Davide Vargas ha recentemente presentato il suo libro
Racconti di qui nell'edificio che, legato ai nomi di
Carlo Scarpa e Sergio Los, fa parte della memoria storica
dell'architettura italiana. Attualità e storia si legano nel
testo che il luogo gli ha ispirato. (Ndr)
Racconti di qui è arrivato a Casa Tabarelli nelle
vicinanze di Cornaiano a poca distanza da Bolzano, in una
giornata di ottobre chiara e fredda. Sullo sfondo il Similaun
dove, mi raccontano, è stata ritrovata una mummia di
cinquemila anni, e il gruppo del Tessa. La casa ha più
padri: Carlo Scarpa che ha impostato il progetto ispirato
dalla bellezza del luogo con i declivi e i filari di viti, dalla
cultura dei proprietari collezionisti discreti di opere d’arte e
promotori di un design di qualità; Sergio Los che lo ha
firmato e seguito; Gianni e Laura Tabarelli che l’hanno
sognata. Per costruirla non è stato sbancato neanche un
metro cubo di terreno.
Laura spunta dal vialetto oltre il cancello giallo e ci
accoglie con la sua bellezza e la sua grazia. Forse è questa
l’architettura, un ambiente dove l’uomo diventa migliore –
più bello – e così arricchito arricchisce con la sonorità
della sua esistenza lo spazio. Tracce di sviluppi che si
intersecano.
Dal ’69 ad oggi la casa è rimasta “invisibile” nel paesaggio,
si è incisa di storie umane e di opere, si è aperta e
richiusa e poi riaperta, ha respirato e vissuto.
Racconti di qui parla di luoghi offesi, bellezze
schiacciate, sogni che lottano per sopravvivere.
Microviaggi dolorosi nel territorio campano. Due “qui”
molto distanti.
O forse no.
Nulla di ciò che accade ci è estraneo, ovunque accada,
“qui” o lì a diecimila chilometri. Le crepe dei marciapiedi di
“qui” sono le stesse ovunque, implorano “cura”. Abitiamo
lo stesso identico destino. E ne siamo artefici. Vaclav
Havel racconta di abitare con il proprio “io” il punto
centrale di una serie di anelli concentrici, dal microcosmo
della sua camera e della sua cella fino alla città, fino alla
nazione, fino alla lingua, l’istruzione, le abitudini, fino al
pianeta, fino al cosmo.
Non ci è estraneo e ne siamo preoccupati.
"Sono qui perché nutro (…) oscuri presentimenti di
minacce che incombono su tutta l’America: e spero che le
dimensioni ridotte di questa contea mi consentano di
vederci più chiaro", dice William Least Heat-Moon nelle
prime pagine di Prateria –, la contea è un piccolo
lembo di Kansas, che se pieghi la carta degli Stati Uniti,
dice, capita proprio al centro delle piegature.
I “racconti di qui” parlano di fili d’erba, canne piegate dal
vento, memorie di una mitologia personale che affiorano
davanti a un vecchio lido sulla spiaggia o all’apparizione di
rade lucciole in una notte estiva. Roba piccola, minimale.
Lampi. Un metro quadrato di campo è un’epopea da
raccontare, un luogo da esplorare fino a disvelarne il
senso. Un buon punto di osservazione.
Vederci più chiaro, comprendere le ragioni e avviare
processi di modificazione, piccoli processi beninteso,
creazione di altri mondi visibili, o possibili. Un’idea
ingenua? Un’idea eroica? L’eco di sogni condivisi. Ettore
Sottsass alla domanda se si potesse incidere sulla realtà
mi raccontò che da giovane aveva fatto un vaso di
ceramica e l’aveva regalato alla sua ragazza che scoppiò a
piangere: ecco – Ettore disse – allora ho
inciso sulla realtà.
Facendo riferimento a questo, io credo che l’architettura
da sola non ce la fa. Ha bisogno dell’ aiuto di tutti i
linguaggi dell’arte. Una specie di lavoro congiunto,
intrecci, relazioni e flussi, frammenti, slittamenti e
ricomposizioni, frontalità e non. Un bisogno di ribadire,
precisare, accentare, comprendere di più.
Oltre le vetrate di casa Tabarelli, a pochi metri, la sagoma
di un edificio in costruzione, roba da speculazione,
indifferente al paesaggio e all’architettura – ma chi ormai
ama l’architettura? – è un attacco alla bellezza. Persino
“qui”.
Chi lo salva alla fine l’uomo, se ancora sia possibile? Una
cordata – come per le aziende in crisi – di parole
architetture musiche quadri, qualità autonome accostate,
la qualità della parola scritta, la qualità dello spazio
architettonico, la qualità dei suoni, una cordata infine unita
come struttura di un ambiente.
I pochi edifici che ho fatto e le cose che ho scritto sono per
me come stazioni di un unico percorso e la meta si sposta
sempre più in là.
Davide Vargas
Davide Vargas, Racconti di qui, prefazione di
Giuseppe Montesano, con 12 fotografie di Luigi Spina,
Tullio Pironti editore, Napoli 2009.
Davide Vargas a Casa Tabarelli, Cornaiano
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- Rita Capezzuto
- 05 dicembre 2009