Il modo più rapido di attraversare il continente americano è immergersi nel Canale di Panama: ottantadue chilometri che collegano l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico. Per qualche motivo, il nuovo slogan scelto dall’Autorità nazionale per il Turismo recita: Panama, the way (video). Questo paese, a metà strada tra il Nord e il Sud, offre un conciso panorama dell’immensa America, sintetizzando molte delle sue complesse caratteristiche.
Un angolo acuto tra la costa pacifica e la zona del Canale definita nel 1904 – un anno dopo la separazione di Panama dalla Colombia – ha disegnato lo sviluppo urbano di Panama City. La sua espansione lineare e disarticolata ha generato un ampio ventaglio di sistemi organizzativi diversi che lanciano una sfida contro le opinioni precostituite. L’assenza di una legislazione specifica che garantisse un modello tradizionale di crescita sostenibile e le selvagge manipolazioni dettate da interessi privati hanno dato origine tanto a catastrofi quanto a spettacolari risultati.
La teoria del cosiddetto “Feoclásico popolare” esercita un’influenza potente sull’edilizia civile di Panama come una patina che contamina le superfici. “Generalmente anonimo e su piccola scala, […] viene usato in case e parchi in tutto il paese per vantare ricchezza o rendersi memorabile. Sebbene a volte si presenti anche in edifici nuovi, in genere appare su costruzioni pre-esistenti come un processo graduale e addizionale, rivestendo palazzi o interi caseggiati capitello per capitello e balaustra per balaustra.”
Come una patina che contamina le superfici, la teoria del cosiddetto “Feoclásico popolare” esercita un’influenza potente sull’edilizia civile di Panama
È su questo sfondo che incontriamo le ardite forme del futuro Biomuseo progettato da Frank Gehry. Conosciuto anche come il Ponte della Vita, è situato all’entrata della sponda pacifica del Canale. Secondo le premesse ufficiali “sarà un’icona della nuova Panama”, “un edificio di forte impatto, molto diverso da qualsiasi altra struttura i suoi visitatori abbiano mai visto prima”, “un’esperienza memorabile, anche se scorto da lontano”.
Come in altre opere di Gehry, spicca l’arbitrarietà delle forme, rivendicazione di un impulso creativo soggettivo esercitato attraverso la libertà individuale. La sua ambizione sembra quella di voler dare impulso all’economia riproducendo il tanto inseguito effetto Bilbao. Se le lamine di titanio davano al Guggenheim spagnolo una tranquilla e inedita continuità materiale, nel Biomuseo Gehry torna all’eterogeneità dei suoi primi lavori decostruttivisti, accentuando la frammentazione dei volumi con una gamma di colori deliberatamente eccessiva.
Resta solo da aspettare la sua inaugurazione con lo spirito che Henry Miller mostrava a ottant’anni: “La cosa più difficile per una persona creativa è evitare di vedere il mondo come più le confà e accettare il prossimo per quello che è, buono, cattivo o indifferente. Bisogna impegnarsi al massimo, anche se non sarà mai abbastanza”. — Isabel Martínez Abascal