Maidan tent

Ora in fase di fundraising, il progetto di Bonaventura Visconti di Modrone e Leo Bettini Oberkalmsteiner offrirà uno spazio pubblico al coperto nel campo profughi di Ritsona, in Grecia.

Maidan tent, progetto di Bonaventura Visconti di Modrone e Leo Bettini Oberkalmsteiner per ilcampo profughi di Ritsona, Grecia
La Maidan tent è il contributo che Bonaventura Visconti di Modrone e Leo Bettini Oberkalmsteiner, due giovani architetti italiani, insieme con altri professionisti e con il patrocinio dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (agenzia Collegata alle Nazioni Unite), vogliono dare alle persone che popolano il campo profughi di Ritsona, in Grecia.
La Maidan tent è una tenda concepita in modo che i richiedenti asilo possano fruire di uno spazio pubblico al coperto dove poter socializzare e svolgere le più diverse attività. Non è un caso che maidan, in arabo, significhi piazza. È in atto una importante iniziativa di fundraising affinché questo progetto diventi realtà. In molti hanno aderito, ma servono con urgenza ulteriori fondi perché la Maidan tent possa essere pronta per l’estate del 2017.

 

La Maidan tent è il risultato di una determinazione collettiva: fornire il proprio contributo per migliorare le condizioni di vita dei profughi che negli ultimi anni stanno fuggendo dai loro paesi di origine in direzione dell’Europa. Bonaventura Visconti di Modrone e Leo Bettini Oberkalmsteiner sono il motore di questa avventura. Piuttosto rapidamente il loro entusiasmo diventa contagioso e tocca le corde di un grafico, di tre architetti, di uno psichiatra, di un fotografo, di un’organizzatrice di eventi e di un’addetta stampa. Uniti da una comune aspirazione, decidono di offrire il proprio sostegno in termini di volontariato e in base alle proprie competenze.

 

 

Visconti di Modrone e Bettini Oberkalmsteiner si impegnano a progettare la Maidan tent, a cercare i finanziamenti, a rendere possibile la sua realizzazione; Giovanni Dufour, il grafico, ha realizzato il sito del progetto Maidan tent; Simon Kirchner, anche lui architetto, ha garantito il proprio supporto nella creazione di immagini e fotomontaggi durante le prime fasi di presentazione del progetto alle ONG; Giuliano Limonta, lo psichiatra, aiuta a interpretare le esigenze delle persone rifugiate attraverso l’osservazione dei loro schemi comportamentali; Delfino Sisto Legnani, il fotografo, realizza una campagna fotografica recandosi direttamente nel campo profughi di Ritsona, in Grecia; Clementina Grandi, l’organizzatrice di eventi, si attiva perché si possa realizzare una mostra sul tema della Maidan tent; Francesca Oddo, l’addetta stampa, contribuisce a dare risuono mediatico all’iniziativa.

“Pensiamo che tutti possano fornire il proprio contributo in questa crisi. Siamo due giovani architetti che, come tanti altri, stanno osservando la situazione nei campi destinati alle persone che fuggono dalle guerre. Così abbiamo deciso di contribuire attraverso le nostre competenze”, spiegano i progettisti. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) (agenzia Collegata alle Nazioni Unite) crede in loro, tanto da aver deciso di offrire il proprio patrocinio all’iniziativa.

 

“Abbiamo scelto proprio questo campo fra i tanti presenti nel Paese per vari motivi: le dimensioni contenute avrebbero permesso a tutti gli abitanti di fruire della tenda, a turno e senza troppi conflitti (e del resto in quel momento, come ancora adesso, i fondi raccolti non consentivano di realizzarne più di una); inoltre le ONG attive sul territorio erano interessate a sperimentare il prototipo e ad aiutarci a monitorarne il suo funzionamento dopo l’installazione”, racconta Visconti di Modrone.

A oggi sono stati sette i viaggi, durante i quali i progettisti hanno esplorato lo stato di fatto, prendendo coscienza diretta delle difficili condizioni di vita delle persone. Hanno ascoltato le loro storie, i loro viaggi drammatici e pericolosi per arrivare in Europa e fuggire dalle guerre e dalle persecuzioni. Il trauma migratorio. Durante i sopralluoghi i progettisti si sono resi conto che il disagio è soprattutto di tipo psicologico: “Nei campi quello che colpisce di più è la quasi totale mancanza di attività giornaliere e la palese inattività delle persone -spiegano-. Nei loro occhi si legge spaesamento, incertezza sul loro futuro”.

Nei campi la precarietà e la serialità di una fila senza fine di tende e di container, insieme alla mancanza di spazi comuni, finisce per generare alienazione e spaesamento rispetto alla protezione offerta dalla propria casa e dalla vicinanza alla propria comunità. In queste condizioni l’opportunità del confronto viene mortificata. D’altro canto l'interazione aiuta a lenire il senso di smarrimento, ma è necessario un luogo dove potersi incontrare. E dove, se nei campi spesso le uniche strutture coperte sono i container e le tende, ridotti nelle dimensioni e destinati alla vita privata delle famiglie? La Maidan tent è una possibile risposta. Uno spazio pubblico organizzato e condiviso, nel quale sia possibile leggere, imparare, giocare, intessere nuove amicizie, diventa importante per la ricerca di una stabilità perduta.

In questo senso, una struttura mobile, articolata e integrata con il campo, all’interno della quale sia possibile svolgere qualsiasi attività al riparo dalle condizioni climatiche, si propone come alternativa alla routine della vita quotidiana nel campo destinato ai richiedenti asilo.

Perché il progetto diventi realtà è stata attivata una raccolta fondi.  

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