Gli occhi fissi su un punto iperscrutabile davanti a lui i capelli brillantinati tirati indietro come un teddy boy, gli alberi che scorrono dal finestrino, l’agente Dale Cooper sta parlando al registratore portatile, annunciando il suo ingresso nella città di Twin Peaks. È quasi mezzogiorno, è fine febbraio, l’indagine è quella per la morte di Laura Palmer: quella scena girata da David Lynch resterà come una cartolina degli anni Novanta, e una delle più citate e riviste della storia della tv. Cooper non sta semplicemente registrando. Parla con Diane. Ma chi è Diane? Esiste davvero? Per avere una risposta, gli spettatori di Twin Peaks hanno avuto bisogno di anni. Oggi, grazie all’intelligenza artificiale, esiste una Diane per tutti: si chiama Plaud. Plaud è una azienda nata nel 2021, non con un round di investimenti tradizionali ma con una campagna di crowdfunding che ha superato il milione di dollari in preordini, fondata da Nathan Xu (anche noto come Xu Gao).
Tu parli, lui elabora: Plaud è il blocco note vocale che stavamo aspettando
Abbiamo provato per un mese il dispositivo AI che registra, trascrive e analizza le conversazioni: un blocco note vocale per l’era dell’intelligenza artificiale.
Courtesy Plaud
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- Alessandro Scarano
- 09 ottobre 2025
Dalla trascrizione all’analisi
Rispetto ad altre AI che vogliono fare di tutto un po’, o alle promesse di una super intelligenza di livello umano, Plaud ha una missione molto chiara: trasformare le parole che diciamo in una intelligenza strutturata. Di applicazioni che trascrivono le nostre parole ce ne sono parecchie. Da qualche anno è parecchio utilizzata Otter: funziona molto bene per le riunioni e per trascrivere discussioni e interviste. Apple e Google hanno un po’ rincorso, ma oramai la trascrizione delle note vocali sugli smartphone è una cosa data per scontata. Anche gli iMessage vengono trascritti, ora. E Meta sta via via integrando questa opzione anche nelle chat delle sue applicazioni, a partire da Instagram. Gli amatissimi/odiatissimi messaggi vocali cominciano a non fare più così paura: al massimo, se sono troppo lunghi, te li fai riassumere da ChatGpt.
Plaud non è l’ennesimo gadget AI da dimenticare dopo pochi mesi, ma un dispositivo che mette in discussione l’atto stesso di prendere appunti, spostandolo dalla scrittura alla parola. È una trasformazione radicale.
In questo scenario, di certo non saturo ma comunque ben popolato, come si muove Plaud? Con una strategia molto vicina al vecchio caro “sistema Apple”: ovvero facendo lavorare in concerto hardware e software, con una offerta di dispositivi portatili per la registrazione – molto più miniaturizzati di quello che usava l’agente Cooper – e una app con cui si interfacciano. Ecco, la app di Plaud: indubbiamente è qui che avviene la magia. Nell’interfaccia, l’azienda di Xu ha puntato tutto sulla semplicità. Appare non molto diversa da una qualsiasi applicazione di memo vocali, con le registrazioni presentate come un elenco. Sono come tante crisalidi che il pulsante “generate”, non a caso l’unico elemento grafico colorato, accompagnato anche da una bacchetta magica giusto per ribadire il concetto, una volta schiacciato, trasforma in un’elaborazione sorprendente che fa emergere i contenuti della registrazione.
Plaud crea, per ogni registrazione, prima di tutto una trascrizione. È precisa e ben curata, differenzia gli speaker – grazie al riconoscimento della voce – e riporta delle utili time tag che permettono un migliore orientamento all’interno delle registrazioni più lunghe. Fin qui, tutto molto bene, niente di nuovo. Ma a partire dalla trascrizione, Plaud compie una complessa (e forse completa) analisi del testo, che genera un sommario critico alle volte più lungo ancora del testo originale, dove si propongono punti di vista diversi e non scontati, elaborazioni dei concetti, proposte calate nel contesto. Tutto questo grazie a una piattaforma che interagisce con ChatGpt, Gemini, Claude e altre intelligenze che, da quel che immaginiamo, si mettono intorno a un ideale tavolino per sviluppare, ognuna secondo le sue particolari skill, le cose che ci siamo detti.
Ma non basta: Plaud spesso propone una mind map basata sulla conversazione, trasformando di fatto la nostra voce in un prodotto grafico. In più, la app, accessibile anche da browser, permette di “fare delle domande” alla conversazione, permettendo quindi all’utente di ingaggiarla anche da ulteriori punti di vista o per necessità non previste dalla macchina. Vanno aggiunti alcuni punti chiave: supporto a oltre cento lingue, archiviazione in cloud, crittografia end-to-end e dichiarata conformità al GDPR, anche se non risultano certificazioni indipendenti.
Dal lavoro al journaling personale
Nel giro di un mese, da quando ho iniziato a usarlo, Plaud è diventato parte integrante non solo del mio lavoro, ma anche del mio stile di vita. Senza dubbio, è molto utile e comodo per le interviste, anche se bisogna dire che tutti i suggerimenti che dà aprono tante di quelle possibili piste percorribili da fare spesso perdere più tempo a divagare che a stringere sul sodo. Conosco amiche e amici che lo usano parecchio durante le riunioni, dove in sostanza Plaud fa quello che un tempo facevano gli stagisti o i segretari: e lo fa parecchio bene. In qualche modo, soprattutto durante i brainstorming, ho sempre il timore che una registrazione possa condizionare chi partecipa. Infine, uso Plaud un po’ come faceva l’agente Cooper, ovvero per una investigazione, ma nello specifico per un’investigazione su me stesso. Ho scoperto che è un ottimo strumento per il journaling. Perché io Plaud… lo porto al polso.
Questo riporta il discorso sugli “oggetti fisici” della galassia Plaud. Lo scorso mese l’azienda ha lanciato il NotePro: batteria di lunga durata, schermo, capacità di registrare le telefonate e di ascoltare anche se sei lontano – perfetto per un discorso pubblico, io per esempio l’ho usato alla conferenza di Klimahouse, in un palazzo affacciato sulle Zattere a Venezia, dove gli speaker non erano microfonati. Il NotePro ha le dimensioni di una carta di credito, solo poco più spesso; è l’evoluzione del Note e si può anche portare attaccato all’iPhone con il MagSafe. Il prezzo di lancio è stato di circa 179 dollari (poco meno di 170 euro), con 300 minuti di trascrizione inclusi al mese. Un avanzatissimo registratore portatile digitale, un po’ come i MiniDisc negli anni del y2k, chissà se Plaud ha mai pensato di farne uno specifico per chi fa musica. Il mio preferito, tuttavia, è il NotePin, grande come il dito di un bambino, che si può portare clippato ai vestiti, semplicemente in tasca o anche come un pendaglio o, come mi sono abituato a usarlo io, al polso. Si attiva con un clic prolungato – bisogna prenderci la mano –, lui registra, una luce rossa a segnalarlo. I cavi di ricarica sono proprietari, e diversi fra Note e NotePin: un dettaglio fastidioso in un sistema altrimenti curato.
Plaud è diventato parte integrante non solo del mio lavoro, ma anche del mio stile di vita. Uso Plaud un po’ come faceva l’agente Cooper, ovvero per una investigazione… su me stesso. Ho scoperto che è un ottimo strumento per il journaling.
Ho usato svariati supporti come diario: i quaderni, i reMarkable, anche una macchina da scrivere Alphasmart. In condizioni in cui puoi parlare, il NotePin è sicuramente quello più “facile”, che non ti richiede la fatica della scrittura – ovviamente l’aspettativa è che l’analisi Ai-powered di Plaud sopperisca poi a quel dislivello di lucidità che la parola detta ha rispetto a quella su carta. Ma il NotePin ha ovviamente il vantaggio, se usato come un dispositivo indossabile, di essere a disposizione ovunque e comunque. Per una riunione, una intervista o altro.
I limiti e le prospettive
Certo, forse questo utilizzo un po’ “stile Diane” fa pensare che sarebbe utile se Plaud potesse anche accendere una serie di reminder o organizzare note in un file system più complesso della semplice trascrizione di quanto detto e sua conseguente elaborazione. Nel “buco” degli assistenti digitali che non sono più intelligenti abbastanza per soddisfarci, Plaud sembra già molto, molto più avanti. Fin qui le note positive, ma ovviamente ci sono molti aspetti che non piaceranno a tutti. Prima di tutto, Plaud costa. E non solo per comprare i dispositivi, che hanno in fin dei conti un prezzo accessibile (tra i 150 e i 180 euro), ma soprattutto per i minuti di trascrizione, venduti in pacchetti. Nella fase beta i minuti erano illimitati; oggi l’abbonamento standard ne offre 300 al mese: per andare oltre è necessario sottoscrivere pacchetti aggiuntivi.
L’app può essere letta in due modi: da un lato già abbastanza completa per non avere bisogno di un dispositivo fisico di accompagnamento – lo smartphone registra benissimo e senza poi consumare così tanta batteria; dall’altro, pur apprezzando la sua semplicità, alla app stessa farebbe forse bene un “boost” di intelligenza come quella che lei stessa dà alle cose che registra. Vista così, potrebbe essere solo l’inizio di qualcosa di molto più ampio. Eppure è proprio qui che si misura il suo valore. Plaud non è l’ennesimo gadget AI da dimenticare dopo pochi mesi, ma un dispositivo che mette in discussione l’atto stesso di prendere appunti, spostandolo dalla scrittura alla parola. È una trasformazione radicale, che porta con sé possibilità e rischi: più accessibilità e velocità, ma anche la tentazione di delegare troppo a una macchina che ci restituisce i nostri pensieri già confezionati. In questo equilibrio precario tra comodità e dipendenza, tra memoria umana e memoria artificiale, si capisce se Plaud resterà un esperimento brillante o se diventerà davvero il nuovo taccuino vocale dell’era digitale.