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Michele de Lucchi sul Marchiondi di Vittoriano Viganò: l’educazione e la felicità

Partendo dal lavoro sull’istituto Marchiondi, che riapre per il Fuorisalone 2023, l’architetto già Guest Editor di Domus ci racconta del rapporto tra visione sociale e paesaggio dell’abitare. E di come non ci possa essere sostenibilità senza felicità.

Miseria, Caos, Morte, Eros, Ribellione, Diversità, Contaminazione, Libertà: come nell’anno da Guest Editor di Domus, anche nel suo seminario condotto negli ultimi anni assieme ad Andrea Branzi, Francesca Balena Arista, Marco De Santi e Mario Greco al Politecnico di Milano, Michele De Lucchi segue il valore delle parole chiave come strumenti per espugnare le impasses del pensiero progettuale contemporaneo. E in occasione del Fuorisalone 2023, con la mostra Reforming Future  il prodotto di questo tempo di ricerca viene esposto in un luogo che viene così reso esso stesso un ulteriore generatore di pensiero, per il valore della sua architettura, e della visione della società che l’aveva generata: l’Istituto Marchiondi di Vittoriano Viganò.

E se non capisci lo spirito del tempo, se non sai com’è fatto il mondo, non puoi progettare per il mondo.

“Stiamo cambiando” ci racconta De Lucchi “come designer, come creativi legati alla creazione di un mondo contemporaneo, e stiamo cambiando così tanto che il modo di concepire il designer come progettista solamente di oggetti, materie, forme, prodotti non è più attuale. E il Marchiondi è un luogo che esprime con grande chiarezza proprio i cambiamenti recenti ai quali abbiamo partecipato, e dei quali non ci siamo resi conto, in particolare il cambiamento sull’educazione. L’educazione che, in una scuola-riformatorio, fino a cinquanta anni fa era il sistema per riportare gli studenti un po’ discoli e brigantelli alla comunità normale, convenzionale, riconosciuta dai benpensanti”.

Foto di Alberto Trentanni su Flickr

Una rinormalizzazione. “Basta pensare alla stessa parola riformatorio. Già solo la parola fa venire i brividi. Qui c’è un cambiamento legato proprio alla maniera di intendere l’educazione, è quanto mai adatto a spiegare quello che dobbiamo fare ancora. Questo processo di rinnovamento del concetto di educazione è solo all’inizio, e non deve sfociare poi in un sistema definitivo, qualcosa da applicare nei secoli dei secoli: dovrà essere un cambiamento che anticipa ulteriori cambiamenti. E così all’infinito, perché è il cambiamento quello che ci guida. Chi era, Democrito, che diceva “l’acqua del fiume non passa mai due volte”?

Se dai bacchettate nella testa, ti rimane la bacchettata, non ti rimane la ragione per cui ti sei preso la bacchettata. Se vivi in un mondo oppressivo e continui a creare oppressioni, il mondo opererà attraverso l’oppressione.

Il valore delle parole chiave in questa restituzione di un luogo alla società, e in questo tentativo di indagarla e mostrarle un cambiamento possibile, diventa chiaro e fondamentale. “Quest’anno” conferma De Lucchi “la parola chiave è felicità. Perché questa grande sfida della sostenibilità – che appunto deve essere anche lei continuamente reinventata – potrà avvenire solamente se diamo alla parola sostenibilità un significato anche di felicità, anche di qualcosa di attraente. Col trauma, come nei riformatori, non funziona niente. Se dai bacchettate nella testa, ti rimane la bacchettata, non ti rimane la ragione per cui ti sei preso la bacchettata. Se vivi in un mondo oppressivo e continui a creare oppressioni, il mondo opererà attraverso l’oppressione. 

Questa modalità, anche quando si esprime in figure come quella dell’ecologista arrabbiato, mi infastidisce molto, perché danneggia moltissimo la costruzione oggi quanto mai necessaria di questa nuova mentalità, che pensi a portare la responsabilità per il mondo che abbiamo attorno in tutti gli atti quotidiani, in tutte le cose che facciamo”. È un processo dialettico che in ogni modo non può finire, per De Lucchi perché, come dice, “noi siamo costruiti su un sistema di contrapposizioni costruttive. Abbiamo la felicità se c’è la tristezza, abbiamo la luce se vediamo l’ombra, abbiamo la stanchezza se abbiamo l’energia. Ed è tutto così: anche questa maniera di impostare il cambiamento deve essere consapevole che esistono le posizioni contrarie, anche nelle relazioni umane”.

Foto di Alberto Trentanni su Flickr

Viene da chiedersi quale fosse secondo lui la cornice di pensiero in cui il Marchiondi è stato progettato. “C’è un grande tema dell’architettura che riguarda l’ego dell’architetto, ed è un argomento chiave, perché l'architettura si esprime attraverso la personalità degli architetti, ma sono gli architetti che devono con la loro personalità esprimere la personalità della società nella quale operano. E questo è sempre un equilibrio molto delicato. Nell’era brutalista in cui operava Viganò c’era una grande dominanza dell’ego dell'architetto rispetto a quello della società. Pensiamo all’attualità di Scarpa – sono veneto anch’io, mezzo veneziano – mi serve moltissimo avere Carlo Scarpa, e anche Tobia, come riferimento per approfondire, indagare su questo ruolo dell’ego dell’architetto, come elemento di equilibrio, come elemento di bilanciamento tra gli individui e le società. Nel caso del Marchiondi non si è trattato in realtà tanto di una ‘colpa’ del progettista, quanto di un sostituirsi, sovrapporsi, cambiare, di tempi e processi storici.”

Come tutte le architetture, ma forse con una maggior evidenza, il Marchiondi si pone oggi a noi come un’espressione del suo tempo, e questo è il tema chiave che unisce l’istituto con il lavoro che quest’anno arriva ad animarlo: “Il problema dell’educazione di oggi” per De Lucchi “è far sì che gli studenti capiscano in quale momento storico stiamo vivendo. La più grande difficoltà che ho è proprio quella di portare gli studenti a pensare che queste discipline, come il design, l’interior design, l’architettura, hanno senso se sono riferiti allo zeitgeist, lo spirito del tempo che stiamo vivendo. E se non capisci lo spirito del tempo, se non sai com’è fatto il mondo, non puoi progettare per il mondo.

Lavorando con temi così astratti come quelli delle parole chiave ho più possibilità di spingere gli studenti a interrogarsi: in quale mondo stanno operando? E facendo questo, sono loro che in realtà insegnano un sacco di cose a me, perché i loro occhi sono molto più attuali”.

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