Un “mercato” per il debutto del nuovo spazio UltraFiorucci a Milano

Fiorucci inaugura un nuovo spazio culturale: la prima mostra è firmata dall’artista parigino Thomas Jeppe, che combina pittura, video e fotografia per sollevare domande cruciali sul nostro presente.

Dopo la mostra alla Triennale e la recente sfilata, Fiorucci aggiunge un nuovo capitolo alla sua rinascita con UltraFiorucci, uno spazio culturale a Milano situato a due passi da Chinatown. Questo luogo nasce per riaffermare il legame profondo tra il brand e l’arte. Non sarà uno spazio dedicato a raccontare il marchio, ma ospiterà le opere di artisti che ne condividono i valori. “È la cosa più Fiorucci che possiamo fare,” spiega a Domus Alessandro Pisani, CEO del brand, annunciando che Fiorucci non si fermerà qui: presto arriveranno anche iniziative legate alla musica e alla nightlife.

Il debutto di UltraFiorucci avviene con Market, una mostra dell’artista multidisciplinare australiano – ma parigino d’adozione – Thomas Jeppe, curata dal collettivo francese The Community, noto per il suo approccio eclettico e decisamente street. “Siamo in un momento di grande cambiamento culturale,” racconta Jeppe a Domus. La sua arte si fonda su una riflessione profonda sull’attualità e sull’idea che un artista engagé possa svolgere un ruolo attivo. “Che cos’è il capitale?” si chiede Jeppe in Market. E, più in generale, cosa rappresenta il capitalismo? “È complesso, ambiguo e ambivalente,” osserva, aggiungendo di aspettarsi “qualcosa di molto diverso da ciò che conosciamo, prima o poi.” La sua opera ha un forte substrato politico.

Thomas Jeppe, Market. Courtesy Fiorucci

Market è un’installazione che si presenta come un vero e proprio mercato, con richiami evidenti ai suk. L’opera è un equilibrio tra conflitto e armonia, spiega Jeppe, e ha un legame importante con l’architettura. “Ogni mostra è un intervento nello spazio, un dialogo tra struttura e storia,” spiega l’artista, aggiungendo che la galleria diventa “un organismo vivente, con luce, suoni e forme che plasmano l’esperienza.” Con Market, Jeppe vuole interrogarsi su ciò che, in questa trasformazione culturale, ha ancora valore.

All’ora di pranzo, camminiamo scalzi con Jeppe sulle strisce bianche e nere dell’installazione, realizzate con materiali tipici dei pavimenti delle scuole di danza. La luce del sole filtra dalle ampie finestre di questo spazio, un tempo parte del più grande mulino a vapore di Milano, ora ristrutturato. Tutto è pronto per l’apertura serale, quando il Circolo UltraFiorucci farà il suo debutto ufficiale. Jeppe mi fa ascoltare la sonorizzazione composta appositamente da Low Jack (Philippe Hallais) dal suo telefono, e mostra le foto dell’installazione con la macchina del fumo, che verrà attivata durante l’inaugurazione. “La colonna sonora non è solo un accompagnamento, è un protagonista attivo della mostra,” precisa.

Thomas Jeppe, Market. Courtesy Fiorucci

Tre elementi principali caratterizzano l’installazione lungo la navata dello spazio UltraFiorucci, concludendosi su una parete bianca che ospita un unico dipinto. Il primo sono i quadri della serie Tumult, che raffigurano porzioni di cielo ispirate a immagini tratte dalle notizie. “Tutte le notizie accadono sotto lo stesso cielo,” spiega Jeppe. Queste opere rappresentano una via per l’astrazione: “sono senza tempo, ma al contempo molto concrete.”

Ogni mostra è un intervento nello spazio, un dialogo tra struttura e storia. La galleria diventa un organismo vivente, con luce, suoni e forme che plasmano l’esperienza.

Thomas Jeppe

Il secondo elemento sono i grandi poster, ingrandimenti di fotografie scattate di notte a Parigi con il telefono. Jeppe indica un’immagine che ritiene particolarmente significativa: una manifestazione, con persone che fotografano avvolte nella nebbia colorata di un fumogeno. Alcuni dettagli, come il logo di una nota catena di fast-food, sono stati intenzionalmente oscurati.

Thomas Jeppe, Market. Courtesy Fiorucci

Il terzo elemento si trova sotto quattro tende bianche e blu del mercato, dove monitor mostrano in loop 2am Runway. Questi video rappresentano una visione onirica e allucinata del mondo della moda. “Tornavo a casa alle 2 del mattino, completamente stoned,” racconta Jeppe, “e accendevo Fashion TV.” Da questo rituale è nato un lavoro che riflette su come le sfilate “rappresentino un ordine performativo alieno rispetto alla vita quotidiana, eppure al tempo stesso così ordinario.” Accanto ai monitor, un piccolo orologio svizzero fermo sulle ore 2 simboleggia, secondo Jeppe, “la fine del tempo neutrale.”
 


Sono nato a Milano, ero un bambino negli ’80 e un ragazzino nei ’90, per me Fiorucci è sempre stato parte dell’orizzonte cittadino, mia madre lo conosceva anche di persona. Parlarne con Jeppe mi restituisce la percezione di un marchio che ha avuto un impatto culturale globale, diverso dalla visione radicata nella città dove Elio Fiorucci aprì il suo celebre negozio a fine anni ’60. Jeppe cita il video Fiorucci Made Me Hardcore di Mark Leckey, ispirato a un negativo di Andy Warhol che a sua volta ritraeva un graffito a New York. “Penso che sia un aspetto cruciale della nostra produzione culturale,” spiega Jeppe. “Quando i brand creano qualcosa, e questa cosa viene reinterpretata da altri, fuori dal loro controllo.” Un concetto che, ne sono certo, avrebbe affascinato Elio Fiorucci.

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