Panamá, in cammino

Il modo più rapido di attraversare il continente americano è immergersi nel Canale di Panama: ottantadue chilometri che collegano l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico. Per qualche motivo, il nuovo slogan scelto dall’Autorità nazionale per il Turismo recita: Panama, the way (video). Questo paese, a metà strada tra il Nord e il Sud, offre un conciso panorama dell’immensa America, sintetizzando molte delle sue complesse caratteristiche.

Un angolo acuto tra la costa pacifica e la zona del Canale definita nel 1904 – un anno dopo la separazione di Panama dalla Colombia – ha disegnato lo sviluppo urbano di Panama City. La sua espansione lineare e disarticolata ha generato un ampio ventaglio di sistemi organizzativi diversi che lanciano una sfida contro le opinioni precostituite. L’assenza di una legislazione specifica che garantisse un modello tradizionale di crescita sostenibile e le selvagge manipolazioni dettate da interessi privati hanno dato origine tanto a catastrofi quanto a spettacolari risultati.

Rascacielos, Panamá, Photo Darién Montañez 2013
In apertura e sopra: quartiere di Costa del Este. Photo Darién Montañez
La città offre al visitatore occasionale un’immagine violentemente eterogenea, frutto dei diversi stili che si sono succeduti dal periodo coloniale a oggi. Oltre ai palazzi coloniali eretti per lo più tra il Sedicesimo secolo e l’indipendenza del paese nel 1821, questo vistoso amalgama comprende costruzioni francesizzanti simili a quelle sorte nella stessa epoca a New Orleans; eleganti case di legno in quartieri verdeggianti dove all’inizio del Ventesimo secolo si stabilirono gli statunitensi; edifici neoclassicisti, art nouveau, art deco; una sobria architettura moderna manifestasi dall’inizio degli anni Trenta; interessanti volumi funzionalisti del decennio dei Cinquanta; una recente profusione di edifici postmoderni, ed esemplari non catalogati, attualmente oggetto di dibattito.
Feoclásico, Panamá, Photo Darién Montañez 2013
Esempi di Alto Feoclásico, Panama. Photo Darién Montañez
L’architettura contemporanea è arrivata in forma di grattacieli che cingono la costa, secondo il modus operandi di Miami. Questa profusione di prismi, avvolti nel vetro colorato e con l’aria condizionata al massimo, mette in ombra le opere di maggior pregio. Provenendo dall’aeroporto via autostrada, l’accesso alla città ha come punto di fuga l’esclusivo quartiere di Costa del Este, un agglomerato di torri che svettano su quel che un tempo erano mangrovie, paludi e il più grande immondezzaio della città. Dagli anni Sessanta l’industria immobiliare ha letteralmente innalzato pile di banche, hotel, uffici, centri commerciali, nessuno in relazione con le aree circostanti, creando generici condomini, a detrimento delle zone residenziali marginali che ricevono molti immigrati e scarsa attenzione dal governo.
Feoclásico, Panamá, Photo Darién Montañez 2013
Esempi di Feoclásico popolare, Panama 2013. Photo Darién Montañez
In questo poco stimolante panorama architettonico, acquisiscono importanza alcuni fenomeni periferici. Con uno sguardo senza pregiudizi, l’architetto Darién Montañez ha studiato alcune delle costruzioni più stravaganti, che il mondo accademico di solito ignora, coniando il neologismo Feoclásico (composto da feo – brutto – e clásico – classico) per indicare costruzioni il cui stile rappresenta modelli classici degenerati oltre la loro rivisitazione neoclassica. Montañez considera la copiosa riproduzione di opere di architettura discreditata come una manifestazione della nostra società. Non fanno alcun tentativo di creare un’identità all’interno del loro contesto, per crearne invece una completamente diversa.
Feoclásico, Panamá, Photo Darién Montañez 2013
Esempi di Feoclásico popolare, Panama 2013. Photo Darién Montañez

La teoria del cosiddetto “Feoclásico popolare” esercita un’influenza potente sull’edilizia civile di Panama come una patina che contamina le superfici. “Generalmente anonimo e su piccola scala, […] viene usato in case e parchi in tutto il paese per vantare ricchezza o rendersi memorabile. Sebbene a volte si presenti anche in edifici nuovi, in genere appare su costruzioni pre-esistenti come un processo graduale e addizionale, rivestendo palazzi o interi caseggiati capitello per capitello e balaustra per balaustra.”

Come una patina che contamina le superfici, la teoria del cosiddetto “Feoclásico popolare” esercita un’influenza potente sull’edilizia civile di Panama
Questa lettura trasversale comprende anche le discutibili imprese immobiliari nate sotto l’insegna dell’Alto Feoclásico[…] magniloquente e particolarmente offensivo. È ‘alto’ per le sue pretese di raffinatezza e perché si applica principalmente nelle torri di appartamenti di lusso. A differenza del ‘Feoclásico Popolare’, questo è un ‘Feoclásico d’autore’, di architetti, perciò è alto anche per i prezzi.”
Feoclásico, Panamá, Photo Darién Montañez 2013
Esempi di Feoclásico popolare, Panama 2013. Photo Darién Montañez
Le opere feoclásicas eludono le norme dell’alta cultura recuperando invece i parametri che guidavano l’architettura panamense nel Sedicesimo secolo: imitazione di uno stile straniero, ibridazione con le tecniche locali e decorazione ornamentale. Come il miglior postmoderno, propongono un collage storicista autoreferenziale. Ci sfidano con enigmi cui non possiamo sottrarci. Non è forse la cosa più naturale che le persone si sentano attratte dalla bellezza? Non è più vantaggioso o veloce fare buona architettura? Cercare risposte consolatrici significa supporre che questa stridente libertà formale possa nascondere valori programmatici interni, funzionando come un malriuscito trompe l’oeil che nasconde spazialità interessanti. Una pista di decollo per l’architettura del futuro. Magari intravedendo una certa innocenza nella sua ovvia artificialità, ripensiamo alle parole di Susan Sontag: “La scoperta del buon gusto nel cattivo gusto può essere estremamente liberatoria. […] Rende felice l’uomo di buon gusto che correva il rischio di una costante frustrazione”.
Feoclásico, Panamá, Photo Darién Montañez 2013
Esempi di Feoclásico popolare, Panama 2013. Photo Darién Montañez

È su questo sfondo che incontriamo le ardite forme del futuro Biomuseo progettato da Frank Gehry. Conosciuto anche come il Ponte della Vita, è situato all’entrata della sponda pacifica del Canale. Secondo le premesse ufficiali “sarà un’icona della nuova Panama”, “un edificio di forte impatto, molto diverso da qualsiasi altra struttura i suoi visitatori abbiano mai visto prima”, “un’esperienza memorabile, anche se scorto da lontano”.

 

Come in altre opere di Gehry, spicca l’arbitrarietà delle forme, rivendicazione di un impulso creativo soggettivo esercitato attraverso la libertà individuale. La sua ambizione sembra quella di voler dare impulso all’economia riproducendo il tanto inseguito effetto Bilbao. Se le lamine di titanio davano al Guggenheim spagnolo una tranquilla e inedita continuità materiale, nel Biomuseo Gehry torna all’eterogeneità dei suoi primi lavori decostruttivisti, accentuando la frammentazione dei volumi con una gamma di colori deliberatamente eccessiva.

 

Resta solo da aspettare la sua inaugurazione con lo spirito che Henry Miller mostrava a ottant’anni: “La cosa più difficile per una persona creativa è evitare di vedere il mondo come più le confà e accettare il prossimo per quello che è, buono, cattivo o indifferente. Bisogna impegnarsi al massimo, anche se non sarà mai abbastanza”. — Isabel Martínez Abascal

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