò che dico non è nuovo, voglio dire Gaudí e altri ne parlavano già. Viviamo in un mondo nuovo, abbiamo tecnologia nuova, quindi possiamo avere nuove espressioni, ecco cosa c’è di interessante.

Per favore, dicci una cosa che pensi vada detta. 
Incoraggerei gli architetti a sperimentare di più in questo campo. È qui che stanno i finanziamenti, la leadership, la necessità e anche dove sta il divertimento, sai? È un nuovo territorio, non c’è dogma, non c’è grammatica, è anche incredibilmente eccitante perché te lo devi inventare da te.

Quali sono i tuoi prossimi passi?
Lo spazio. Oggi ci sono 23.000 particelle sospese nello spazio, che misurano 10-60 cm. I detriti del’Universo. Se colpiscono un satellite... beh, il satellite cade, e niente più Facebook, niente più Domusweb, niente più sistemi bancari... Dobbiamo capire se si può usare questa energia pulita, se questo pensiero creativo si possa applicare per ripulire lo spazio attorno alla Terra. È interessante perché la NASA e l’ESA stanno forgiando da anni un programma di questo tipo (Space Debris Elimination – SpaDE program, ndr) e ci sono un sacco di persone in gamba che ci stanno lavorando ma nessuno sa ancora come fare. Nessuno sa come ripulirlo. È complesso. Bene, questa è una delle cose a cui stiamo lavorando, e poi stiamo realizzando grandi progetti di architettura del paesaggio a Toronto, Londra, Shenzehen, Pechino... me ne sto dimenticando una, non importa. E poi andremo tutti a dormire ora che l’Afsluitdijk è completato.

Daan Roosegaarde (1979), direttore di Studio Roosegaarde, è un pensatore creativo e maker che si occupa di design sociale che esplora la relazione tra persone, tecnologia e spazio, con un fascino per la natura.  



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