Jaime Austin, grazie ai suoi studi di informatica e di storia dell'arte, ha tutte le carte in regola per ricoprire il ruolo di curatrice capo e direttrice dei programmi di ZERO1 . Questa organizzazione senza fini di lucro si dedica alle intersezioni tra arte e tecnologia e organizza una biennale su questo tema. In passato la manifestazione durava meno di una settimana, ma l'edizione 2012 (che porta il titolo "Seeking Silicon Valley" — alla ricerca della Silicon Valley — e vuol essere il trampolino di lancio di un programma di respiro annuale) dura quasi tre mesi (fino all'8 dicembre). Ci siamo si è recati a San Jose (la sedicente capitale della Silicon Valley) per visitare ZERO1 Garage: la nuova sede permanente dell'organizzazione, perno della biennale.
Tracey Ingram: Il tema di quest'anno riguarda la scoperta. Che cosa sperate che scoprano i visitatori?
Jaime Austin: Silicon Valley non è solo un luogo, è anche un'idea. Questo è diventato quanto mai chiaro quando un artista sudamericano molto impegnato nella tecnologia ha visitato la Bay Area per la prima volta. È atterrato all'aeroporto di San Jose per visitare la Silicon Valley. E io mi sono detta: "Ma come si fa?". Anche se sono cresciuta qui, non avevo idea di come visitarla veramente.
Il programma di questo artista comprendeva visite a eBay, a Google e alle aziende sorte di recente. Nulla che fosse visibile al pubblico, per cui potevo ben capire tanto il suo interesse quanto, in seguito, il suo disappunto: la sua idea di Silicon Valley non corrispondeva alla realtà. Non c'è un'architettura coerente né un punto di riferimento centrale.
L'arte contemporanea ha la capacità di reimmaginare Silicon Valley. È di qui che è nato il tema della 'ricerca': il processo è importante quanto la scoperta.
Zero1: Silicon Valley cercasi
Un gruppo di curatrici affida all'arte la capacità di re-immaginare Silicon Valley, per trasformarla in un epicentro innovativo per produrre e fruire arte. Ne parliamo con Jaime Austin, curatore capo della Zero1 Biennial.
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- Tracey Ingram
- 16 ottobre 2012
- San José
In alto: Nelly Ben Hayoun, Ground-Control, an Opera in Space (2009), veduta dell'installazione, foto per gentile concessione di Chris Foster
Quali concetti hanno guidato le scelte dei curatori?
Invece che restringere rigidamente la biennale a quello che sta nella Silicon Valley, ho posto l'attenzione ai rapporti dell'area con il resto del mondo. Abbiamo sempre avuto una rappresentanza mondiale di artisti, ma mai un gruppo internazionale di curatori. Ho adottato l'idea di rete per formare un gruppo di curatela collettivo e collegato: veniamo tutte e cinque da Paesi differenti.
E siete tutte donne. È una coincidenza?
Non avevo intenzione di formare un gruppo esclusivamente femminile e ho parlato anche con uomini. Si è deciso per le idee che mi interessavano di più e per quelle a cui le singole persone coinvolte potevano meglio collaborare. È difficile lavorare con fusi orari, distanze e lingue diversi.
L'industria tecnologica è dominata dagli uomini. Come donne, come avete affrontato questo aspetto?
In un'area in cui la forza lavoro ha generalmente una distribuzione paritaria, la realtà è che il 95 per cento delle posizioni decisionali nella tecnologia sono occupate da uomini. Silicon Valley è famosa per l'innovazione e per la preveggenza e quindi mi domando perché la situazione sia ancora così. Comunque, ci sono tante curatrici che si dedicano all'arte e ai linguaggi digitali. Dovremmo avere un atteggiamento differente perché siamo donne? Non ne sono sicura. Si tratta decisamente di uno statement, una cosa che desideravamo sottolineare.
C’è bisogno di riflettere sulle implicazioni dei modi di diffusione della tecnologia inventata a Silicon Valley. I due progetti sui rifiuti digitali sono importanti perché molti passano a telefoni cellulari e computer portatili più progrediti, a distanza di pochi anni, senza pensare a che fine fanno
A paragone di altre discipline, i progetti fondati sulla tecnologia devono svilupparsi in maniera esponenziale ogni anno. Quali cambiamenti avete osservato rispetto all'ultima biennale?
Prendiamo Tunnels Around the World, l'opera di Maurice Benayoun iniziata nel 1995 e conclusa quest'anno. L'obiettivo era collegare delle città con una galleria interattiva in cui gli utenti potessero 'scavare' nelle informazioni culturali e comunicare gli uni con gli altri. Nonostante gli sforzi dell'autore, all'epoca non era possibile farlo. Quest'anno è riuscito a realizzare il suo progetto come l'aveva sempre immaginato. Certi artisti conservano la loro idea finché la tecnologia non è pronta.
Ci sono anche progetti che adottano tecnologie d'avanguardia, sperimentali, come Brain Station 2 (2012) che rileva le onde cerebrali della corteccia visiva e le rappresenta con l'accendersi e lo spegnersi di una lampadina. Poi ci sono opere che fanno riferimento alla tecnologia, ma non la usano affatto. Il Toaster Project (2010) di Thomas Thwaites esprime la comica pretesa di costruire un tostapane da oggetti di scarto. Il concetto è che ci siamo separati dalla tecnologia di cose semplici come gli elettrodomestici, che si possono comprare a cinque dollari al negozio all'angolo, e ci si chiede quale incidenza ciò abbia sulla società.
Gli artisti che attendono la tecnologia provocano anche un'evoluzione?
Certo. Prendere strumenti esistenti e adoperarli in modi impensati per gli inventori è la cosa che gli artisti fanno meglio. Abbiano messo Maurice Benayoun in contatto con una società delle comunicazioni che realizza software di riconoscimento vocale per l'iPhone. Il modo in cui l'artista intende usare la tecnologia è qualcosa cui i tecnici non avevano mai pensato prima, e ora lo stanno sviluppando ulteriormente.
Altri artisti conducono ricerche che influiscono sugli sviluppi futuri degli strumenti. Che si tratti del modo in cui Michael Anjar manipola in digitale grandi quantità di fotografie, oppure di come Seeking Shelter (2012) di Corinne Ovada Talara illustra come i bambini usino l'iPad per progettare direttamente degli oggetti.
Quali sono gli scopi generali di ZERO1?
C'è bisogno di riflettere sulle implicazioni dei modi di diffusione della tecnologia inventata a Silicon Valley. I due progetti sui rifiuti digitali sono importanti perché molti passano a telefoni cellulari e computer portatili più progrediti, a distanza di pochi anni, senza pensare a che fine fanno.
Speriamo anche che a Silicon Valley si affermi una maggiore consapevolezza dello spazio. Vogliamo centri di formazione aziendali aperti, in modo che ci sia un'interfaccia pubblica. Mark Hansen e Jer Thorp hanno lavorato con eBay a Before Us is the Salesman's House (2012), installazione site specific accessibile ai visitatori. Utilizza in tempo reale dati altrimenti inaccessibili al pubblico per visualizzare transazioni collegandoli a celebri testi letterari. Aggiungere uno strato di cultura rende i dati più tangibili.