L’ultimo progetto di Umberto Riva: una galleria a Roma

Prima di scomparire nell’estate dello scorso anno, l’architetto milanese ha dato vita alla galleria Giustini / Stagetti affidandosi a tre fondamentali: materiali, luce e geometria. Un piccolo spazio dove il design è architettura, e viceversa.

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1071, settembre 2022.

L’ultimo progetto di Umberto Riva (1928-2021), uno dei migliori architetti italiani della sua generazione, è stato la nuova sede della Galleria Giustini / Stagetti a Roma sulla via Gregoriana, strada che nei secoli ha ospitato grandi artisti come Federico Zuccari, Alberto Thorvaldsen e Giovanni Battista Piranesi. Disegnata insieme a Emilio Scarano, suo braccio destro per oltre un decennio, la galleria è un prezioso saggio sulla rivalutazione di uno spazio minimo (45 mq) e oscuro, svolto senza cercare un fugace coup de théâtre, ma affidandosi al sapiente governo di tre fondamentali dell’architettura: materiali, luce e geometria.

Accostando il pavimento in seminato di Carrara a smalti e intonaci di calce dall’alchimia variabile, Riva ha infatti chiesto alla luce di moltiplicare le gradazioni del bianco, in uno spazio che è semplice, ma – grazie a fenditure, diagonali e lievi scarti di sezione – mai banale.

Tra gli ultimi frutti di una carriera durata 60 anni e distintasi per opere a ogni scala, c’è anche una serie di lampade e arredi ideati proprio per la galleria romana, divenuta per Riva – ormai novantenne – un porto di quiete per esercitare la propria inquietudine progettuale. Queste opere rappresentano l’esito di un approccio al design sviluppatosi dentro e fuori i canoni del disegno industriale milanese, parte di una visione artistica in cui pittura, architettura, interni, allestimenti, arredi e oggetti sono i tasselli inseparabili di un unico grande mosaico. Come lui ripeteva spesso: “A volte mi sembra di fare sempre lo stesso progetto”. 

Disegni di studio, vaso Veronese, Barovier & Toso, 1984. Matita su carta da spolvero, 60 x 95 cm. Courtesy of Studio Umberto Riva Milano
Disegni di studio, vaso Veronese, Barovier & Toso, 1984. Matita su carta da spolvero, 60 x 95 cm. Courtesy of Studio Umberto Riva Milano

Così, in questi pezzi concepiti tra il 2018 e il 2021 si rintracciano sia segni stratificati, sia nuove intuizioni risultanti dall’ossessiva interrogazione degli assunti progettuali, delle forme e dei materiali. Innanzitutto il legno: l’intima diffidenza verso l’angolo retto, per esempio, conduce a sagomare gambe trapezoidali simili a schegge incastrate (tavolo To-Tondo), ma anche gambe scavate come scafi in miniatura (tavolo Tav 1).

Sempre tre, numero dispari, dinamico e ‘borrominiano’ (siamo a pochi passi dal San Carlino), ripetuto in molte delle sue lampade, dagli esordi alla Sud-Est, che Riva immaginò come un omaggio a Paul Klee. Anche la libreria Pisa ostenta la sfiducia nella quiete classica, giacendo sghemba su due cerniere a terra per appoggiarsi al muro. Una console di frassino, sagomata come un coltello, trasfigura la mensola in una lama aerodinamica capace di orientare lo spazio: il design è architettura, e viceversa.

Si distingue, infine, la lampada Appesa (erede della Veronese, capolavoro pensato negli anni Ottanta per Barovier&Toso), in cui il vetro soffiato di Murano si arricchisce di una “minuteria da fabbro”, coniugando le lezioni di Carlo Scarpa e Franco Albini, due dei suoi molti riferimenti, reinterpretati in opere personali, eccentriche e anticonformiste. Sempre lo stesso progetto, affrontato ogni giorno in maniera nuova, coltivando l’esercizio del dubbio in un’epoca colma di fragili certezze.

Umberto Riva. Foto © Nicolò Parsenziani
Umberto Riva. Foto © Nicolò Parsenziani

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