Roma, Napoli, Milano. I teatri come “parlamenti culturali permanenti”

Un racconto delle occupazione di tre teatri “liberati” dai lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, che il lockdown ha colpito duramente.

Il Piccolo Teatro Grassi di Milano, il Teatro Mercadante di Napoli e il Globe Theatre di Roma sono i tre principali avamposti italiani di un movimento internazionale di protesta e riflessione iniziato il 4 marzo 2021 a Parigi, con l’occupazione del teatro Odeon. Questi spazi sono diventati dei presidi permanenti per lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, attiviste e attivisti e più in generale per chiunque opera nel mondo della cultura. Li hanno chiamati Parlamenti Culturali Permanenti e sono i luoghi da dove può ripartire l’immaginazione del nostro paese. Nei giorni scorsi abbiamo raccolto alcune testimonianze per capire lo spirito delle iniziative e l’atmosfera che si respira in questi luoghi “liberati”.

Roma

“Un paese che non investe nel proprio teatro o è morto o è moribondo”, “Istruitx, agitatx, organizzatx”, “Universal Unconditional Basic Income”, “A noi gli occhi, please”, e ancora “Non per noi, ma per tuttx. Questa lotta ci riguarda” e “L’arte non è un mondo a parte. L’arte non è un campo innocente”. Queste sono solo alcune delle frasi che scandivano la struttura lignea del Globe Theatre a Roma. Poetiche e potenti al contempo, sintesi di complesse rivendicazioni, alla base di un lungo anno di lotta da parte dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo, culminato nell’occupazione temporanea del teatro in stile elisabettiano immerso nel parco di Villa Borghese. Uno spazio scenico per lo più all’aperto che per 5 giorni – dal 14 al 18 aprile – è diventato piazza, luogo di incontro, dibattito e discussione per chiedere insieme una riforma strutturale del settore e non semplici misure di emergenza. 

A partire dal teatro, per coinvolgere tutti i campi della cultura, e combattere precariato, violenza, sessismo. Un movimento nazionale e diffuso – da Milano a Napoli, da Padova a Torino a Barletta – con l’obiettivo di intrecciare le lotte e disegnare nuove forme di relazione con le istituzioni. Tremila persone hanno attraversato lo spazio scenico, in sicurezza, per dialogare intorno a tavoli di lavoro tematici aperti e inclusivi. Per portare proposte, percorsi personali e collettivi, raccontare e mettere a confronto difficoltà e fragilità, per lottare insieme per una più equa distribuzione delle risorse e del lavoro. Un dibattito per lo più condotto da chi si occupa di spettacolo, dalle maestranze agli artisti, ma in cui chiunque lavori nella cultura, dalle arti visive all’architettura fino all’editoria può riconoscersi. Per fare e rifare il mondo: Remake the Globe lo slogan. Un’azione estemporanea e densa di meraviglia, come ogni cosa che accade all’improvviso e rompe gli equilibri. Un’azione che a un anno dalla drammatica crisi che ha colpito il mondo dello spettacolo, a seguito dell’emergenza sanitaria, finalmente riesce a mettere sullo stesso tavolo Ministro della Cultura e Ministro del Lavoro, in un primo incontro avvenuto il 22 aprile e la cui sintesi è contenuta in un video online (qui sotto). Questo è solo l’inizio, “Vi stiamo addosso”, come recita uno degli striscioni. 
(Emilia Giorgi)

Napoli

A Napoli il clima è bollente. C'è fermento nel mondo della cultura. Continua l’occupazione del foyer del Teatro Mercadante con un presidio permanente che agisce come epicentro, piazza e laboratorio dove convergono i tentativi più o meno organizzati di attivare azioni, riflessioni e reazioni. La logica dei ristori non regge e non soddisfa un mondo prevalentemente fatto di lavoratori intermittenti: tecnici, attori, musicisti, registi, scenografi, una molteplicità di figure non tutelate. 

La protesta al Teatro Mercadante di Napoli
La protesta al Teatro Mercadante di Napoli

“Il movimento che sta lievitando in tutto il paese rivendica un cambio di paradigma nelle politiche governative e un riconoscimento del valore del lavoro culturale. Vogliamo tutto risuona e unisce le molteplici soggettività che attraversano questo fermento. A Napoli il presidio e i Venerdi’ della freva tengono la temperatura alta. La cultura si muove e ha preso una diagonale fuori e lontano da tutto ciò che il dibattito governativo e mediatico mette al centro. La cosa interessante è proprio questo rifiuto di essere rinchiusi nei confini di una logica e di un ruolo svuotato. È così che le vite che vogliono tutto possono davvero diventare possibili”.
(Marco Petroni)

Milano

Domenica 18 marzo 2021, ore 16.45. Sul tram verso il Piccolo Teatro Grassi mi accorgo di essere in uno stato di agitazione: non partecipo a un’iniziativa culturale o sociale da più di un anno. Il teatro ospita quotidianamente eventi autogestiti da gruppi, collettivi o professionisti che operano a Milano. Passando dalla centralissima via Dante non si può non notare il presidio: accanto all’ingresso, insieme agli striscioni colorati, ci sono degli altoparlanti che permettono di espandere verso l’esterno i discorsi condotti ogni giorno. Oggi tra le attività previste c’è un’assemblea cittadina organizzata dal centro per le arti Macao.

Trovo di fronte all’ingresso un piccolo gruppo di persone che non è riuscita ad entrare nello spazio perché, per evitare assembramenti, la capienza del cortile è controllata. Inizio a seguire gli interventi dall’esterno e riesco a intrufolarmi solo dopo poco meno di mezz’ora.

“Abbiamo preso questo posto il 27 di marzo per aprire uno spazio di dialogo all’interno del settore della cultura e dello spettacolo. Veniamo da un anno e più di lotte perché con la pandemia il nostro settore si è fermato completamente. Insieme vogliamo scrivere una proposta di riforma per il nostro settore, che non sia solo per noi ma per tutti i lavoratori discontinui e precari,” afferma Monia, rappresentante del Coordinamento Spettacolo Lombardia.

Assemblea al Piccolo Teatro Grassi, Milano

Al centro del cortile porticato trovo una grande cartina della città, chiamata “la Mappa della Cura”, che illustra la costellazione di pratiche affermative che operano nel territorio. Spesso marginalizzate o invisibili agli occhi delle istituzioni, queste realtà sono una risorsa preziosa per la città. 

“Siamo in un momento dove tutta l’Europa, a partire dal settore della cultura e delle reti della conoscenza, si sta esprimendo con decisione su come ricostruire delle prospettive di vita degne dopo la pandemia. La posta in gioco è alta! Crediamo che la gestione istituzionale della crisi sanitaria ed economica abbia favorito il comparto produttivo, a discapito del welfare, della salute territoriale, della cura dei territori e della riproduzione sociale, di chi promuove cultura dal basso e a chi ha sofferto di più,” dice Emanuele di Macao. “È il momento di affermare il bisogno di un reddito di continuità per tutte le categorie: dalle partite IVA ai rider, dagli autonomi ai lavoratori intermittenti. Universale.”

La successione di interventi afferma che le rivendicazioni di chi attraversa il teatro quotidianamente vanno al di là di quelle di categoria. È interessante notare come invece si sviluppino alleanze e intersezionalità tra gruppi e tematiche che possono sembrare distanti tra loro. “Sanità, istruzione, cultura” si legge su un cartellone appeso nel cortile. È un ottimo riassunto per descrivere la varietà di riflessioni affrontate da un gruppo di persone (purtroppo limitato dal distanziamento sociale) che, come afferma Monia, “trovano in questo posto un luogo dove iniziare a costruire una nuova visione di futuro.”
(Salvatore Peluso)

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