In un mercato globale dove la corsa alla dimensione e alla velocità – go big, go fast – ha fatto smarrire diverse identità, un’identità come quella di Baglietto si distingue invece perché si colloca sul fronte opposto: una chiarezza di valori dalla storia più lunga addirittura della stessa Italia unita. Il primo cantiere navale a nome Baglietto nasce infatti nel 1854 nel giardino di Pietro, il fondatore, a Varazze, nel Ponente ligure. Una storia italiana, che si radica in una costa che sembra nata per quelle innovazioni dove si incrociano artigianato e design – pensiamo alle leggendarie sedie di Chiavari, le chiavarine, che ispireranno la Superleggera di Gio Ponti negli anni ’50.
Lo yacht design all’italiana secondo Baglietto: far navigare il genius loci
La storia di Baglietto si lega a filo doppio con la storia del design, lungo oltre 170 anni percorsi a partire dalla riviera ligure. Un dialogo tra identità e innovazioni nate da un’idea tutta italiana di “abitare sul mare”.
Courtesy Baglietto
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- La redazione di Domus
- 05 novembre 2025
Dall’alto artigianato degli esordi, infatti, Baglietto non ha atteso il XX secolo per infilare la via delle sperimentazioni e delle innovazioni, con imbarcazioni vincitrici di diverse gare e premi già a fine ‘800; poi arrivano gli anni pre-bellici, con produzione militare ma soprattutto coi panfili di legno che rendono iconico il brand. Poi dal secondo dopoguerra, con un altro Pietro alla guida, l’accelerazione produttiva e i grandi scatti in avanti, con modelli che si legano all’immaginario del mare italiano, come l’Elba e il 16 metri Ischia, o l’ingresso negli anni ’80 con lo yacht Al-Fahedi.
È una storia che nel suo fluire continua ad intrecciarsi con quella del design italiano, non solo dell’industria.
Proprio grazie alla sua identità l’azienda si è consolidata anche nei periodi di crisi, nella struttura e nell’inserimento in gruppi imprenditoriali di grande respiro come il Gruppo Gavio, di cui è parte dal 2012. Il cantiere non è più quello di Varazze: gli HQ sono in quella capitale dello yachting che si concentra sul waterfront di La Spezia, con 35.000 mq di superficie e un travel lift da 1200 tonnellate, mentre nell’entroterra a Carrara si producono pleasure yachts e le barche da pesca d’altura di un marchio culto americano come Bertram.
Ma lo spirito di spinta sulle innovazioni resta immutato, dall’introduzione del compensato marino che aveva segnato la nuova era Baglietto dagli anni ’50, con barche infinitamente più leggere e moderne, fino all’introduzione oggi delle fuel cell a idrogeno in un sistema integrato, che combina produzione di fabbisogno elettrico sulle barche, per permanenza e propulsione ibrida, e produzione e stoccaggio idrogeno a terra, in cantiere.
Una serie di innovazioni sempre legate a una dimensione spaziale: si abita sempre di più sulla barca, e questo Baglietto lo aveva già intuito decenni fa interpretando il ponte di poppa come spazio vivibile, e introducendo e diffondendo l’uso del fly bridge che oggi è un caposaldo dello yacht design. È un legame non solo con le pratiche dell’abitare ma anche con quelle del progetto architettonico, non a caso Al-Fahedi nasceva da una collaborazione con una realtà come Studio Zuccon, mentre da ormai trent’anni la concezione delle barche Baglietto è firmata dall’architetto Francesco Paszkowski. Nell’inserirsi in un mercato dagli standard altissimi e quasi obbligatori, Baglietto si posiziona come un attore che dà grande valore al genius loci, pur occupandosi di oggetti che per definizione cambiano luogo di continuo. Il genius che percorre la sua gamma è quello italiano, è la stratificazione di un heritage ultracentenario ma anche quello dei know-how tecnici di un’industria di riferimento, e soprattutto quello estetico, giocato su una sinergia di dettagli che creano un’atmosfera difficile da imitare.
Courtesy Baglietto
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È la luminosità degli interni che si trova sulla gamma Dom, l’articolazione degli spazi esterni della Xo Line, quasi una sequenza di terrazze sul mare. È la ricerca di una personalizzazione sartoriale anche delle prestazioni, come nell’ultimo 48 metri che viene sviluppato con l’armatore in team con Floating Life, Satura Studio e Zero13 per avere una barca pronta al giro del mondo, anche ad alte latitudini, dominata dalla continuità delle visuali – tra le vetrate a 360° del salone principale e il lower deck senza interruzioni su tutta la lunghezza – e le ispirazioni a modalità e saperi italiani, racchiusa nella soluzione per il varo del tender direttamente in mare. Soprattutto, è un costante dialogo tra luoghi, tra una cifra italiana e diverse ispirazioni che si avvicendano con ogni nuovo progetto. L’esempio più recente è il concept superyacht Vesta 56 sviluppato con Meyer Davis, che nelle estetiche da “jet dell’acqua” riesce a dare la massima priorità al suo essere casa (Vesta è la “dea dell’abitare”, ricordiamo), evocando gli interni di New York nei tratti chiaroscurali e scultorei, ma rafforzando un senso di intimità, di appartenenza, quello che fonda l’abitare in Italia, che si tratti di un palazzo o di una capanna.
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La casa all’italiana, d’altronde “giunge ad essere ricca con i modi della grandezza, non con quelli soli della preziosità”, diceva sempre Gio Ponti nel 1928, in quel testo che inaugurava un secolo di storia di Domus. Il suo comfort sta “nell'invito che offre al nostro spirito di ricrearsi in riposanti visioni di pace, che consiste nel pieno senso della bella parola italiana: il conforto”.
Dom 115
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