L'oscuramento di Wikipedia Italia

La cosiddetta 'legge bavaglio' è l'occasione per fare il punto su senso e modalità operative della più famosa enciclopedia online alimentata dagli utenti.

L'oscuramento di Wikipedia Italia nei giorni 4, 5 e 6 ottobre impone una riflessione non sbrigativa né pregiudiziale sul senso e il ruolo di un'enciclopedia libera online. Il motivo di quel black out è stato l'introduzione del comma 29 nel discusso decreto sulle intercettazioni, passaggio nel quale si imponeva anche a tutti i siti web, senza alcuna distinzione, l'obbligo di pubblicare entro 48 ore una smentita da parte di chi si considera diffamato da un contenuto apparso online.

Il sito italiano di Wikipedia si è immediatamente reso inaccessibile agli utenti visualizzando, al posto della voce cercata, un comunicato nel quale si giudicava inaccettabile l'obbligo di pubblicare smentite senza poterne verificare l'attendibilità. "Vogliamo mettere in guardia i lettori – si leggeva nel comunicato - dai rischi che discendono dal lasciare all'arbitrio dei singoli la tutela della propria immagine". Il famigerato comma è stato poi corretto imponendo tale obbligo soltanto alle testate online registrate, tuttavia il decreto non è ancora approvato in via definitiva e su Wikipedia Italia si seguita a mettere in guardia dai rischi per la sopravvivenza stessa del progetto.

L'enciclopedia, fondata nel 2001 da Jimmy Wales e Larry Sanger (che ben presto avrebbe lasciato per far partire un progetto analogo, Citizendium, in cui vi sono maggiori vincoli alla libera partecipazione degli utenti), è oggetto di controversie sull'affidabilità dei contenuti fin da quando è nata, e nel corso della sua vicenda decennale ha messo in atto varie strategie per aumentare complessivamente i controlli e le verifiche, in modo da rendere sempre più accurati e oggettivi i propri contenuti.
Va dunque dato atto alla comunità degli autori di Wikipedia di aver profuso un enorme sforzo di autocritica e di progressivo miglioramento su questo fronte.

Alla base del progetto vi è l'uso della piattaforma tecnologica wiki (parola hawaiana che significa "veloce", ma che secondo alcuni sarebbe acronimo di What I Know Is, 'quello che so è', sintetico slogan di una conoscenza costruita dalla collaborazione di più soggetti), che consente a chiunque di modificare voci esistenti e, almeno inizialmente, anche di crearne di nuove. Non sono mancati incidenti, anche gravi, derivanti da un uso improprio di questo strumento. Il più noto è quello in cui incorse nel 2005 John Seigenthaler, giornalista e collaboratore di Bob Kennedy, la cui biografia su Wikipedia riportò per 132 giorni, dal 29 maggio al 5 ottobre di quell'anno, la falsa notizia secondo cui sarebbe stato sospettato di aver avuto un ruolo negli assassini di John e Robert Kennedy. Altri due siti (reference.com e answers.com) riportavano la stessa notizia.

Il giornalista scrisse su Usa Today un amaro commento riguardo all'episodio, mettendo in luce i rischi di una totale deregulation dell'informazione circolante su Internet. Come le piume di un cuscino, una volta rotto l'involucro, si diffondono ovunque senza poter mai più essere recuperate, così è per le false voci fatte circolare in modo irresponsabile. Con questa immagine, che l'autore trovava particolarmente calzante per descrivere Wikipedia, si chiudeva il suo atto d'accusa.

Da allora le cose sono cambiate nel senso di un maggiore controllo riguardo all'inserimento di voci nuove: per crearne una occorre registrarsi al sito, mentre prima era possibile farlo rimanendo anonimi. Resta comunque possibile intervenire su un contenuto senza alcuna necessità di identificarsi. Il sistema rimane dunque altamente vulnerabile rispetto ad atti di vandalismo, ma la sua forza è il controllo reciproco, "orizzontale" dei contenuti, che vengono in genere corretti con estrema rapidità. Quando però ciò non avviene, quelle piume sparse che fine fanno? La reazione piccata di Wikipedia Italia all'imposizione dall'esterno di uno strumento rigido (la smentita) e non adattabile alle linee guida interne al sito ha radici lontane.

Per capirne le ragioni occorre tornare al 1996, quando negli Stati Uniti si scatenò un furioso dibattito riguardo alla responsabilità di chi pubblicava contenuti online, che ricorda da vicino la levata di scudi a favore di Wikipedia. Il motivo era l'approvazione del Communications Decency Act, parte della legge sulle telecomunicazioni, che si proponeva fra l'altro di regolamentare la circolazione di materiale pornografico online.
John Perry Barlow, ex paroliere dei Grateful Dead, e membro della Electronic Frontier Foundation, attiva fin dalla nascita di Internet nella tutela dei diritti di chi naviga in Rete, scrisse per l'occasione una celebre "Dichiarazione di indipendenza del cyberspazio". "Il nostro mondo è diverso – vi si leggeva -. È ovunque e in nessun luogo, ma non è il mondo in cui vivono i nostri corpi". Qui, continuava Barlow, è possibile esprimere liberamente qualsiasi opinione senza incorrere in pregiudizi, e l'informazione è libera di circolare al riparo da balzelli e burocrazie. Non si possono imporre a questo mondo le leggi che vigono in quello materiale, perché non c'è materia in esso, ma soltanto la libertà del pensiero umano che crea e produce senza alcun vincolo.

Nel 1996 Wikipedia era ben lungi dall'essere anche soltanto immaginata e il World Wide Web lanciava i suoi primi vagiti. Internet era ancora limitata a una ristretta cerchia di intellettuali, studiosi, ricercatori, giornalisti. Niente di paragonabile alla capillare diffusione di oggi. E in effetti all'interno della Rete vigevano consuetudini che spesso erano in aperto contrasto con quanto avveniva al di fuori: era frequente ad esempio ottenere informazioni, consigli amichevoli, aiuti da persone sconosciute, che si percepivano però come legate da vincoli molto stretti. Buona parte dello spirito di quei primi anni sarebbe confluito proprio nel progetto Wikipedia. Se allora le argomentazioni di Barlow potevano avere qualche attendibilità - ma provate a raccontarlo a Seigenthaler che dietro ai bit non ci sono corpi veri che vivono e soffrono -, ha ancora senso oggi considerare Internet una sorta di zona franca in cui valgono leggi diverse da quelle del mondo fisico?

La risposta di Wikipedia si appella a un'assoluta peculiarità del progetto, che deve rispondere soltanto a regole proprie interne, ormai collaudate e provate negli anni. Alla base di tali regole vi è il problematico concetto di neutralità, o di "Neutral Point of View" (NPOV), come lo chiama lo stesso Jimmy Wales, norma indiscutibile e dalla quale è impossibile derogare. Evidentemente una smentita pubblicata dal diretto interessato non potrà mai essere neutrale. Per ottenere tale qualifica, una voce deve offrire informazioni verificabili, provenienti da fonti attendibili e autorevoli, e nel caso in cui siano presenti diverse opinioni deve riportarle senza parteggiare per nessuna di esse, ma fornendo un quadro il più esaustivo possibile della questione. Una voce viene considerata neutrale quando è stabile nel tempo.

Qualche tempo fa, in un incontro pubblico, a Wales fu chiesto: "Com'è possibile essere neutrali riguardo ad argomenti come Hitler e il nazismo?". La sua risposta fu che il problema non si pone perché chi ritiene Hitler una brava persona è soltanto una sparuta minoranza, di cui si può tranquillamente non tener conto. Ma se in questo caso il ragionamento non fa una piega, non altrettanto si può dire di altre opinioni sostenute da minoranze. E poi, siamo sicuri che la quantità di persone che condividono una convinzione sia un criterio valido e sufficiente per deciderne l'attendibilità? Non basta forse un testimone diretto di un fatto per smentire cento persone che lo riferiscono per sentito dire? Non intendiamo qui semplificare in modo indebito. Si avrebbe buon gioco nel citare il celebre apologo di "Rashomon" di Akira Kurosawa, in cui i testimoni di uno stesso evento ne rendono versioni totalmente diverse fra loro, per ricordare quanto sia problematico il concetto di verità dei fatti.

È innegabile che l'uso e l'aggiornamento di Wikipedia invitino a un continuo esercizio di accuratezza e verifica di ciò che si sta scrivendo, in un'appassionante ricerca di una sempre maggior aderenza ai fatti, senza abbandonarsi a facili schematismi privi di riscontri. Se la reazione immediata del sito ha avuto il merito di far rientrare un provvedimento che avrebbe imposto norme troppo rigide e, di fatto, molto difficili da osservare nella pratica, il problema resta. Il confine fra il mondo virtuale della Rete e quello reale è sempre più labile, ormai quasi inesistente. Trincerarsi dietro un'ipotetica neutralità non può esimere dal confronto con chi si senta offeso da quanto si è scritto. Fuori o dentro Internet.

Stefania Garassini è una giornalista esperta di nuovi media che vive a Milano.

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