Questa casa è un albergo: la nuova vita della Ca’ di Dio di Venezia

In posizione strategica per chi visita la Biennale ma non solo, un hotel che unisce attualità e tradizione dell′abitare raccontato da Patricia Urquiola, che l’ha progettato, e dal direttore Christophe Mercier.

Non c’è una vera e propria insegna, fuori dal nuovo hotel Ca’ di Dio di Venezia. Solo la grande e severa facciata, appena ridipinta di un discretissimo grigio, che su Riva degli Schiavoni fronteggia la laguna e l’isola di San Giorgio. Le due porte centrali accedono direttamente alla lobby, dove le procedure del check-in si sbrigano su sofà pastello, sotto a un lampadario di 14mila cristalli in vetro di Murano che svetta con le sue tre grandi vele sotto al soffitto a doppia altezza. Il personale, in divisa beige e mascherina, si muove solerte tra arredi moderni e preziosi, imbracciando un laptop ultraleggero alla bisogna. Ordinati sui tavoli come in un bookstore di lusso, volumi fotografici dove la protagonista è sempre lei: Venezia.

Alloggio per i pellegrini diretti in terra santa, ospizio per donne in difficoltà, ricostruita a metà Cinquecento su disegni di Sansovino poi andati persi, le origini della Ca’ di Dio risalgono al 1272. Svariati indizi tradiscono la funzione originaria della lobby dell’hotel, dove trovava spazio l’oratorio di Santa Maria, completamente inglobato all’interno del corpo dell’edificio.

  

Dopo una ristrutturazione durata due anni, nel 2021 la Ca’ di Dio ha inaugurato la sua nuova, ennesima vita, quella di “elegante rifugio veneziano”, ultima aggiunta della collezione VRetreats – parte del gruppo Alpitour – , a due passi da piazza San Marco, in posizione strategica per chi visita la Biennale. Un hotel da 66 chiavi, con 57 camere e 9 suite.

Al piano terra, oltre alla lobby, una reading room, due ristoranti, Essentia e Vero, quest’ultimo aperto anche a ospiti esterni, e il bar Alchemia. “Questa non è un palazzo, è una casa”, spiega il direttore Christophe Mercier, ripercorrendo i passaggi che hanno trasformato l’ex ospizio in albergo, un percorso sviluppato insieme a Patricia Urquila, che ne ha seguito il progetto di interior design e la direzione artistica. “Abbiamo cercato di cambiare il minimo di questo luogo che da sempre accoglie visitatori”, aggiunge il direttore. E l’hanno fatto creando uno spazio caldo, accogliente, moderno e ricercato nelle forme, nei colori e nei profumi. “Ma senza esagerare”, sottolinea Mercier: una ospitalità che riparta dal concetto di casa è per lui alla base del progetto. E la Ca’ di Dio, racconta, ha l’impronta di tante case veneziane “vere” in cui ha avuto l’occasione di essere ospite negli anni. È il riflesso di una città fuori dal tempo, nell’antichità che si affaccia sulle calli come nella modernità che si dispiega nei suoi interni.

Cortile interno Ca’ di Dio. Foto Patricia Parinejad
Cortile interno Ca’ di Dio. Foto Patricia Parinejad

Il progetto: materiali e colori

L’intento comune è stato quello di progettare una “casa veneziana”, ribadisce Patricia Urquiola, senza tralasciare però che l’ospite possa vivere la storia del palazzo. E respirare Venezia, il “cuore del progetto”, usando materiali e cromie che raccontano la laguna attraverso le maestranze, il patrimonio storico e la natura unica della laguna.

Ecco dunque al piano terra l’impiego di travertino iraniano e pietra d’orcia, e di legni tessuti e vetri della tradizione locale alle pareti. Nelle stanze, boiserie tessili e cornici in legno “progettate per donare continuità e rilevanza alla vista sulla città”, un pouf scendiletto dal tessuto veneziano, applique e piantane realizzate “a bocca” a Murano, sempre su design di Urquiola, nelle pareti specchianti delle stanze.

Lobby Ca’ di Dio. Foto Patricia Parinejad
Lobby Ca’ di Dio. Foto Patricia Parinejad

Il vetro, appunto: un elemento importante anche nelle aree comuni, un filo rosso che lega il progetto di rinnovamento, dai vasi e altri elementi di styling presenti alle vele della lobby, fino alla sperimentazione realizzata per le porte di quest’ulima, con un effetto che rimanda al classico vetro piombato veneziano. Ma non c’è la ricerca di un effetto nostalgia, dice Urquiola, che dettaglia la tecnica di termoformatura impiegata, “imprimendo nella sabbia i vecchi rulli in vetro utilizzati per le vetrate piombate delle tradizionali vetrate veneziane”.

Il concetto del riflesso, e soprattutto quello dell’acqua, “un altro grande tema progettuale”, racconta ancora Urquiola, si ritrova anche nelle gradazioni e trasparenze dei colori. Le palette scelte sono tenui, delicate, a tratti soffuse. “Per i tessuti abbiamo selezionato i colori della laguna su cui si affaccia l'hotel”, racconta l’architetta, con l’intenzione di ricreare negli interni il percorso cromatico che si vive passeggiando nella città: quindi azzurri freddi, verdi e grigi incontrano le tinte più calde dei mattoni e delle terrecotte.

  

Nel ristorante Vero

Luogo cruciale perché spazio di osmosi tra l’interno e l’esterno, tra Venezia e la casa, tra gli ospiti e gli avventori esterni, tra l’albergo e i prodotti delle Venezie, è il ristorante Vero, che Urquiola definisce “uno scrigno prezioso”, organizzato in micro-salotti, impreziosito da stoviglie realizzate ad hoc – come i bicchieri in vetro con spike che ne favoriscono l’impugnatura – e la grande natura morta sul soffitto. Le tinte sono lagunari, accoglienti, avvolgenti, il feeling quello di un elegante film anni Sessanta restaurato in 4K. In veneziano “vero” significa vetro, ma il nome del ristorante può anche essere letto come “Venetian Roots”. Qui si mangiano i piatti della tradizione, a menù con rotazione stagionale e accompagnati da erbe e da aromi dell’orto, come il pomodoro essiccato polverizzato.

Imprimendo nella sabbia i vecchi rulli in vetro utilizzati per le vetrate piombate delle tradizionali vetrate veneziane.

Nel ristorante si ritrova un approccio di recupero e valorizzazione locale che si trova in tutto il progetto Ca’ Di Dio, nei suoi interni come nella proposta culinaria. Mercier sottolinea e difende le scelte fatte, come la presenza di un unico champagne di una piccola maison, unico vino non del triveneto che venga servito nell’hotel, e l’investimento per fare tutto in casa, compresi il pane e le brioche che a colazione vengono servite nel ristorante Essentia. “Ho preferito non servire salmone a colazione, gli ospiti troveranno invece la trota, che affumichiamo noi”, racconta, “tutto molto raffinato, tutto molto chic”, sottolinea, e soprattutto coerente – parole chiave sostenibilità e local – con l’idea che questa sia una casa.

Una casa accogliente

Nelle sale comuni come nei lunghi corridoi, dove entra la luce della corte interna attraverso ampie vetrate, si percepisce una sensazione di pace morbida e geometrica, che echeggia nei cortili – uno più grande, il più lontano dedicato all’orto. Una bolla monasteriale che taglia fuori il visitatore dalla confusione della Venezia dei turisti che sciamano nella vicina piazza San Marco tra le pozze allungate lasciate dall’acqua alta di qualche giorno fa, dalla calca intorno all’omino che sotto i portici intavola una mano del gioco delle tre carte, dal titinnare degli spritz ai tavoli della non lontanissima Via Garibaldi, dai panni stesi nei vicoli e le campane delle mille chiese che suonano l’ora. Dall’odore acre dei canali e di questa città che è stata la capitale del mondo.

Ristorante Ca’ di Dio. Foto Patricia Parinejad
Ristorante Vero Ca’ di Dio. Foto Patricia Parinejad

Dalle due altane, struttura simbolo della città, accessibili da altrettante suite o indipendentemente, si ammira un panorama caotico di tetti veneziani, della città-museo che brulica di vita, e più lontano il tramonto sull’Isola di San Giorgio immortalato dai turisti sui loro cellulari, ma anche la quiete del cortile interno principale della Ca’ di Dio.

“Mi piacerebbe che si creassero anche percorsi non imposti”, dice Urquiola, che porta come esempi più ovvi una cena organizzata su una delle altane o un pranzo nella corte dove si trova l’orto biologico. Ma le possibilità di questo luogo, di questa casa, sono infinite, sottolinea. E si riallaccia a un discorso più ampio, riguardo a quello che dovrebbe essere un hotel, oggi, sempre più simile a uno spazio domestico.

Ca’ di Dio, altana. Foto Patricia Parinejad

“Un hotel deve avere lo stesso comfort fisico e mentale di una casa, ma includere anche una dimensione di sperimentazione”, spiega la progettista. Può rappresentare la nostra casa ideale con tutto quello che vorremmo avere e non possiamo avere nella vita di tutti i giorni”.

Progetto:
Ca’ di Dio
Design d’interni:
Patricia Urquiola
Tipologia:
Hotel
Operatore:
Voi Hotels/Gruppo Alpitour
Luogo:
Sestiere Castello, Venezia
Area:
4.642 mq
Stanze:
66
Piani:
4
Completamento:
2021

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