Per le nuove generazioni occidentali, l’“onda coreana” incarnata da k-pop e serie televisive – quella identificata con il termine hallyu - è un fenomeno che può sconfinare nell’idolatria: parlatene magari con un (pre)adolescente, e sarà impossibile convincervi del contrario. Tutto questo hallyu, però, si trasforma una leva seduttiva anche quando parliamo di design?
Rispetto alle altre industrie creative, tra cui includiamo anche l’arte contemporanea e il cinema, la sfera della progettazione sembrerebbe aver beneficiato in misura decisamente minore delle leggendarie sovvenzioni statali che hanno accelerato la produzione di intrattenimento a cavallo del Duemila. Più di nicchia, il design avrebbe dunque fatto meno presa sull’immaginario locale e globale. Lo scarto, tuttavia, potrebbe in qualche modo colmarsi presto. È quello che suggeriscono i designer recentemente selezionati da Maison&Objet per il format dei Rising Talents, dedicato come consuetudine al lavoro di sei talenti under 35 e quest’anno focalizzato, per l’appunto, sulla produzione coreana.

“I designer coreani sono molto giovani ed ansiosi di lanciare qualcosa di nuovo in cui finalmente identificarsi”, racconta a Domus Hwachan Lee, co-fondatore con Yoomin Maeng di Kuo Duo, studio di design industriale con sede a Seul. “La Corea offre molti vantaggi quando si tratta di sperimentare. Realizzare un prototipo, ad esempio, è meno costoso che in Giappone, dove sono cresciuto, o in Europa. A Seul esistono strade che sono delle sorte di fabbriche per la lavorazione del metallo, della pelle, o di altri materiali, e le persone che ci lavorano sono disponibili per assecondare quello che abbiamo in testa”.
L’eterogeneità degli approcci offerta da questo laboratorio diffuso diventa tangibile quando si guarda alla produzione di questo piccolo studio. Arredi minimalisti ma non severi, come la serie di tavoli, sedie e divani Vino prodotta per Wekino, sembrano pensati per inserirsi nell’orizzonte rassicurante di un quotidiano armonioso e senza eccessi. Eppure, piccole attenzioni a dettagli sperimentali, come le giunture della sedia in plastica riciclata Kerf Plastic Chair, mutuate dalle tecniche di lavorazione del compensato curvato, o anche il riuso di materiali di scarto in chiave creativa, vanno nella direzione del limited edition e concorrono, soprattutto, a rendere questo stesso quotidiano meno prevedibile e più giocoso.

“La varietà è la principale caratteristica del design coreano”, racconta sempre Lee. “I nostri background sono molto diversi, e sono arricchiti dal fatto che andiamo moltissimo all’estero: questo è probabilmente quello che rende unica la nostra scena artistica”. L’eterogeneità, del resto, si affaccia osservando i lavori degli altri talenti esposti tra i Rising Talents.
I designer coreani sono molto giovani ed ansiosi di lanciare qualcosa di nuovo in cui finalmente identificarsi.
Hwachan Lee, co-fondatore di Kuo Duo
A variare non è soltanto l’apparenza di uno stile di riferimento, o i materiali di predilezione, ma anche l’intenzione concettuale che sta alla base del percorso di ricerca. Il duo niceworkshop, con sede a Seul, lavora sul recupero di lastre di metallo da costruzione per esplorare il potenziale estetico e funzionale del loro riuso in chiave brutalista e un po’ punk. Anche WooJay Lee, designer coreano-neozelandese, ha fatto di una materia riciclata, in questo caso la carta, il proprio medium di elezione, ricreando sgabelli e piedistalli tinti nei colori dell’indigo che lasciano appena trasparire il desiderio di mantenere una vena di imperfezione e approssimazione. Lee Sisan lavora invece con il metallo in fusione, ricreando arredi poetici che incorporano calchi realistici del mondo naturale.

Oltre alla grande libertà incarnata dalla varietà di prodotti presentati, è anche il ricorso a tecniche primordiali ad aprire il ventaglio delle possibilità che questa generazione sembra voler incarnare. Il lavoro sul grande patrimonio dell’artigianato tradizionale porta ad esempio ad altre sorprendenti scoperte, come è il caso degli oggetti senza tempo di Dahye Jeong, realizzati con crine di cavallo. “Ho riattualizzato un’antica tecnica per la lavorazione di cappelli, adattandola alla creazione di oggetti tridimensionali. In Corea abbiamo così tante tecniche tradizionali che non sono conosciute a livello globale! Credo che i coreani stiano realmente cercando di mostrare al mondo quello che possono fare: le possibilità sono moltissime”, racconta Jeong.
La varietà è la principale caratteristica del design coreano. I nostri background sono molto diversi, e sono arricchiti dal fatto che andiamo moltissimo all’estero: questo è probabilmente quello che rende unica la nostra scena artistica.
Hwachan Lee, co-fondatore di Kuo Duo
Dalle tradizioni millenarie alla sfrenata contemporaneità, il contesto coreano sembrerebbe offrire condizioni fertili per una piccola età dell’oro. Con un settore immobiliare in pieno boom, e uno sviluppo retail che segue questa crescita, gli spazi da arredare si moltiplicano, insieme alla possibilità per i designer di costruire rapidamente il proprio portfolio. In parallelo, sembrerebbe essere cresciuta la sensibilità che permette ai consumatori di autorappresentarsi attraverso il design, che si tratti di prodotti di largo consumo o di edizioni limitate.

È Minjae Kim, altro selezionato dei Rising Talents, ad evidenziare questo altro tassello legato ad un mercato in espansione. Di stanza a New York, dove ha studiato, riconosce che il soft power esercitato dall’hallyu ha avuto il merito di esportare narrative capaci di destare curiosità.
“Sebbene hallyu non influenzi mai la mia estetica o la mia filosofia di artista, contestualizza la mia individualità e il mio lavoro. Non devo mai spiegare la mia identità coreana ed è difficile persino spiegare quanto ciò sia incoraggiante. L'iniziativa di trasformare i contenuti culturali come fiction televisive, musica e film nelle esportazioni più preziose rispetto ai beni di consumo è stata annunciata nel 2002 quando ero alle medie. Sono sconcertato dall’impatto che ha avuto quest'iniziativa nel nostro paese, grato a tutti coloro che hanno contribuito nel corso degli anni, e felice di poter ora rappresentare la cultura coreana come un'estensione di quello sforzo.”

Le sedute con cui affolla il suo stand, lavorate a mano e segnate da un’ispirazione onirica che le trasforma in piccole presenze animiste, potrà in effetti non avere niente a fare con le coreografie scattanti e patinate a cui ci ha abituato la k-pop. A modo suo, però, tradisce lo stesso desiderio di lasciare un segno che non ci lasci indifferenti, raccontando di una libertà di espressione propria dei cicli espansionisti che puntellano i corsi e ricorsi della storia del design.