Ipotesi di lavoro per una tassonomia del linguaggio architettonico
Capita spesso di sentir parlare dei grandi studi internazionali di
architettura e delle loro opere quasi fossero entità isolate, ciascuna
un unicum autoreferenziale privo di connessioni col resto del
mondo. Nei fatti, invece, ci si sorprende a notare somiglianze,
analogie, contaminazioni tra opere progettate da autori
provenienti da Paesi diversi, per luoghi distanti anche migliaia
di miglia tra loro. Fino a qualche tempo fa, gli architetti più noti
erano molto attenti a far crescere e amplificare la riconoscibilità
del proprio brand rispetto alla concorrenza: non avremmo mai
confuso un edificio di Gehry con uno di Jean Nouvel, Zaha
Hadid, o Herzog & de Meuron, o MVRDV. Tutti con un proprio,
personalissimo lessico. Fino a qualche tempo fa: oggi pare che le
cose vadano diversamente.
Attack of the Clones?
Sono innegabili le analogie tra il DnB
NOR Headquarters di MVRDV (Oslo, Norvegia, 2003), il Rotterdam
Stadskantoor di OMA/Koolhaas (Rotterdam, Olanda, 2009) e i
XINA Hangzhou Waves di jds/Julien De Smedt (Hangzhou, Cina,
2011). Oppure tra il Vibenhus Office Building di BIG (Copenaghen, Danimarca, 2006) e il Binhai Mansion di OMA/Koolhaas
(Shenzhen, Cina, 2011). O tra il Vilnius WTC di BIG (Vilnius, Lituania,
2007) e le Future Towers di MVRDV (Pune, India, 2011).
Le possibili somiglianze non si limitano all'approccio formale:
ulteriori analogie appaiono anche nel metodo di rappresentazione
utilizzato dai progettisti. Nel concorso per il Rødovre Skyscraper
di Copenaghen (2008), il progetto vincitore di mvrdv+adept
utilizzava, oltre ai riconoscibili pixel tridimensionali, alcuni
schemi compositivi per diagrammi già tipici di PLOT. Con la
singolare coincidenza che anche lo studio di Bjarke Ingels
partecipò a questo concorso, perdendo di fatto contro le proprie
stesse armi comunicative [1].
Cosa accade? Sono scambi di cortesie, tributi, attestati di stima
più o meno consapevoli tra colleghi? Si tratta di malcelate copie
o cloni, magari giustificati dai tempi ristretti per affrontare un
concorso? Forse la vera domanda è: esiste davvero l'originalità
assoluta, l'"atto creativo puro" in architettura?
Creativo. Originale
Il tema è complesso, e ha a che fare con la trasmissione della cultura. Intesa come idee, teorie, convinzioni,
istruzioni, a cui appartiene anche il linguaggio architettonico e i
suoi approcci spaziali o formali.
La cultura, anche architettonica, non è quasi mai pensiero
originale e geniale. Le idee e il pensiero umano, in generale,
nascono dalla composizione/scomposizione d'informazioni
che esistevano prima di noi e che entrano, presto o tardi, nel
nostro bagaglio di conoscenze, per poi trasmettersi di nuovo
verso l'esterno, magari con qualche variazione. Qualcuno ha
provato a fare una similitudine tra il modello evoluzionistico,
che spiega la trasmissione dell'eredità genetica negli organismi
viventi, e il modo in cui avvengono le evoluzioni culturali. Se il
gene rappresenta l'unità ereditaria fondamentale negli esseri
viventi, nel 1976 Richard Dawkins ne The Selfish Gene (Il gene egoista introduce
per la cultura e l'informazione l'analogo concetto di 'meme'.
Questi 'memi', unità di trasmissione culturale, possono assumere
noi o altri media (comunque "supporti di memoria", biologica o
tecnologica che sia) come vettori.
È una teoria affascinante, applicabile anche in architettura [2]. I
'memi' sono idee o parti di idee (una lingua, una consuetudine
culturale, un credo religioso, una leggenda metropolitana, una
melodia, un valore estetico, un approccio teorico, una soluzione
tecnica, o architettonica o formale) che, trasmesse da mente a
mente e associate tra loro, acquisiscono vita autonoma e spiccate
capacità 'virali' di diffusione e replicazione. Si arriva, in certi casi,
alla "ripetitività infettiva" del meme, il cosiddetto 'tormentone'.
Conosci il tuo [archi-]meme
Pensiamo di essere originali, ma in verità custodiamo e lavoriamo su idee di altri. Luca Silenzi mutua un concetto dalla teoria evoluzionistica, per descrivere i processi di comunicazione e di trasferimento delle figure architettoniche contemporanee.
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- Luca Silenzi
- 21 marzo 2012
- Roma
Viva la Evolucion! [3]
Secondo la definizione originale di Dawkins
un 'meme' (dal greco mnimis 'memoria') è "ciò che è imitato". Ogni
informazione che, una volta imitata, subisce variazioni e viene poi
selezionata nel processo evolutivo 'produrrà progetto' [4], un passo
avanti. Cioè: "copia con variazione e selezione".
Quindi, rispetto al modello culturale 'creazionista', ancora oggi
assai diffuso in ambiente, appunto, 'creativo', siamo agli antipodi:
molto più spesso di quanto pensiamo, per guardare più lontano si
sale "sulle spalle dei giganti". Lo aveva intuito Isaac Newton, già
due secoli prima di Darwin.
Esistono memi 'forti', similmente ai "caratteri dominanti" in
campo genetico, cioè con alta capacità di diffusione e replicazione
(pensiamo agli ordini classici, o al frontone triangolare che
è sopravvissuto ai templi, o ai recenti ubiqui tetris voxels); e
memi 'deboli', con scarsa o nulla capacità di diffusione: idee
magari ottime in sé, ma senza successo. Oggi che le idee e le
informazioni hanno possibilità di viaggiare da un cervello all'altro
istantaneamente, attraverso la rete (un po' come avviene per
i virus che si propagano attraverso i voli aerei) i 'memi' hanno
possibilità decisamente maggiori di trasferirsi e attecchire.
E accade così anche in architettura. Infatti è chiaro che alcune
soluzioni architettoniche funzionano globalmente (e quindi si
'replicano') meglio di altre, almeno nella testa dei progettisti, o dei
committenti, o delle commissioni di giuria dei concorsi. 'Memi'
più forti rispetto alla concorrenza, "memi formali" supportati
da altrettanto agguerriti "memi teorici", in lotta per l'egemonia
finché non saranno soppiantati da altri memi. E così via.
Diffusioni, infezioni, pandemie
A discolpa delle somiglianze
quasi imbarazzanti tra alcuni progetti come quelli sopra citati
(ma si potrebbero fare ulteriori similitudini per altri), è riduttivo
pensare di trovarsi davanti a fenomeni di banale emulazione, o
peggio di plagio: potremmo piuttosto affermare di avere assistito
in questi anni a un processo di ripétitivité infettiva: per esempio,
del 'meme' derezzed/tetris block o degli "sbalzi estremi" alla
WoZoCo/MVRDV. Gli architetti non c'entrano, o almeno non del
tutto: loro malgrado, sono stati utilizzati come vettori da parte di
'memi' architettonici dominanti, che si sono insinuati in maniera virale nei terminali (e nelle menti) di insospettabili capi-progetto,
con gli esiti che conosciamo.
È ovvio che tale infezione di 'archi-memi' avrà maggiore diffusione
dove sussistono particolari condizioni di contagio: fattori come
il background formativo, l'appartenenza, presente o passata, a
specifici gruppi di lavoro, il trasferimento di asset culturali (soci o
dipendenti) tra studi concorrenti, quando associati alle istantanee
possibilità di condivisione globale delle informazioni, creano
ulteriori condizioni per interessanti "impollinazioni incrociate" o
"mutazioni di ceppo" dei caratteri ereditari.
In questo senso, Rem Koolhaas/OMA/AMO—lo studio con il più
vasto numero di spin-off di alto livello di tutti i tempi [5], veri e
propri laboratori memetici in cui si producono a pieno ritmo
teorie, idee e architetture diverse, esperimenti più o meno di
successo, autorevoli mutazioni dagli altrettanto autorevoli ceppi
di origine—rappresenta il più imponente "incubatore di cultura
architettonica" degli ultimi decenni. Un po' come accadde quasi
un secolo fa nello studio di Peter Behrens [6]: il Moderno partì
fondamentalmente da lì.
Osmosi
Alla luce di queste osservazioni, provo a formulare
una risposta alla domanda che ci siamo posti poco sopra: esiste
l'originalità assoluta, l'atto creativo puro in architettura?
Direi di no. O perlomeno esiste, ma non in purezza.
Abbiamo visto che una forma di atto creativo (certamente non
assoluto, non nato dal nulla) è nell'azione di "imitazione con
variazione e selezione" che caratterizza qualsiasi evoluzione.
Ancor più creativo, se vogliamo, è ogni balzo in avanti per cambio
di scala, o di paradigma, per esempio col trasferimento di concetti
dall'arte, o dalla musica, all'architettura, da sempre in grande
osmosi reciproca (potremmo parlare per ore dei debiti di molta
architettura contemporanea verso Sol LeWitt o Donald Judd).
Ora, se ammettiamo che la disciplina dell'architettura si colloca
in un dominio di conoscenze disponibili e condivise, allora tutte le
teorie, o le soluzioni formali concretamente realizzabili in forma di
spazio o edificio, rappresentano delle entità più o meno avanzate
all'interno di questo dominio, adattate al contesto di intervento.
In altre parole, tutti noi abbiamo dei riferimenti, o un background
d'informazioni a monte della nostra azione intellettuale, che
ne rappresentano la base fondante, o il contesto di riferimento.
Partiamo sempre da dati acquisiti e andiamo avanti (o, nel
peggiore dei casi, indietro...). Proprio per questo è errato pensare, si
diceva, a un'opera di architettura come fosse un unicum, concepito
nel sublime autosufficiente universo mentale del creatoreprogettista-
demiurgo.
Knowledge base
Si è messo a punto un esperimento per testare
questo ragionamento: quali entità in un dominio di conoscenze,
le teorie o le soluzioni formali possono essere classificate e messe
in relazione tra loro. Selezionando, per esempio, un campione
di architetti internazionalmente riconosciuti, per le loro opere
possono essere stabiliti dei rapporti, valutandone i precedenti,
evidenziandone i caratteri evolutivi e quelli di continuità o
discontinuità rispetto ad altre opere.
La mappa che ne deriva rappresenta un frammento di una
possibile tassonomia in progress del linguaggio architettonico, in
cui ogni taxon può essere costituito da un gruppo sistematico di
entità riconducibili alla stessa regola ('meme'?), teorica o formale.
Ovviamente, il campione è limitato nel tempo e negli esemplari, e
le regole/'memi' potrebbero essere estese a piacere: l'analisi ai fini
della pubblicazione cartacea di un tema tanto complesso opera
necessariamente una discretizzazione. Consideriamolo un punto
di partenza. Lo scopo è quello di impostare una sorta di knowledge
base ragionata dei progetti e dei manufatti architettonici, un
capitale di conoscenza utile per ordinarne e comprenderne le
linee evolutive e le loro intersezioni (touchpoints o crossbreedings),
i balzi in avanti con l'innesto di nuovi temi e nuovi punti di vista
(milestones), la loro presenza carsica o la loro estinzione. Capire
perché alcune di queste idee hanno avuto più successo di altre. E
sfatare così il mito del solitario, iperuranio Creatore-di-Bellezza.
Che sa benissimo di essere, da sempre, in ottima compagnia.
Luca Silenzi (@spacelab_it)
Esiste davvero l'originalità assoluta, l'atto creativo puro' in architettura?
NOTE
1. A complicare le cose è il fatto
che molti studi internazionali si
rivolgono agli stessi esperti di
rendering, come Luxigon o mir,
con conseguente uniformità
grafica e di atmosfera anche tra
diversi progetti e autori
2. In Italia il primo ad occuparsi
di 'memi' architettonici è stato
Paolo Bettini nel suo saggio
Evoluzione, che ha rappresentato
la principale ispirazione per
l'avvio di queste riflessioni
3. Esclamazione di Bjarke Ingels
nell'introduzione a. Yes is
More, 2009
4. Susan Blackmore, Imitation
and the definition of a meme,
in Journal of Memetics.
Evolutionary Models of Information
Transmission, 1998
5. Paul Makovsky, Baby Rems,
Metropolis, gennaio 2011
6. Conrad Newel, Work for Rem
part II, Notes on becoming a
famous architect, 25 marzo 2011