Sin da piccoli siamo abituati a guardare le cose.
A prenderle in mano, tentare di capire come funzionano.
Provare a smontarle. Indovinarne la struttura celata.
Per fare questo ognuno di noi ha incontrato una prima volta e poi tante altre un semplice piccolo elemento che poi, da allora, è diventato nel paesaggio mentale di ognuno uno degli elementi base dell’idea pratica ma anche della rappresentazione mentale del costruire, del congegnare.
La vite.
Questa conosciuta.
Che prima passava dalle mani del ferramenta che, misterioso speziale, ravanava nei meravigliosi casetti alle sue spalle facendoti domande tendenziose “...a testa piatta o incassata?...” o “...autofilettante?...” oppure “...filetto da ferro o da legno? Che passo??...”.
E poi ti serviva cartoccini pieni di viti simili a insettini.
Ora le trovi in stordenti panoplie, nei centri commerciali o nei brico center. Mille scatolette appese. Intere pareti di prigionieri irriconoscibili a cui ti devi avvicinare con sguardo da entomologo.
Ed è proprio la visione originaria di questo artifatto che ha ispirato Carlo Contin: un filo della memoria che parte dal laboratorio artigianale del padre falegname che aveva le viti di serraggio delle morse da banco per bloccare i pezzi in lavorazione autoprodotte con sapienza artigiana in legno.
Questo snodo autobiografico diviene anche uno snodo progettuale: filtrato dall’osservazione del lavoro di alcuni grandi maestri (Achille Castiglioni, Vico Magistretti) il tema della vite diviene protagonista.
Non più elemento di semplice fissaggio ma importante sistema strutturale che evidenzia un modello ripetibile che origina una molteplicità di oggetti domestici.
Da segno tecnico a segno poetico.
Senza aggiungere niente che non sia strettamente necessario.
Grandi elementi verticali che divengono gambe, sostegni, perni...
Un progetto che vive di avvitamenti.
Semplici, essenziali, necessari.
Stefano Maffei
25 settembre – 6 ottobre 2013
Carlo Contin: Avvitamenti
Subalterno 1
Via Conte Rosso 22, Milano