A ideare la più interessante e riuscita utopia urbanistica dei nostri anni (nei film, s’intende) è stato un cartone animato su una coniglietta che vuole fare la poliziotta. E ora è nei cinema il suo sequel che approfondisce ancora di più il senso della città utopistica in cui è ambientato tutto e che dà il titolo ai due film: Zootropolis (2).
Nel 2016 Zootropolis raccontava di un mondo di animali antropomorfi, un classico della Disney, in cui una preda e un predatore (una volpe e una coniglietta) finivano per essere alleati e smascherare il piano dei cattivi per dominare la città. Il dettaglio non da poco era che quella città, che dà il titolo al film, era un posto in cui gli animali di tutti i tipi potessero vivere insieme non annullando le loro differenze ma rendendole compatibili. Storicamente nei cartoni animati, soprattutto quelli Disney, gli animali convivono imitando l’uomo, cioè sono tutti antropomorfizzati nella stessa maniera, adeguandoli a uno standard e annullando la loro natura animalesca tranne che per le fattezze. Per tutti i modi e le esigenze sono quelle umane.
Nei due Zootropolis invece gli animali antropomorfi sono usati per dire qualcosa sulle differenze che esistono tra esseri umani. Non solo differenze di etnia, ma anche culturali, religiose e ideologiche. Una buona parte di questi due cartoni viene passato a far muovere i personaggi nell’aggregato urbano, per poter mostrare strade, uffici, negozi e piazze, ma anche la viabilità della città di Zootropolis, pensata e disegnata in modo che animali piccoli possano convivere con animali grandi, ognuno con i propri percorsi differenziati. In modo che gli animali d’acqua possano frequentare gli stessi posti degli animali di terra e via dicendo.
Ci aveva provato un film Pixar di qualche anno fa a fare qualcosa di simile, Elemental, ma lì la prospettiva era opposta: in una città in cui gli abitanti sono gli elementi naturali (il popolo dell’acqua, quello del fuoco, quello dell’aria e quello della terra), ognuno ha un quartiere separato e la loro natura li confina a zone diverse. Come nel nostro mondo. Zootropolis invece ambisce a stare più avanti e immaginare città diverse.
È un passaggio non da poco la sola idea che la convivenza nei medesimi spazi non sia una questione di conformazione di varie diversità a uno standard comune, ma di esaltazione delle differenze, che la vera sfida non sia né che ognuno stia a casa propria, né che ognuno debba sacrificare un pezzo di sé per convivere, ma che gli spazi e i posti possano giocare un ruolo nel rendere le differenze compatibili. Zootropolis 2 poi espande ancora più il discorso sulla città e la sua centralità nella storia, confermando che nonostante siano sempre storie poliziesche di indagini e misteri, il tema sia proprio la convivenza e che ruolo abbia in questo la progettazione di un aggregato urbano.
Come società possiamo anche raggiungere un’utopia, come hanno fatto i costruttori e i politici di Zootropolis, ma questo non basterà a cambiare le teste delle persone, le vecchie convinzioni e le idee preconcette.
Nel primo film la coniglietta poliziotta a cui nessuno dà fiducia (perché i poliziotti sono tutti animali feroci) indaga su alcuni casi apparentemente slegati di animali mansueti che diventano predatori. La piaga sociale della città di Zootropolis è infatti che gli animali predatori si ritengono migliori, relegando quindi le prede a lavori di minor importanza. Quello che nel nostro mondo chiamiamo più semplicemente classismo. Salterà fuori che questa ondata di crimini violenti è il piano di una pecorella apparentemente indifesa, stufa di essere relegata alle classi subalterne e determinata a fare lotta armata. Quello che nel nostro mondo chiamiamo terrorismo. Ancora di più: terrorismo condannato (lei è la cattiva) ma fomentato da un’ingiustizia vera, che il film presenta come tale.
In questo secondo invece c’è un problema ancora più urbanistico: c’è un quartiere di Zootropolis che è stato nascosto e occultato e i suoi abitanti (rettili) cacciati, perché qualche altra specie vuole fare speculazione e allargare i propri territori. La lotta quindi è sempre tra qualcuno di tollerante che cerca di favorire l’inclusione e qualcuno che vuole promuovere la differenziazione e la divisione in classi. C’è cioè un principio etico in ballo. E anche i personaggi nelle loro vite, hanno il problema di faticare a lavorare in coppia, perché molto diversi.
Per raccontare di questa ricerca del quartiere perduto che proprio con la sua esistenza e la sua architettura palesemente orientata ad ospitare i rettili, proverà a tutti che non sono cattivi e anzi erano previsti nei piani originari, il film va ancora più a fondo nello spiegare il funzionamento della città. Oltre al centro che ospita tutti, ci sono quattro aree principali con habitat diversi (freddo, caldo, umido e secco) per la vita degli animali che necessitano di quell’ambiente, con un sistema di condotti che li legano e di tecnologie per mantenere gli habitat come sono. Non è quindi solo una questione di mostrare una situazione utopica ma di divertirsi e far divertire a immaginare le maniere (fantastiche) e le soluzioni di ingegneria (impossibili) con cui potrebbe funzionare.
Ma i due film Zootropolis riescono ad andare più a fondo del solito su un tema abusato, quello dell’integrazione, creando una frazione evidente tra le persone e gli spazi urbani. Come detto la città sia nel primo che nel secondo film è un’utopia che parla di una società avanzata. Tutto quello che capiamo guardando alle autostrade d’acqua accanto alle strade normali o alle entrate per animali piccoli in edifici per animali grandi e alla maniera fluida in cui procede la viabilità (non c’è traffico), è che chi gestisce quel posto ha una visione politica di eccezionale modernità. Eppure le storie dei personaggi sono piene di intolleranza. In questo modo i due film raccontano quello che più vediamo nel nostro di mondo, cioè che per quanto le società provino a darsi regole per portare avanti idee di tolleranza e inclusione, poi non è detto che gli abitanti di quelle società condividano quelle idee.
Come società quindi possiamo anche raggiungerla un’utopia, come hanno fatto i costruttori e i politici di Zootropolis, ma questo non basterà a cambiare le teste delle persone, le vecchie convinzioni e le idee preconcette. Dentro i due film di Zootropolis è pieno di animali con una mentalità arretrata, sono tutti intorno ai protagonisti. La coniglietta ha la possibilità di entrare in polizia, perché lo stato fa tutto per integrarla ma poi nessuno la accetta e le donnole-bulli la minacciano di rimanere al suo posto e non alzare la testa. I due cartoni parlano di integrazione di molti tipi diversi non solo per dire che è buona e giusta, ma che è una lotta che non finisce mai, che le resistenze di molti sono la normalità e che vanno combattute una per una. Senza fine. E questo lo dice proprio con il contrasto tra le politiche promosse espresse dall’organizzazione urbana della città e la mentalità di chi la abita.
Tutte le immagini: Courtesy Disney
