Il delitto quasi perfetto

Il PAC di Milano diventa una scena del crimine “quasi” perfetta, con una collettiva di oltre 40 artisti che, rompendo gli schemi, creano un legame tra l’arte e l’estetica del crimine

Il delitto quasi perfetto
La mostra mette a confronto oltre 40 artisti, italiani e internazionali, che hanno collegato arte ed estetica del crimine, attraverso una selezione di opere spesso provocatorie e l’incursione in diversi linguaggi artistici.
Progetti realizzati negli ultimi decenni e lavori più recenti, accanto ad un insieme di oggetti sorprendenti, sono immersi in modo inusuale nell’allestimento, studiato per guidare il visitatore attraverso un percorso tematico che procede per capitoli.
Il delitto quasi perfetto
In apertura: Matias Faldbakken, Lindbergh and Gacy, 2005. Stampa lightjet in bianco e nero colorate a mano su carta Kodak archivio. Courtesy dell’artista e collezione privata Erling Kagge, Oslo. Photo: Stein Jørgensen. Sopra: Richard Hawkins, Edogawa Rampo #11, 2010. Acrylic, pencil and watercolour on paper, 35.5 x 41.7 cm. Courtesy of the artist and Corvi-Mora, London
Alcune delle opera in mostra riflettono l’ossessiva curiosità e l’attitudine all’interpretazione tipica del detective, altre la narcisistica identificazione con il colpevole, altre ancora il feticistico piacere dello spettatore. Alcuni progetti affrontano i temi dell’autenticità e della frode , considerati tipicamente “crimini dell’arte”; altri giocano con il ruolo dell’artista come soggetto sovversivo ai margini della società o mettono in discussione il ruolo della legge e i concetti di ordine e trasgressione. Alcuni artisti scelgono di rappresentare il crimine come qualcosa di macabro e sublime, un’operazione simile a quella compiuta negli anni dal cinema, mentre altri fanno riferimento a fatti realmente accaduti, crimini sociali o politici. Altri ancora provano a mettere in relazione una selezione di
queste principali tendenze.
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Gardar Eide Einarsson, Our Rival the Rascal, 2008-9. Serigrafia, inchiostro su tela. Courtesy dell’artista e Collezione Patricia Marshall, Los Angeles
Ogni spazio del PAC sarà contagiato: l’artista Gabriel Lester in collaborazione con Jonas Lund firma un intervento virale sul sito web del PAC; l’artista austriaca Eva Grubinger issa invece una bandiera e posiziona una targa d’ottone sulla facciata esterna del Padiglione, trasformandolo nell’ambasciata di Eitopomar, un utopico regno governato dal malvagio signore del Male Dr. Mabuse. All’ingresso, un murales dipinto dall’artista francese Jean-Luc Blanc richiama la copertina di una rivista pulp firmata con il titolo della mostra.
Il delitto quasi perfetto
Saâdane Afif, Anthologie de lâhumour noir (MMK Zollamt), 2010-2012. Installazione tecnica mista, bara ganese, workshop Kudjoe Affutu, Accra, serigrafia, aluminio. Photo: Aad Hoogendoorn. Vista dell’installazione al Witte de With Center for Contemporary Art, 2014. Courtesy dell’artista e Michel Rein Paris/Bruxelles
Maurizio Cattelan ha realizzato un bouquet di fazzoletti di stoffa per asciugare idealmente le lacrime versate per le vittime dell’attentato che il 27 luglio 1993 distrusse il PAC provocando la morte di quattro persone. Un’installazione di grande formato dell’artista Luca Vitone ricorda, come un epitaffio, i 959 membri della loggia P2 in un ironico quanto amaro riferimento ad un capitolo confuso della storia della nostra democrazia. Mario Milizia riproduce invece minuziosamente i dettagli delle immagini di cronaca giudiziaria riferite a ritrovamenti e vendite illegali di reperti archeologici, mentre il progetto Corpi di Reato,
realizzato da Tommaso Bonaventura, Alessandro Imbriaco e Fabio Severo, compone un’archeologia visiva dei fenomeni mafiosi nell’Italia contemporanea.
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Dan Attoe, Cedars on the Back Road, 2013. Olio su tela su MDF. Courtesy dell’artista e Peres Projects, Berlino
Una citazione dall’opera di Karl Holmqvist, “Why is desire always linked to crime?” (“Perché il desiderio è sempre correlate al crimine?”), resta impresso nella mente del visitatore durante il percorso, mentre l’italiana Monica Bonvicini investiga le relazioni tra spazio, potere e genere, presentando una macchina della tortura e del desiderio, costituita da sei imbragature di lattice nero sospese con catene ad un anello d’acciaio che ruota lentamente.
Aslı Çavuşoğlu imita il genere del crimine televisivo (esemplificato nella serie Crime Scene Investigation) nel suo Murder in Three Acts (“Omicidio in tre atti”), restituendo la mostra come scena del crimine e le opere come armi, mentre Fabian Marti lascia impronte delle sue mani nello spazio espositivo.
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Claire Fontaine, Change, 2006. 12 venticinque centesimi, acciaio lame di box-taglio, saldatura e rivetti. Courtesy dell’artista e Galerie NEU, Berlino
Ancora Gabriel Lester crea un loop cinematografico di scene del crimine, proiettando il tutto con un gioco di ombre sul muro circostante e sul visitatore. Il cinema ritorna anche negli inquietanti dipinti di Dan Attoe, Richard Hawkins e Dawn Mellor, e nei film di Brice Dellsperger e Aïda Ruilova. L’artista francese Lili Reynaud-Dewar elabora invece un’installazione che fa riferimento alla vita e al lavoro di Jean Genet come scrittore, attivista e ladro, mentre l’artista spagnola Dora Garcia invita il pubblico a rubare un libro. L’americano Jim Shaw ironicamente ritrae uomini d’affari come zombie, attraverso una selezione di dipinti e un film, mentre Saâdane Afif trasforma il Centre Pompidou in una bara, che sembra voler mettere in discussione il ruolo vitale dei musei.

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