Le sorprendenti review a 5 stelle delle grandi fabbriche su Google e TripAdvisor

A colpi di recensioni a pieni voti e commenti carichi di entusiasmo, tracciamo la storia sublime della nostra attrazione verso i paesaggi industriali contemporanei. Anche voi avete lasciato il cuore a Busalla? 

Recentemente l’artista italiana Ambra Castagnetti ha raccolto e condiviso con una serie di storie Instagram alcuni screenshot di recensioni lasciate su Google Maps da utenti di passaggio alla raffineria di Busalla, in Liguria. Commenti sorprendenti, che parlano di “cattedrali tecnologiche”, “opere architettoniche senza eguali”, “paesaggi epici” — spesso con toni sinceramente poetici, più che ironici.

E allora ci si chiede: mentre su Instagram spopolano tour tra edifici brutalisti, interviste a chi vive nella Trellick Tower e itinerari tra icone dell’architettura, non è forse su Google Maps e TripAdvisor che si sta dando forma a un nuovo modo di guardare, più emotivo e meno filtrato, capace di restituire la potenza visiva di questi luoghi senza sovrastrutture? In fondo qui non parliamo di influencer o aspiranti tali, non c’è overdose di foto e video brevi girati con l’iPhone Pro: sono solo poche righe di commento, proprio come quelle che si lasciano al ristorante buono che hai trovato per caso al mare o al bar con delle brioche sorprendentemente gustose.

Recensione della raffineria Iplom Spa di Busalla su Google Maps, Liguria

Un plotone silenzioso di utenti di Maps e Tripadvisor si commuove davanti alla rude grandezza di raffinerie, silos, porti industriali: paesaggi sospesi tra l’orrendo e il sublime, tra la nostalgia per una civiltà materiale in via di estinzione e la fascinazione per la sua monumentalità inconsapevole. Una diversa idea di bellezza — non ancora filtrata dai trend — che restituisce uno sguardo vivo, immediato, sulle nostre reazioni alla trasformazione del paesaggio contemporaneo.

C’è chi, passando davanti a una raffineria, vede solo tubi metallici, fumi e strutture funzionali. E chi, invece, ci trova la poesia. Perché ci affascinano tanto questi paesaggi? In fondo condensano, più di altri, l’ambivalenza della modernità: grandezza tecnologica e vulnerabilità umana, forza produttiva e decadimento, funzionalità estrema e forme inaspettatamente monumentali.

Essen, Ruhr, Germania. Foto Jonas Tebbe

Come osserva Brian Dillon nel suo Essay on Ruins, le rovine moderne — comprese quelle industriali — incarnano una tensione tra l’ambizione architettonica originaria e la fragilità della loro condizione presente, trasformandosi in luoghi densi di senso, anche nel loro disfacimento.
Così facendo, le rovine offrono una forma di conoscenza e visione temporale compressa: spazi in cui il tempo sembra collassare su sé stesso. L’interesse che suscitano non è necessariamente nostalgico, ma piuttosto critico, stratificato e, in questo senso, profondamente estetico.

È il caso, per esempio, del fascino del porto di Rotterdam, il più grande d’Europa, dove tra container colorati e gru monumentali si respira una bellezza epica che racconta la scala della produzione globale e il suo impatto sul paesaggio. Qualcosa che aveva già intuito il grande scrittore britannico J.G. Ballard alla fine del Novecento vedendo negli aeroporti, negli svincoli autostradali e neu grandi impianti tecnologici le nuove cattedrali del nostro tempo.

Brian Dillon, Ruins, 2011

La monumentalità silenziosa della Battersea Power Station a Londra, ex centrale elettrica affacciata sul Tamigi e oggi trasformata in un complesso residenziale e culturale, testimonia la capacità di riconvertire l'eredità industriale senza cancellarne l'identità.
La Volkswagen Autostadt a Wolfsburg celebra l'industria ancora in piena attività, trasformando la produzione automobilistica in esperienza architettonica e simbolica. Mentre nella Ruhr, in Germania, i complessi minerari e siderurgici dismessi sono stati riconvertiti in parchi culturali e inseriti nel patrimonio Unesco, trasformando l'archeologia industriale in memoria viva del territorio.

Raffineria Iplom di Busalla (GE). Foto Stefano59Rivara da Wikimedia Commons

In Giappone, un esempio estremo di archeologia industriale contemporanea per eccellenza è rappresentato da Gunkanjima, l’isola di Hashima al largo di Nagasaki. Acquisita da Mitsubishi alla fine dell’Ottocento per l’estrazione di carbone, nel dopoguerra divenne una città compatta e verticale tra le più densamente popolate al mondo: residenze operaie, scuole, ospedali e infrastrutture industriali si stringevano in uno spazio minimo, circondato dal mare. Il suo profilo, compatto e corazzato — da cui il soprannome “Gunkanjima”, letteralmente "isola corazzata" — ha alimentato un immaginario post-industriale e apocalittico, che l'ha portata nel 2012 a essere scelta come ambientazione cinematografica per il film Skyfall della saga di James Bond.

Abbandonata nel 1974 con il collasso dell’industria carbonifera, l’isola ha mantenuto intatta la sua struttura urbana originaria, che nel 2015 le è valsa l’inserimento tra i siti del patrimonio Unesco. Da allora il governo giapponese ha autorizzato visite guidate regolamentate, che consentono ai visitatori di esplorare alcune aree esterne: un’esperienza che restituisce, in scala ridotta ma potentissima, la materia viva e il dissolvimento progressivo di un intero paesaggio industriale.

Unkanjima, l’isola di Hashima al largo di Nagasaki

In Italia, accanto alla raffineria di Busalla, spicca la Centrale idroelettrica di Santa Massenza in Trentino, un capolavoro invisibile di ingegneria contemporanea ancora in piena attività.
A Taranto, la vasta area siderurgica dell'Ilva – oggi ArcelorMittal – continua a definire l'orizzonte urbano con la sua presenza imponente e controversa: una "città nella città", emblema delle contraddizioni tra sviluppo industriale, sostenibilità ambientale e diritto alla salute.
Mentre a Marghera, sulla Laguna veneziana, capannoni dismessi, ciminiere mute e scheletri di cemento raccontano la parabola della modernità produttiva, trasformandosi in terreno privilegiato per l'esplorazione urbana.

Sospetto che i grandi cambiamenti culturali che preparano il terreno ai cambiamenti politici siano soprattutto di ordine estetico.

J. G. Ballard

La lunga attrazione per l’industria

Il richiamo estetico delle architetture industriali non è certo una scoperta recente. In particolare a partire dagli anni Sessanta, fotografi e artisti hanno iniziato a guardare a questi paesaggi come a veri monumenti moderni. I coniugi Bernd e Hilla Becher, pionieri della tipologia industriale, hanno dedicato la loro carriera a documentare torri d’acqua, silos e ciminiere con rigore quasi archeologico, trasformandoli in oggetti estetici e testimonianze di una cultura della funzionalità.
Come sottolineava Bernd Becher, questi edifici "sorgono privi di ogni intento estetico", ed è proprio questa purezza d’intento a renderli così affascinanti.

Industrial Facades, 2012. Courtesy Sonnabend Gallery, New York

Nella loro scia si inseriscono figure contemporanee come Andreas Gursky, che ha portato la fotografia industriale a una scala monumentale, ritraendo impianti produttivi, magazzini e infrastrutture globali in immagini di straordinaria precisione formale, dove l'architettura della produzione si trasforma in paesaggio astratto.
Allo stesso modo, Thomas Struth, anch'egli formatosi alla scuola di Düsseldorf, ha fotografato centrali elettriche, fabbriche e infrastrutture tecnologiche con uno sguardo analitico e immersivo, rivelando la complessità nascosta dei sistemi produttivi contemporanei.
Edward Burtynsky ha invece raccontato l’impatto umano sul territorio attraverso visioni spettacolari di miniere, raffinerie e complessi industriali, elevando il paesaggio produttivo a racconto epico e inquieto.

Domus 1094, ottobre 2024. Cover di Edward Burtynsky

Turismo industriale e nuove esplorazioni urbane

Negli ultimi decenni, l’interesse per l’archeologia industriale si è ampliato, coinvolgendo anche il grande pubblico.
È nato così un nuovo tipo di turismo industriale, che propone visite – più o meno lecite —  a ex-fabbriche, centrali elettriche, porti e distretti minerari oggi trasformati in luoghi di attrazione culturale.
Un fenomeno che riflette la ricerca di un’estetica diversa, capace di raccontare la storia della società attraverso le sue infrastrutture produttive — arrivando non solo al cuore degli artisti, ma anche a quello di un pubblico sempre più vasto.


Accanto ai percorsi ufficiali si è sviluppata anche la pratica dell’urbex (urban exploration): l’esplorazione e la documentazione fotografica di edifici abbandonati. Una pratica non necessariamente riservata ai fotografi professionisti, ma portata avanti da figure sempre più esperte di questo specifico linguaggio visivo.

Nella gallery, la nostra selezione di stabilimenti, accompagnati da commenti raccolti online, testimonia come l'estetica industriale continui a generare meraviglia e poesia nell'immaginario collettivo.

Immagine di apertura: Foto Miketa15 da Adobe Stock

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