Gli studi d'architettura hanno beneficiato del boom immobiliare dell'ultimo decennio e tuttavia, quando la bolla si è sgonfiata, gli architetti hanno preteso di non averci avuto nulla a che fare. Molti importanti architetti 'globali' cercano di difendere l'autonomia dell'architettura: un punto di vista che si riflette nel modo di insegnare l'architettura, specialmente nelle scuole di prestigio come l'Architectural Association e la Bartlett. La didattica di queste scuole è ancora dominio di filosofie esoteriche, incarichi astratti e bei disegni. Ma forse è arduo pretendere che il nucleo centrale della didattica e della professione rifletta su se stesso, aspettarsi che gli stessi architetti che per anni hanno rivendicato il loro ruolo divistico (imponendo a costruttori e pubblico che cosa debba essere l'architettura e come se ne debba discutere) ammettano di essere stati solo dei burattini ben pagati, abitanti di un mondo immaginario di prospero sviluppo perpetuo fondato su progetti di vanità culturale e di edilizia speculativa. E forse non è ragionevole attendersi che gli studenti di queste scuole, dal canto loro, sviluppino tale senso critico.
Ma se il centro non è in grado di formulare domande problematiche sulla responsabilità speciale, politica ed economica dell'architettura, dove si può trovare questa capacità? Forse occorrerebbe iniziare a guardare alla periferia, dove l'influsso dell'establishment è più debole, dove la 'libertà' può permettere una ribellione.
La School of Architecture di Plymouth ha avuto il suo periodo di gloria negli anni Sessanta, quando ne assunse la direzione Adrian Gale, che aveva lavorato a Chicago nello studio di Mies van der Rohe. Prima di quest'epoca era stata una facoltà relativamente sonnacchiosa, sepolta tra le bellezze del Sud Ovest dell'Inghilterra. Sei anni fa è diventato responsabile del Master in Architettura Bob Brown, nativo dell'Illinois. Brown ha conferito al programma un fortissimo carattere di responsabilità sociale. Gli studenti hanno iniziato a lavorare a progetti in linea con lo slogan "luoghi veri, gente vera, progetti veri". Gli studenti del secondo anno hanno iniziato a studiare siti al di fuori della Gran Bretagna, particolarmente in città che attraversavano rapidi cambiamenti sociali e spaziali. Due anni fa, quando è iniziata la collaborazione ai corsi di Krzysztof Nawratek, al programma sociale preesistente si è aggiunta un'impostazione sempre più fortemente politica.
"L'architettura non è indipendente dal contesto socio-politico ed economico in cui si colloca. Uno stesso edificio può cambiare radicalmente senso e funzione se cambia il contesto sociopolitico. Sono cresciuto nell'Europa orientale: l'ho visto con i miei occhi. In soli pochi mesi il quartiere si trasformava in modo spettacolare: anche se fisicamente rimanevano gli stessi edifici, le stesse strade", dichiara Nawratek.
Studenti e docenti di Plymouth sono convinti che l'architettura vada sempre giudicata dall'esterno della professione. Gli edifici vanno sempre considerati nel contesto più vasto possibile: dal punto di vista spaziale, politico, sociale ed economico.
Il rifiuto radicale dell'autonomia dell'architettura è un gesto di ribellione e un'espressione di collera contro la tendenza dominante della formazione all'architettura come si presenta nelle università inglesi. Fatto interessante, l'architettura a Plymouth non viene contestualizzata solo nel panorama delle scienze sociali ma anche in una prospettiva profondamente ingegneristica. Le domande sono sempre due: "Come è costruito l'edificio?" e "Quali conseguenze ha sulla società?" A Londra, all'inizio dell'estate, hanno esposto insieme il loro lavoro studenti dell'Università di Plymouth e del Politecnico di Danzica. I progetti riguardavano l'impatto di una nuova, importante arteria viaria tra l'aeroporto e il porto di Danzica, e la mostra è stata l'occasione di riflettere criticamente sugli effetti sociali, economici, politici, spaziali e culturali dei grandi progetti infrastrutturali nel contesto della crisi finanziaria di oggi. Un secolo dopo la prima formulazione di questo interrogativo da parte degli architetti del Congrès International d'Architecture Moderne (CIAM), la domanda che gli studenti si ponevano era: quale ruolo ha l'architetto in quanto agente attivo del cambiamento politico e sociale? L'urbanistica e l'architettura possono essere parte di un programma politico radicale?
La mostra, intitolata Radical Architecture?, ha debuttato con un dibattito tra Owen Hatherley, autore di Militant Modernism e di Contemporary Ruins of Great Britain, e Malcolm Miles, autore tra l'altro di Cities and Cultures, Consuming Cities e del volume di prossima pubblicazione Herbert Marcuse: An Aesthetic of Liberation. Il dialogo tra due critici d'architettura marxisti si accordava decisamente con le opere esposte. I progetti comprendevano una proposta di edilizia sociale a costo radicalmente basso, dove il punto di partenza non era la forma ma la situazione giuridica ed economica, e un allevamento di carpe decentrato, che analizzava la tensione tra gli aspetti pragmatici e profondamente funzionali della tecnologia e l'ambiente socio-economico decentrato dei fornitori e degli acquirenti del pesce. Un altro progetto metteva a frutto le competenze degli operai dei cantieri navali, concentrandosi sull'allestimento manuale dei prodotti e specificando le modalità costruttive fino al livello della singola vite, compreso un manuale per la costruzione di edifici.
Uno dei progetti più affascinanti era un impianto pirata per il trattamento delle acque reflue. Il progetto descriveva con precisione un processo di inserimento abusivo nella rete fognaria allo scopo di restituire alla comunità (tramite la produzione di fertilizzanti e di materiali edilizi) ciò che lo Stato le toglie. A livello teorico e sociale il progetto costituiva una presa di posizione polemica nei confronti dell'ossessione per la città e per lo spazio ripuliti fino alla sterilizzazione, il cui effetto politico è sempre in qualche modo una forma di fascismo.
Non c'erano progetti di gallerie d'arte, musei e residenze di lusso per clienti immaginari. Si trattava di architettura funzionale e utile, di progettazione partecipe della lotta per una città e per un mondo migliori per tutti. Krzysztof Nawratek, che in aprile ha assunto la direzione del nuovo Master di Architettura della scuola di Plymouth, è molto esplicito quanto agli obiettivi del corso: "Vogliamo formare architetti che sappiano esattamente come funzionano gli edifici che progettano, vogliamo formare architetti che sappiano come questi edifici possano diventare armi nella lotta per un mondo migliore. Sì, crediamo che un mondo migliore sia possibile e vogliamo costruirlo. Personalmente non ho alcun problema a parlare di 'rivoluzione'".
Il linguaggio formale di questi progetti è ribelle e sgarbato, e rifiuta il mondo disabitato e patinato ritratto nelle riviste d'architettura. La forza e l'intransigenza ideologica di questa architettura risiedono nel suo contenuto e troveranno modo di sedurci. Lasciate perdere i ben pasciuti architetti del centro, soddisfatti di sé. La rivoluzione viene dalla periferia.
Marcin Szczelina, critico d'architettura polacco, è tra i curatori della Biennale Evento di Bordeaux e cofondatore di Salon, laboratorio per la sperimentazione di confine in architettura.
