Quale casa per l’uomo?

Il paradigma delle riflessioni, ricerche e progetti proposti nel nuovo Domus Green è rappresentativo delle eccezionali trasformazioni in atto e delle questioni aperte sul nostro futuro prossimo.

Diébédo Francis Kéré, Serpentine Pavilion 2017, Kensington Gardens. Photo Iwan Baan
“Oggi è la città ad essersi estesa ai confini della terra, e la natura è ridotta a sua enclave, a ritaglio recintato entro le mura della città. Allora la tecnica, da strumento nelle mani dell’uomo per dominare la natura, diventa l’ambiente dell’uomo, ciò che lo circonda e lo costituisce”. (Umberto Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999)

A distanza di due anni dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune e l’ecologia integrale, Papa Francesco incontra il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. A meno di un mese dall’incontro, Donald Trump conferma l’uscita degli USA dall’accordo di Parigi sul clima.

Poche settimane dopo, per la prima volta nella storia dell’aviazione, a Phoenix decine di voli vengono cancellati per le eccessive temperature, che raggiungono i 50 gradi. Prometeo è stato liberato, la fiducia dell’uomo nei prodigi della tecnica non è mai stata così alta. Parallelamente, le evidenze sui limiti della capacità di rigenerazione della Terra e i segnali sui cambiamenti climatici sono sempre più forti. Nel mezzo sta l’uomo.

 

Questo numero di Domus Green si interroga sul rapporto tra uomo, natura e tecnica: lo fa con pensatori e ricercatori provenienti dal mondo della filosofia e della scienza, con urbanisti, architetti, ingegneri e innovatori, sia italiani che internazionali. Ne emerge un quadro stimolante che descrive e articola alcuni dei mutamenti in atto e i loro possibili effetti futuri.

Le tre interviste iniziali – condotte con Mauro Olivieri, amministratore delegato di Arup Italia – definiscono il perimetro concettuale del supplemento. Umberto Galimberti, filosofo e psicoanalista, Marco Lambertini, direttore generale di WWF International, e Stefano Boeri evidenziano la necessità di un ripensamento della relazione uomo-natura nell’età della tecnica, della costruzione di una nuova etica che tuteli gli enti di natura affinché la cura della salute dell’uomo e della natura si fonda in un agire unico e sistemico.

Questa apertura polifonica è accompagnata da una riflessione, a opera di Mario Coppola e Leonardo Caffo, sull’architettura del post-umano, il superamento dell’antropocentrismo e l’affermazione della simbiosi uomo-natura, illustrata da Coppola attraverso la deformazione plastica e antispecista dell’uomo vitruviano. Lo sguardo si dirige quindi sulle città, luogo per eccellenza della vita contemporanea.

Daedalus Pavilion, progettato Arup con la start-up Ai Build e realizzato con stampa 3D, 2016
Daedalus Pavilion, progettato Arup con la start-up Ai Build e realizzato con stampa 3D, 2016

Stefano Recalcati presenta le esperienze virtuose di tre esempi simbolo di un approccio consapevole alla pianificazione di territori ad alta densità urbana: Portland, Singapore e Stoccolma. Altro tema cruciale alla scala urbana è la rivoluzione in atto nella mobilità: le soluzioni a guida autonoma, intermodale e condivisa sono destinate a cambiare non solo il modo in cui ci muoveremo nel prossimo futuro, ma anche l’organizzazione stessa delle nostre città, l’identità dei luoghi e delle relazioni urbane.

A seguire, due macro-sezioni: la prima sul Data-Informed Design e la seconda sulle sfide della architettura sostenibile contemporanea. La rivoluzione digitale ha raggiunto un’età avanzata, la nostra quotidianità è stravolta dall’incessante evoluzione della digitalizzazione: l’immersione in un flusso continuo di dati e stimoli, che ciascuno di noi contribuisce a generare e diffondere. Il processo creativo e progettuale odierno si sviluppa in uno scenario in cui ogni dato e informazione sono immediatamente disponibili e, ancor più velocemente, elaborabili in una nuova forma. L’architetto può scegliere se ignorare questo fenomeno o se farne parte. Se, quindi, raccogliere questi dati, comprenderli, plasmarli, modellarli, parametrizzarli e darne la propria personale restituzione, per migliorare la qualità e la sostenibilità dei progetti e delle relazioni che essi determinano: uomo-uomo, uomo-natura, spazio antropico-spazio naturale, etc.

Emerge così un interrogativo chiave che Matteo Orlandi, curatore della sezione, pone in questi termini: “L’elevato contenuto tecnologico dei processi progettuali odierni si traduce solamente nel fare le cose vecchie in un modo nuovo, oppure il processo digitale diventa esso stesso carattere fondante del progetto?” Quattro firme internazionali della progettazione – BIG Architects, UNStudio, Arup e Elioth – forniscono la loro personale risposta. Partendo da prospettive differenti, affrontano l’estrema complessità di questo tema, delineando un quadro articolato, mai univoco, nel quale non mancano spunti di riflessione, provocazioni e stimoli.

La sezione che chiude il numero, curata da Ilaria Nava, propone le opere di cinque protagonisti dell’architettura contemporanea. In questa fase di passaggio dalla centralità dell’uomo alla centralità della tecnica, con la conseguente vulnerabilità della natura, ridotta a paramento del nostro sviluppo, l’anello mancante ai nuovi paradigmi del costruire è rinvenibile nel riavvicinamento alla potenza primordiale della natura in quanto elemento che ci genera e rigenera.

Le architetture proposte sono state selezionate in quanto opere in grado di narrare una poetica di necessità bilanciata fra natura e tecnica, avendo come elemento di raccordo il benessere dell’uomo. Narrano l’emergenza di una nuova idea di sostenibilità, ovvero il bilanciamento tra uomo, natura e tecnica. In altri termini, si potrebbe dire che in questi progetti la potenza dello strumento tecnico non rimane confinata nella sua dimensione funzionale, ma è messa al servizio di un nuovo “dialogo armonico” tra uomo e natura.

La sezione si apre con un’intervista a Francis Kéré, ponte tra due mondi – Occidente e Africa –, scelto come progettista della Serpentine Gallery 2017 a Londra. Prosegue con le architetture in simbiosi con il paesaggio di Peter Pichler, la stazione vivente di UNStudio, splendido esempio di architettura della “piega, di spazio plasmato dalla luce, e il museo-paesaggio di Amanda Levete, che mette in dialogo l’ambiente naturale del lungofiume e lo spazio antropico della città. Infine, esamina il sistema della sostenibilità di Snøhetta, esempio di impegno organizzato degli uomini verso la cura della natura.

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