In memoriam

Smantellando il padiglione di Toyo Ito dopo sette anni di lungo dibattito politico, Bruges mette ancora una volta in discussione il senso dell’architettura contemporanea in un centro urbano storico e il risultato è un passo indietro nel tempo.

Il 17 marzo Toyo Ito ha ricevuto il premio d’architettura Pritzker e il 5 novembre il Comune di Bruges ha eliminato una delle sue rare opere realizzate in Europa. Toyo l’anno 2013 non se lo dimenticherà facilmente.
La struttura d’alluminio a nido d’ape del padiglione di Bruges è stata accuratamente segata a pezzi e trasferita in un magazzino, dove sarà custodita. Toyo Ito ha voluto che il padiglione temporaneo da lui costruito nel 2002 fosse conservato. [1]
La rimozione del padiglione è stata preceduta da più di sette anni di lungo dibattito politico a Bruges e nelle Fiandre. Poiché nel 2006 un carrello elevatore aveva gravemente danneggiato il pavimento a filo d’acqua si è resa necessaria una ristrutturazione radicale. Il cosiddetto ponte, con tutti gli apparecchi illuminanti, ha dovuto essere rimosso. Quando sorsero problemi di manutenzione lo specchio d’acqua circolare fu eliminato, per essere semplicemente riempito di ghiaia. Senza lo specchio d’acqua il rivestimento esterno fu preda del vandalismo.

Da allora niente più galleggiamento, niente più luce elettrica, niente più riflessi sull’acqua. Restò solo la struttura d’alluminio con le lastre di policarbonato trasparente. Il padiglione perse definitivamente i suoi aspetti poetici di assenza di peso e di architettura delle sfumature.

Il preventivo dei costi di ristrutturazione crebbe anno dopo anno. L’amministrazione fiamminga era disposta ad assumersi buona parte dei costi, Toyo Ito propose i suoi servizi per il restauro, ma il Comune di Bruges non ritenne che il padiglione ne valesse la pena.

Il critico d’architettura Marc Dubois espresse il timore che la stampa internazionale considerasse la demolizione del padiglione come “una forma di barbarie culturale”. [2] Ma la demolizione è davvero frutto di insipienza culturale? Dopo tutto il padiglione nel corso degli ultimi anni aveva perso la maggior parte della sua espressività e del suo significato poetico. Era una presenza forte nella piazza e non si poteva sfuggire al suo potente effetto. Forse per qualcuno era una sfida troppo forte.
Il padiglione era stato costruito nel 2002, quando Bruges aveva ottenuto il titolo di Capitale europea della cultura. A Toyo Ito fu chiesto di esprimere le potenzialità della nuova architettura nel contesto di un centro storico. Era un tema importante per la città, poiché dal 2000 era stata inserita nell’elenco del Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Come nel caso del padiglione di Barcellona di Mies van der Rohe l’incarico chiedeva a Toyo Ito un padiglione temporaneo privo di qualunque funzione specifica, “una provocazione architettonica di grande qualità. Un ritorno simbolico alle radici storiche della città, nonché una prospettiva ottimista sulla vitalità del suo futuro. […] L’edificio non ha altra funzione se non quella di manifesto d’architettura. Quando venne chiesto a Mies van der Rohe di progettare un padiglione a Barcellona, gli si disse di fare ‘qualcosa’ che fosse privo di funzioni. Noi chiediamo la stessa cosa”. [3]
Ma non fu proprio questa mancanza di funzioni, di manifestazioni, a mettere il padiglione in una posizione fragile e delicata? Argomenta Bernard Tschumi che “solo il corretto rapporto fra i tre livelli dell’evento, dello spazio e del movimento produce l’esperienza dell’architettura”. [4] Il significato del padiglione era diventato poco chiaro. Senza eventi l’esperienza dell’architettura non è completa. L’evento annuale della Capitale europea della cultura si è esteso fino ai giorni nostri. Di qui il concetto di padiglione temporaneo privo di funzioni destinato a manifestazioni temporanee.
Dove si colloca il confine tra arte e architettura? Il progetto del padiglione offriva nuovi modi di osservare, di riflettere e di muoversi. Era una passeggiata dei sensi nella piazza. Costringeva il pubblico ad attraversare la piazza seguendo un percorso diverso e a osservare i monumenti storici che gli stanno intorno da un punto di vista differente. Era un’opera d’arte spiazzante che dava rilievo alla percezione dell’intorno e dell’ambiente tramite un pavimento galleggiante, una costruzione trasparente e uno specchio d’acqua.
Geert Bekaert (1928), il più importante critico d’architettura belga di tutti i tempi, ha parlato con ampiezza del padiglione: “Dopo tutto il padiglione è l’opposto di ciò che gli sta intorno, la pesante architettura dalle impermeabili facciate di pietra. Non le si contrappone ma la trasforma, eliminandone la massa e la pesantezza, assorbendola nel distacco del suo gioco”. [5]
Esprimeva un’estetica minimalista che sottolineava la trasparenza e la leggerezza tramite un’epidermide complessa e fragile, che dissolveva i confini dell’architettura. Il padiglione era il frutto dell’estrema creatività e del grande coraggio dell’architetto. Di conseguenza richiedeva altrettanta dedizione per essere compreso pienamente e per ricevere la corretta manutenzione. La sua estetica minimalista lo rendeva raffinato, ma anche fragile e vulnerabile a ogni minimo intervento improprio. Un progetto essenziale e minimalista non tollera alcun tipo di distruzione parziale senza perdere la maggior parte della sua sostanza e del suo significato.
Con l’eliminazione del padiglione Bruges mette ancora una volta in discussione il senso dell’architettura contemporanea nel centro storico di una città. Il padiglione era il risultato della ricerca di un’architettura nuova. Ha dovuto tornare a cedere il posto all’architettura storica. Il risultato è un passo indietro nel tempo. Bruges sta forse soccombendo a una specie di disneificazione in cui il reale è irreale? Matthias Van Rossen, architetto (@matvanros)

Note:
1. Hera Van Sande, Toyo Ito builds the Bruges 2002 pavilion, Oostkamp, Stichting Kunstboek, 2002.
2. Marc Dubois, “Barbarij in Brugge”, De Standaard, 2 agosto 2013.
3. Hera Van Sande, Toyo Ito builds the Bruges 2002 pavilion, Oostkamp, Stichting Kunstboek, 2002.
4. Bernard Tschumi, The Manhattan Transcripts, London, Academy Editions, 1994, p. 9
5. Hera Van Sande, Toyo Ito wint de Pritzker prijs, http://www.archipelvzw.be/agenda/440, giugno 2013.

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